Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/03/2011, a pag. 16, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Battaglia al Cairo fra copti e musulmani. Almeno tredici morti ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo "Il salasso dei cristiani d’Egitto ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 10, l'articolo di Khaled Fouad Allam dal titolo " Democrazia incompiuta senza i diritti individuali ". Dall'UNITA', a pag. 47, l'articolo di Lidia Ravera dal titolo " Femministe in piazza Tahrir ", preceduto dal nostro commento.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Battaglia al Cairo fra copti e musulmani. Almeno tredici morti "
Tredici morti e 140 feriti negli scontri tra cristiani e musulmani martedì notte a Moqattam, la favela dei raccoglitori di immondizia copti nella periferia orientale del Cairo. Tensione in tutta la capitale: ponti e autostrade bloccati da migliaia di cristiani, mentre altri davanti alla tv di Stato, a pochi metri da piazza Tahrir, continuavano le proteste pacifiche iniziate dopo l’incendio sabato scorso di una chiesa in provincia di Helwan. Un episodio scatenato dalla faida tra due famiglie nemiche per la storia d’amore dei figli— lei musulmana, lui copto— costata la vita già al padre e a un cugino della ragazza uccisi dalla stessa famiglia che voleva un castigo esemplare della giovane coppia. Uno scontro che dalle mura di casa s’era esteso al villaggio, poi alla capitale fino alla battaglia di Moqattam, in cui l’esercito ha sparato in aria ma la cui dinamica è ancora incerta. Di certo c’è solo che entrambe le parti avevano armi da fuoco, mazze e coltelli. Le vittime sono sette cristiani e sei musulmani. È un brutto ritorno al passato per il Nuovo Egitto che dalla caduta di Mubarak, l’ 11 gennaio, non aveva quasi conosciuto violenze, tutte le forze impegnate in una transizione pacifica, quanto delicata, a partire dal Consiglio dei militari subentrato al raìs e in carica, così ha promesso, fino alle nuove elezioni tra sei mesi o prima. Un déjà vu ma anche peggio: a Capodanno, dopo l’attentato ad Alessandria che uccise 23 copti, la rabbia della minoranza cristiana (il 10%, 8 milioni) era stata per la prima volta tutta contro il regime che non li aveva difesi. Solo Papa Shenuda, l’anziano patriarca, non aveva attaccato Mubarak e l’allora ministro degli Interni Al Adly. E per la prima volta moltissimi musulmani si erano schierati con la comunità copta, partecipando alle messe, esponendo cartelli su Facebook e per strada con scritto «Sono musulmano e sono cristiano» . Lo stesso nei 18 giorni della rivoluzione: insieme a Tahrir, nelle marce e nelle preghiere, nella galassia di movimenti e gruppi di una rivolta che tutti avevano definito, a ragione, «non confessionale» . E davanti alla tv di Stato ieri molti musulmani si sono uniti ancora ai copti. Il magnate (cristiano) delle telecom Nagib Sawiris li ha raggiunti apprezzando la loro unità a difesa della rivoluzione pacifica, invitandoli a tornare a casa senza però convincerli. La violenza non si è limitata a Moqattam. A Tahrir ieri centinaia di manifestanti pro-democrazia sono stati attaccati da gruppi armati di bastoni e coltelli. Il giorno prima la manifestazione dell’ 8 marzo organizzata dalla storica femminista Nawwal Saadawi e dalle tantissime egiziane della rivoluzione è stata aggredita fisicamente da uomini che urlavano «andatevene a casa» . «Non sorprende che le donne e i copti, le categorie più vulnerabili, siano oggetto della rabbia di chi vuole tornare agli abusi passati» , sostiene la giornalista Hala Shukrallah. Che specifica: «I responsabili sono gli agenti della polizia segreta di Mubarak e i suoi baltaghiya, gli sgherri, ancora attivi. È un tentativo di controrivoluzione» . Un termine usato anche dal nuovo governo, ieri alla prima seduta dopo la sostituzione di importanti ministri di Mubarak con altri non compromessi, come il neo-premier Essam Sharaf, il capo degli Esteri Nabil Elaraby, quello degli Interni Mansur El Essawy. «L’esecutivo è impegnato nel realizzare gli obiettivi della rivoluzione. Affronterà ogni tentativo di controrivoluzione» , ha detto Sharaf che ha proposto di raddoppiare le pene, fino a quella di morte, per chi «attenta alla sicurezza dei cittadini» e ordinato alla polizia, quasi scomparsa dalle strade da più di un mese, di tornare in servizio. Silenzio invece dal Consiglio militare, a cui quasi tutti hanno dato fiducia apprezzandone le prime mosse, a partire dalla formazione del nuovo governo e dalla revisione della Costituzione su cui ci sarà un referendum il 19 marzo. Ma qualcuno inizia ora ad accusare i militari per lo meno di ambiguità: sentiti testimoni egiziani, Amnesty International ha ieri dichiarato che i soldati avrebbero lasciato spazio ai baltaghiya pro Mubarak in Piazza Tahrir. Altri, pur difendendo la Giunta, sottolineano come questa non sia in grado di mantenere la sicurezza soprattutto se la tensione continuerà a salire. Tra scontri confessionali e rapine (sono ancora in circolazione 12 mila detenuti evasi durante la rivoluzione), con tutti gli scioperi, proteste, rivendicazioni esplosi dopo la fine del regime e concentrate in piazza Tahrir. Dove anche domani ci sarà una nuova manifestazione, contro le violenze interreligiose.
