Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 17/03/2011, a pag. 19, l'articolo di Christian Rocca dal titolo " Obama di Libia non piace ai liberal ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 53, l'articolo di Paolo Lepri dal titolo " Libia, è ora di dire la verità. L'Europa no sta facendo niente ". Da REPUBBLICA, a pag. 23, l'intervista di Anais Ginori a Bernard Kouchner dal titolo " ".
Ecco i pezzi:
Il SOLE 24 ORE - Christian Rocca : " Obama di Libia non piace ai liberal "
Christian Rocca Barack Obama
Barack Obama ha un problema serio. Alcuni intellettuali di sinistra e le pagine degli editoriali dei grandi giornali liberai hanno cominciato a spazientirsi per il suo atteggiamento attendista sulla Libia. Le critiche all'inazione americana sono diventate sempre più rumorose. Sono iniziati sui blog, hanno raggiunto storiche riviste come New Republic e sono approdate sulle prestigiose colonne del Washington Post e del New York Times. Obama è accusato di non aver ancora organizzato per il popolo libico un'Operazione Tomodachi, «amicizia» in giapponese, come quella che in queste ore i militari americani conducono per le vittime dello tsunami. Due mesi e mezzo fa Obama è partito cauto, come sempre, diffidente all'idea di mischiarsi negli affari interni di altri paesi. Le proteste del mondo arabo lo hanno colto di sorpresa, così come le piazze di Teheran nell'estate del 2009. Non erano soltanti analisi di inteffigence sbagliate, ma una precisa strategia di Realpolitik contraria al regime change professato dal suo predecessore. Gli uomini di Obama si sono divisi tra l'ala di scuola realista, quella progressista e quella interventista. L'effetto domino delle piazze arabe, alla fine, ha convinto il presidente a schierarsi con i rivoltosi tunisini, egiziani e poi libici: «Gheddafi se ne deve andare». Se non la strategia, è cambiata perlomeno la retorica mediorientale. Sono tornati gli appelli alla democrazia e alla libertà, ma non sono stati individuati gli strumenti per aiutare i ribelli libici. La Casa Bianca ha riavviato le sanzioni economiche sul clan Gheddafi, interrotte dopo il mea culpa del Colonnello del 2003, ma non ha preso alcuna decisione a favore dei rivoltosi né a difesa della popolazione civile. «Nell'incontro di questa sera - si legge nel comunicato diffuso martedì notte dalla Casa Bianca - il Presidente e il suo team di sicurezza nazionale hanno esaminato la situazione in Libia e le opzioni per aumentare le pressioni su Gheddafi. In particolare- continua il comunicato - la conversazione si è concentrata sull'Onu, sulle potenziali azioni del Consiglio di 'sicurezza e sulle continue consultazioni con gli alleati arabi ed europei. Il presidente ha detto al suo team di continuare a partecipare pienamente alle discussioni con l'Onu, la Nato e con i partner e le organizzazioni regionali». Decisioni: zero. Ieri il Washington Post ha titolato il principale editoriale non firmato, quello che registra la linea ufficiale del giornale, con un secco: «Wanted: A strategy». A mancare, secondo il giornale della capitale, è una strategia che faccia seguire i fatti alle parole. Obama si limita a non escludere nessuna opzione, ma non ha ancora dato indicazioni chiare sulla no-fly zone né sulla fornitura di armi ai ribelli. Il suo staff si è spaccato ben oltre le differenze fisiologiche tra Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Pentagono e Cia, a dimostrazione della mancanza di una linea precisa. Aspettare una decisione delle Nazioni Unite, non è considerata una politica estera del paese leader del mondo, specie se i gruppi anti-Gheddafi chiedono aiuto e invocano l'intervento armato. Anche Lega araba vuole la no-fly zone. Per una volta e con tutte le contraddizioni, l'Europa sembra più decisa. Obama ha minacciato Gheddafi di un processo alla Corte penale internazionale, ma in attesa dei dossier giuridici il colonnello schiaccia l'opposizione e marcia verso Bengasi. Gli analisti americani spiegano che se Gheddafi dovesse riconquistare la Cirenaica il messaggio sarebbe chiaro per gli autocrati mediorientali e devastante per le speranze democratiche della regione: la repressione paga, l'assenza di leadership Usa fa male. Obama non vuole un altro intervento in Medio Oriente, non è certo dell'esito, non si fida dei ribelli (uno studio che circola in ambienti obamiani mostra che i libici della Cirenaica sono il gruppo nazionale che ha fornito più uomini alla jihad antiamericana in Iraq). Hillary Clinton ha incontrato uno dei leader dell'opposizione libica. Non c'è subbio che prima o poi Obama sarà costretto ad agire, a meno che non sia troppo tardi. Al mondo liberai non basta. Un paio digiorni fa il New York Times ha accusato Obama anche di ripercorrere le pericolose strade di Bush non solo per Guantanamo ancora aperto o perla detenzione senza processo e a tempo indeterminato di alcuni prigionieri di Al Qaeda, ma anche per il trattamento ai limiti della tortura del soldato Bradley Manning, accusato di aver passato i cable riservati a WikiLeaks. Non solo. Obama ha anche costretto alle dimissioni il vice di Hillary Clinton, PJ Crowley, perché aveva criticato pubblicamente le condizioni di detenzione di Manning. Uno dei più accesi polemisti d'America, Christopher Hitchens, è tra i più duri con Obama. Su Slate ha cominciato chiedendosi se per caso Obama fosse segretamente svizzero, con il suo strano atteggiamento cinico e neutrale nei confronti delle rivolte democratiche. Hitchens ha scritto che Obama «manca di coraggio e di principi», che la sua risposta alla crisi libica «è patetica e vergognosamente inadeguata». Lo studioso dei movimenti democratici Larry Diamond, pur riconoscendo meriti al presidente, suggerisce su New Republic che il tempo sta scadendo non solo per prendere una decisione sulla Libia, ma anche per il giudizio che la storia darà sulla sua presidenza. Leon Wieseltier, icona del giornalismo culturale liberal, su New Republic ha defunto «una disgrazia» la politica di Obama, addirittura «stupida, triste e indecente». L'esperto dico-se mediorientali Christopher Dickey, grande critico delle politiche bushiane sulle pagine di Newsweek, ha scritto che «Obama sta sacrificando i suoi stessi ideali e anche la sicurezza dell'America». Gli esempi sono moltissimi. Urge un'Operazione Sadaqa, "amicizia" in arabo, a Tripoli.
