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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Una rivoluzione per tutti o per i soli arabi musulmani ? 15/03/2011

Una rivoluzione per tutti o per i soli arabi musulmani ? 
di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)


Zvi Mazel

La gente si è riversata nelle strade dei paesi arabi per combattere i regimi repressivi e instaurare governi democratici moderni: è questa l’opinione comune nel mondo occidentale. Ma queste nuove democrazie arabe – sempre che riescano a formarsi – riusciranno ad esprimere cambiamenti significative nei confronti dei non musulmani o delle minoranze non arabe ? La discriminazione dell’altro- colui che non è arabo musulmano – o il rifiuto di accettare l’altro (in arabo ‘ kubuk elaher) è uno degli aspetti etici e politici più complessi nel Medio Oriente e nel Nord Africa, anche se viene menzionato raramente. Adesso che un’onda rivoluzionaria si diffonde nel mondo arabo, dobbiamo chiederci se questa rivoluzione è per tutti o soltanto per gli arabi musulmani. 

Nel Medio Oriente e in Nord Africa vivono milioni di minoranze, religiose e nazionali, sotto occupazione araba sin dal settimo secolo, ancora in attesa dell’uguagliana o che lottano per l’indipendenza. I curdi sono fra i popoli più antichi del mondo, hanno conservato la loro identità attraverso secoli di occupazione araba e ottomana, e sebbene islamizzati hanno mantenuto la loro lingua (indo-europea vicina al persiano), tradizioni e costumi. Oggi sono 25/30 milioni, fra Turchia (15 milioni), Iran (5 milioni), Iraq (5 milioni) e Siria (2 milioni). Hanno combattuto, senza successo, per la loro indipendenza sin dalla caduta dell’Impero ottomano sino alla fine della prima guerra mondiale, e sono stati uccisi da turchi e arabi a decine di migliaia. In Iraq Saddam Hussein non aveva esistato ad usare armi chimiche contro di loro, sterminandone migliaia nel nord del paese. Saddam instaurò anche una politica che mirava a sradicarli dai loro villagi e da Kirkuk, per sostituirli con arabi sunniti. Anche oggi è forte la tensione fra la regione autonoma curda – creata dagli alleati dopo la prima guerra del golfo per proteggere i curdi da Saddam -  e il governo centrale iracheno. Tre mesi fa i partiti della regione autonoma hanno rivendicato il diritto alla autodeterminazione per il popolo curdo, di fatto una chiara richiesta di indipendenza. 

Ci sono altri popoli che vivono sotto occupazione in Algeria,Marocco e Tunisia: i berberi, una popolazione nativa del Nord Africa, il cui nome discende da ‘barbari’, forse perchè non parlavano nè greco nè latino, prima della conquista araba aveva una fiorente civiltà agricola. Fra loro si definiscono ‘amazigh’ e la loro lingua è il ‘tamazight’. Furono islamizzati, avendo anche avuto un ruolo importante nella diffusione dell’islam in Spagna, ma hanno sempre mantenuto la loro identità originale. Nei paesi nordafricani, sin dall’indipendenza, negli anni ’60,  si sono sempre opposti alla arabizzazione preferendo usare la lingua francese, lottando per ottenere il riconoscimento della loro autonoma cultura. I berberi sono in Algeria  più del 20% della popolazione. Molti vivono nella Kabylia e hanno fondato un forte movimento per l’indipendenza. Nel 2010 hanno formato a Parigi un governo in esilio, guidato da Ferhat Mehenni, un cantante-attivista politico della Kabylia. I media occidentali l’hanno ignorato , così come non ha ricevuto alcun aiuto dai vari governi, mentre in Algeria si è intensificata la repressione. In Marocco, dove sono circa il 40% della popolazione, c’è un movimento amazigh che lotta per l’autonomia, ma che viene ignorato nel mondo occidentale. 

I copti in Egitto sono un’altra minoranza oppressa e discriminata. Sono tra gli 8e i 10 milioni, circa il 10% della popolazione. Sono stati i primi a popolare l’Egitto, in effetti il nome deriva dalla parola greca per Egitto. Si convertirono al cristianesimo nel quarto secolo, e parlano una lingua propria. Nel paese non godono di uguali diritti, e non possono esercitare posizioni di rilievo, come governatori di provincie o rettori di università. La loro rappresentanza in Parlamento è limitata e non riflette il loro numero. Non possono costruire chiese liberamente, anche per restaurarle devono avere una approvazione speciale dal governo. L’articolo 2 della Costituzione  stabilisce che l’islam  è la religione di Stato, e che la giurisprudenza islamica è la principale fonte legislativa. Non c’è alcuna intenzione di cancellare questo articolo nella futura Costituzione da parte del Comitato che si è creato dopo la rivoluzione. Così come non sono diminuiti gli attacchi contro i copti dopo il cambio di regime: una chiesa è stata data alle fiamme, e gli assalitori musulmani hanno anche ucciso 13 copti ferendone alcune dozzine. Mentre l’Egitto e il mondo si felicitavano per la caduta del regime, il destino dei copti entrava in conflitto con lo spirito della rivoluzione e le speranze di una democrazia. 

Anche i cristiani in Iraq e nei territori palestinesi sono oggetto di discriminazioni e attacchi, molti sono fuggiti nei paesi occidentali in cerca di una vita migliore, per cui il numero dei cristiani nel mondo arabo è in progressiva decrescita. 

