Che cosa comporta l'intervento dell'Arabia Saudita in Bahrein Analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 17 marzo 2011 Pagina: 1 Autore: Carlo Panella Titolo: «La repressione saudita in Bahrein scatena la grande rivolta degli sciiti»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/03/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " La repressione saudita in Bahrein scatena la grande rivolta degli sciiti ".
Carlo Panella
Roma. Almeno sette morti tra agenti e manifestanti nelle strade di Manama e imposizione del coprifuoco dalle 16 alle 4 del mattino: l’invio del contingente blindato di mille militari da parte dell’Arabia Saudita e di 500 poliziotti da parte degli Emirati ha segnato una drammatica svolta nella repressione della rivolta degli sciiti del Bahrein. Il re Hamad bin Isa al Khalifa ha scelto di non dare ascolto ai suggerimenti del segretario di stato americano Hillary Clinton, del premier britannico David Cameron e del segretario generale dell’Onu Ban Kimoon – lavorare a una “soluzione pacifica e politica” – e ha optato per la linea saudita di repressione feroce delle manifestazioni e del dissenso. Il Pentagono non è stato neanche avvisato della decisione di inviare in Bahrein il corpo di spedizione saudita: è una scorrettezza grave, perché il Bahrein ospita la strategica base navale della Quinta flotta americana e ogni elemento che riguarda la sicurezza è di prioritario interesse per Washington. Il presidente americano, Barack Obama, ha telefonato al re saudita Abdullah chiedendogli “massima moderazione”. Il Wefaq, principale partito d’opposizione sciita di Manama, dichiara: “Non possiamo più fare nulla; l’esercito controlla tutto”. La comunità internazionale non reagisce, anche se le richieste degli sciiti sono moderate: riforme che introducano un regno costituzionale e fine delle discriminazioni che rendono gli sciiti (il 60 per cento della popolazione) parìa rispetto alla minoranza sunnita che controlla il paese. Quanto basta per scatenare il mondo sciita. La forte minoranza sciita è umiliata per ragioni religiose. Il wahabismo, egemone nella penisola arabica, li considera “non musulmani” e spesso degli idolatri (perché venerano i dodici imam). Gli emiri del Golfo hanno ben chiaro che da quando è stato eletto in Iran nel 2005, Mahmoud Ahmadinejad ha ispirato e finanziato la formazione di un Hezbollah del Golfo, che agisce nella penisola, ottenendo già la “liberazione” di parte di Saada, regione dello Yemen, dai guerriglieri sciiti di al Houti. L’ammiraglio americano Mike Mullen ha detto il 21 febbraio di “non ritenere che ci sia l’Iran dietro queste proteste sciite” e forse ha ragione, ma è certo che anche a Manama è radicata la presenza di dirigenti sciiti filoiraniani. Una grande rivolta sciita fu già tentata in questi paesi nel 1979, all’indomani della vittoria della rivoluzione iraniana, con conseguenze drammatiche e cessò solo con la ferocia della repressione sunnita. I sauditi temono una replica. Il timore è confermato dalle parole di Ahmadinejad, che ha definito “criminale” la scelta del Consiglio del Golfo (che raduna gli emirati in funzione anti iraniana) di inviare il contingente armato a Manama, e da quelle di Moqtada al Sadr in Iraq e di Hassan Nasrallah, capo dell’Hezbollah libanese, che hanno invitato a manifestare “a fianco dei fratelli sciiti del Bahrein per fermare il massacro”. La miccia sciita è accesa, e se mai funzionerà l’innesco, la regione che controlla la maggior parte delle esportazioni mondiali di petrolio darà sgradite sorprese.
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