CORRIERE della SERA - Paolo Lepri : " Libia, è ora di dire la verità. L'Europa no sta facendo niente "
Forse il tempo è ormai scaduto per istituire la no fly zone in Libia, come sostiene l’ex ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner, e fermare così i bombardamenti contro i «ribelli» pilotati dalla tenda del colonnello Gheddafi. «Anche se si decidesse subito — ha detto Kouchner, che di emergenze umanitarie se ne intende — sarebbe troppo tardi: da tre settimane poveri civili stanno morendo e noi non stiamo facendo niente» . Sarà il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a decidere nelle prossime ore, anche se sono legittime le preoccupazioni di chi teme che il profeta del Libro Verde riesca nel frattempo a riprendere totalmente il controllo della situazione. Ai quindici capi di Stato e di governo dei Paesi che siedono nel massimo organismo delle Nazioni Unite sono arrivate ieri sera le parole chiare del presidente francese Nicolas Sarkozy. «Dal 26 febbraio — si legge nella lettera dell’Eliseo — il regime ha proseguito le sue azioni assassine contro il popolo libico. Bisogna agire» . Londra è con la Francia, che ha detto di aver raccolto l’appello della Lega Araba. La Germania preme sul freno. Gli altri europei balbettano. Comunque vadano le cose, l’Europa non sembra assolutamente in grado di essere un protagonista, o almeno un punto di riferimento, in questa terribile crisi. Nonostante le lezioni arrivate dalla Tunisia e dall’Egitto. Troppi calcoli, troppo poco coraggio. C’è addirittura chi sta pensando alla parte da recitare in un futuro che preveda ancora la presenza di Gheddafi al comando. L’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, che guida il gruppo dei liberaldemocratici all’Assemblea di Strasburgo, si è definito non a caso «disgustato» . «Sarà un’altra pagina nera. Io sono un europeista convinto ma non conto più sull’Europa, quanto sulla Francia, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti» . Forse Verhofstadt ha ragione. Le geometrie cambiano. Si può sperare ormai solo in un cambio di marcia improvviso, magari sull’onda della discussione alle Nazioni Unite. Il presidente permanente dell’Ue, Herman Van Rompuy, ha detto ieri che il Consiglio nazionale libico di transizione continua ad essere «un interlocutore valido» . Interlocutori di che cosa? Bisogna che l’Europa si schieri con forza al loro fianco, con tutti i mezzi a disposizione, e li aiuti a rovesciare definitivamente il regime.
La REPUBBLICA - Anais Ginori : " L´Europa litiga e il raìs massacra il popolo. Intervenire in Libia è un dovere civile "
Bernard Kuchner
BRUXELLES - «La lentezza politica dell´Europa è disperante». L´ex ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner torna a parlare dopo l´allontanamento dal governo quattro mesi fa, rompendo un lungo, inusuale silenzio mediatico. «Abbiamo il diritto-dovere di intervenire nella guerra in Libia per fermare i massacri della popolazione civile» è l´appello di Kouchner in linea con la sua dottrina dell´ingerenza umanitaria già teorizzata ai tempi dell´Iraq, quando faceva il french doctor.
Eppure la proposta di Nicolas Sarkozy per bombardamenti aerei mirati è stata finora bocciata da gran parte dei paesi Ue.
«Sarkozy è stato accusato di avere iniziative affrettate, di non essersi consultato abbastanza con gli altri partner europei. Ma ha detto solo le cose giuste, anzi forse ha parlato già troppo tardi. Il tempo gioca a favore di Gheddafi. Se aspettiamo ancora un po´ sarà lui ad aver vinto e non ci sarà più nulla su cui discutere e riunirsi».
Anche gli Stati Uniti però frenano su l´intervento in Libia. Su quale base giuridica si può entrare in guerra con il regime di Gheddafi?
«Semplicemente perché sappiamo che sono in atto crimini contro l´umanità, come ha riconosciuto la recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell´Onu. E questa è un ragione sufficiente, prevista dal diritto internazionale. Uno Stato, sebbene ancora sovrano, non può uccidere la sua popolazione».
E´ il famoso diritto all´ingerenza umanitaria, che ha già dimostrato molti limiti in passato.
«Preferisco chiamarla responsability to protect, secondo la dicitura votata dall´Assemblea dell´Onu nel 2005. Credo che si tratti della più importante svolta diplomatica del ventunesimo secolo. Non si può più continuare a ragionare come nel Novecento. La situazione della Libia lo conferma".
L´Onu però esamina solo l´ipotesi della no-fly zone. E´ una misura adatta?
«Purtroppo l´esperienza nella ex Jugoslavia dimostra che non basta a fermare i massacri. Ma è meglio di niente, anche se temo che, anche in questo caso, arriveremo in ritardo. Siamo in una vera e propria emergenza, non è più il momento di tentennare».
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