Ad oggi, soltanto due Stati non arabi sono riusciti ad essere indipendenti: lo Stato di Israele nel 1948, 1308 anni dopo la conquista araba della Terra Santa, e il Sudan del Sud alcune settimane fa, dopo 40 anni di lotte terribili e più di due milioni di morti. Nel confinante Darfur le milizie arabe, aiutate e istigate dal governo sudanese, continuano a massacrare le popolazioni non arabe. 

Che effetto ha avuto su Israele la rivoluzione ? In Egitto, all’inizio non è stato tirato in ballo. Con la caduta del regime, gli estremisti di destra e sinistra hanno avuto via libera. E’ stato chiesto il riesame degli accordi di pace di Camp David, da qualcuno persino la cancellazione, così come viene rimessa in discussione la vendita del gas  egiziano. 

Ha senso quindi chiedersi se le rivoluzioni nel nome della democrazia non abbiano alla fine risvegliato estremismi religiosi e nazionalisti, visto che verso Israele hanno portato ostilità invece di aperture e tolleranza. Può una vera democrazia nel mondo arabo non riconoscere la legittimità di Israele ? La risposta è negativa, dato che una democrazia non avrebbe nessun motivo per essere contro Israele. Le democrazie, infatti, praticano la politica del compromesso e si concentrano sul progresso economico e sociale. Purtroppo è forte il dubbio che una democrazia siffatta possa crearsi nella regione. 

Verso quale direzione si dirige, allora, la rivoluzione araba ? Produrrà cambiamenti costituzionali ed elettorali minori, che porteranno in alcuni paesi riforme economiche e migliori condizioni di vita, senza però alterare l’oppressione continua delle minoranze che continueranno a lottare per i loro diritti ? Può una autentica democrazia – basata sulla libertà di espressione, sulla liberazione della donna e sui diritti umani essenziali- esistere se ignora ciò che sta capitando ai copti e ai curdi ? Non mi sembra possibile. Le minoranze sparse nel mondo arabo vorranno far parte della rivoluzione, e la loro voce si sentirà senza dubbio nel prossimo futuro. Non accetteranno più a lungo il vecchio sistema repressivo e discriminatorio come se nulla fosse successo. In Egitto è già iniziato. I copti chiedono che l’articolo 2 della Costituzione venga cancellato e stanno organizzando dimostrazioni per ottenere l’eguaglianza. In Iraq i curdi non aspettano altro che il momento adatto per fare altrettanto. 

In Egitto, però, è probabile che i Fratelli Musulmani usciranno rafforzati da libere elzioni, con la prospettiva di arrivare al governo; che chiameranno democratico, anche se assomiglierà terribilmente al regime degli Ayatollah iraniani, con l’aspirazione di islamizzare sin da subito l’intero Medio Oriente, e dopo il mondo intero, come impone il loro credo. Se le elezioni libere e corrette – o relativamente libere e corrette – porteranno i Fratelli Musulmani al potere, potremmo considerarlo una conquista democratica ? Giudichiamo accettabile– pur con sistemi democratici -   scambiare una dittatura secolare con un movimento anti-democratico che vuole restaurare il califfato ? La Fratellanza non ha cambiato il suo credo sin da quando fu fondata 80 anni fa: “Allah è il nostro obiettivo, il Profeta è il nostro leader, il Corano è la nostra legge, il Jihad è la nostra via, e la morte per Allah è l nostra massima aspirazione”. 

Sceglieranno questo le masse quando saranno libere di votare ?  E’ difficile rispondere a questa domanda , perchè la mancanza di educazione alla democrazia e la comprensione del suo significato, è il risultato della profonda penetrazione dell’islam nel sistema educativo nel mondo arabo. Si troveranno sotto regimi islamici ancora più dittatoriali e repressivi dei precedenti. 

Eppure si sono levate voci nel mondo occidentale per sostenere che se quella era la volontà del popolo, andava rispettata. Le stesse voci, negli Stati Uniti e in Europa, hanno dato via libera ai Fratelli musulmani, alcuni addirittura definendoli movimento laico, con la richiesta di aprire con loro un dialogo, perchè possono condurre i popoli arabi verso un progresso illuminato. Niente più lontano dalla verità, ma, come abbiamo visto in anni recenti, in Europa vi sono coloro che preferiscono ignorare la costante erosione dei valori democratici da parte degli islamici perchè non conoscono il problema e quindi non sanno come confrontarsi con esso. 

Il processo rivoluzionario nel mondo arabo sta andando avanti e tutti parlano di democrazia. Il vero test di queste rivoluzioni  non si limiterà alle costituzioni o ai cambi di regime, il vero cambiamento sarà nel sistema politico e religioso: la separazione tra Stato e religione,le nuove costituzioni laiche, la divisione dei poteri, e, soprattutto, la disponibilità ad accettare l’altro, la piena uguaglianza per le donne  e per tutte le minoranze, attraverso una giusta soluzione per i popoli non arabi che vogliono essere indipendenti dopo lunghi secoli di occupazione e repressione – e, infine, il riconoscimento del diritto storico di Israele quale Stato del popolo ebraico.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora a Informazione Corretta.


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