Il FOGLIO - " Il salasso dei cristiani d’Egitto "
Sono tredici i cristiani rimasti uccisi ieri nelle violenze settarie in Egitto. Una strage ormai sembra tirare l’altra. A gennaio furono sette i cristiani morti ammazzati dai fondamentalisti islamici. Questo sangue non è il risultato della rivoluzione al Cairo. Anche durante il regno di Mubarak i copti subivano attacchi. L’apprensione però nasce dal fatto che il futuro dei cristiani, che avevano sperato nella sopravvivenza del rais come garante imperfetto della pax religiosa, è a grave rischio in un Egitto dominato dall’ideologia islamista e con l’imam Qaradawi a guidare i sermoni. I cristiani sono il quindici per cento della popolazione egiziana, ma all’interno dell’assemblea parlamentare la loro percentuale si riduce a meno dell’uno per cento. I Fratelli musulmani hanno giurato: “Mai un copto alla presidenza”. A loro sono preclusi gli incarichi anche di livello secondario nell’amministrazione dello stato e il ricavato delle loro imposte è utilizzato per le moschee, mentre i luoghi di culto cristiani sono fossilizzati nel tempo. Un testo di al Azhar, “Al Iqna”, dice che se un musulmano uccide un musulmano merita la morte, ma se un musulmano uccide un copto la pena deve essere inferiore perché il superiore non può essere privato della vita per aver ucciso l’inferiore. Che sia una delle peggior forme di razzismo contemporaneo lo dice anche la discriminazione sulla carta di identità egiziana, che impone la connotazione religiosa dell’essere umano, come accadeva in Rwanda tra Hutu e Tutsi. Speriamo che questa rivoluzione egiziana si volga al meglio, ma al momento è difficile immaginare un futuro diverso dallo strangolamento per i cristiani d’Egitto.
Il SOLE 24 ORE - Khaled Fouad Allam : " Democrazia incompiuta senza i diritti individuali "
Khaled Fouad Allam
Qualche anno fa mi trovavo a Malaga in Spagna per una conferenza durante un ricevimento nel municipio della città. C'era un enorme affresco, che rappresentava una coppia: una ragazza musulmana e un soldato cristiano di epoca medioevale. La coppia correva, ma dove correva? Verso il precipizio.
Più volte ho pensato all'immagine di questo affresco e alla drammaticità di questa situazione: quando una musulmana è innamorata, decide di sposarsi o di vivere con qualcuno di un'altra religione, lei lo desidera, lui anche, ma la società non glielo permette. Perché purtroppo nell'Islam e nel diritto musulmano il matrimonio di una musulmana con un non musulmano non è concesso, pena nullità assoluta del matrimonio oppure condanna per apostasia. Questa situazione si ripropone, spesso con toni drammatici. L'altro ieri in Egitto, di fronte al desiderio di un'unione fra una musulmana e un egiziano copto si è visto come la società ha reagito: quasi un pogrom, morti e feriti.
In realtà, man mano che l'Islam affronterà la questione della democrazia non potrà non affrontare problematiche che sono parte integrante della questione democratica, vale a dire i diritti individuali e la libertà di religione. Di certo, questi paesi che sono ora in subbuglio non possono assolutamente limitare la questione democratica al diritto di voto, al sistema elettorale e all'alternanza del potere. Questi sono solo un elemento della democrazia, essa ha bisogno di contenuti: il riconoscimento dei diritti individuali è fondamentale. Se il mondo musulmano non sarà capace negli anni futuri di misurarsi e confrontarsi con questa problematica la sua democrazia sarà solamente un trompe-l'oeil. Vale a dire un sistema che patirà una povertà di contenuti, perché mancherà la sostanza fondamentale per qualsiasi esperienza democratica, vale a dire la libertà degli individui. Ma purtroppo ancora oggi in modo molto contraddittorio e ambiguo queste società soffrono una specie di pressione comunitaria: l'esperienza della libertà individuale rimane ancora troppo marginale e rischiosa perché si ammetta un'identità al di fuori del primato di un Islam totalizzante.
Se ancora oggi queste società non riescono ancora a riconoscere l'individuo, il soggetto nella sua pienezza, è facile varcare la linea che porta all'intolleranza e poi alla violenza.
Costruire la democrazia non è di certo semplice e non bastano raduni di piazza o cambiamenti di regime. Sono necessarie ben altre cose. A cominciare da un pensiero della libertà, vale a dire degli intellettuali, dei filosofi e dei soggetti che siano pronti ad accettare le sfide della libertà individuale.
La coppia in Egitto condannata dalla società ne è un esempio, sono eroi del silenzio, come quelle ragazze marocchine o pachistane che in Italia alcuni anni fa si sono trovate nel bel mezzo della violenza familiare perché avevano scelto la via della libertà individuale. Di certo, come più volte ho scritto, il mondo musulmano soffre di non avere avuto la sua Simone de Beauvoir che scrisse Le deuxième sexe, che fu la "bibbia" dei movimenti femministi degli anni 60 e 70.
Ma nondimeno le lotte femminili cresceranno nel mondo musulmano nei prossimi anni perché le lotte per la democrazia, anche se vengono represse, aprono un varco che sarà difficile chiudere. Perché segnano anche un passaggio che è irrimediabile nella società globale, dove tutto si mescolerà e dove sarà impossibile vietare all'amore di essere degno dell'amore stesso. Di certo coloro che scelgono la strada della libertà individuale sono, e saranno sempre più, persone esposte al rischio di una condanna formale o informale. Ma nondimeno dovremo dimenticarli, al contrario, hanno bisogno del sostegno di noi tutti perché quello che non ha capito una parte del mondo musulmano è che nella libertà si nasconde la verità.
L'UNITA' - Lidia Ravera : " Femministe in piazza Tahrir "
Lidia Ravera
Lidia Ravera commenta con queste parole il fatto che alle donne non sia stato permesso di manifestare in piazza Tahrir : " spero che anche le donne di piazza Tahrir, non si lascino rispedire in cucina a stufare lenticchie. Hanno catene pesanti da perdere. E un compito storico: impedire che il nuovo Governo del loro Paese finisca per rassomigliare a quello che è stato rovesciato. Liberticida, autoritario, iniquo. E maschilista. ". Sono proprio i futuri rappresentanti del nuovo governo, i manifestanti 'democratici', quelli che non aveano nulla a che vedere con l'islamismo, ad aver impedito alle donne di manifestare. Ma Lidia Ravera non lo scrive, perchè sarebbe ammettere che la rivoluzione in Egitto ha poco a vedere con la democrazia. Le violenze contro i copti, le dichiarazioni dei rappresentanti dei Fratelli Musulmani, lo stupro della giornalista Usa in piazza Tahrir denotano come la rivoluzione in Egitto abbia più a che vedere con l'islamismo che con la democrazia.
Ecco l'articolo:
Se è vero che il grado di democrazia di un paese si giudica da quanta libertà dignità e parità hannoraggiunto le donne , non sono ottimista per l’Egitto del dopo- Mubarak. E’ stato un gesto politico molto grave fermare una manifestazione femminile, sarebbe stato un 8 marzo liberatorio, rivoluzionario, significativo. Erano un migliaio, e volevano raggiungere la piazza in cui hanno lottato contro il regime insieme agli uomini. Mille donne in una città come Il Cairo, equivalgono ad un milione di donne a Roma, o a Parigi. Vivono in una cultura che le vuole velate, che le condizione a tacere (e sparire) con una violenza ancora più terribile di quella che condiziona noi ad apparire( e tacere) . L’integralismo islamico minaccia i loro diritti più elementari, le perseguita, le avvilisce.Hanno preso coraggio nella rivolta di piazza Tahrir, come le ragazze italiane di 40 anni fa hanno preso coraggio nella rivolta del sessantotto. Anche allora, anche se più subdolamente, si è tentato di tenerle indietro. Insieme in piazza sì,manoi a decidere, voi a eseguire. C’erano degli alibi, per così dire, marxisti-leninisti, all’epoca. “Gli operai non sono pronti” “Le rivendicazioni di genere sono piccolo borghesi”. Lì per lì, le femmine sono state ricacciate al loro posto, ciascuna accucciata nello stereotipo assegnato: pupa del leader, angelo del ciclostile, bravacompagna (modesta e collaborativa). Ma intanto covava una rabbia ribelle e pochi anni dopo è scoppiato il movimento femminista. Volevamo molto, volevamo tutto. Personalmente spero che anche le donne di piazza Tahrir, non si lascino rispedire in cucina a stufare lenticchie. Hanno catene pesanti da perdere. E un compito storico: impedire che il nuovo Governo del loro Paese finisca per rassomigliare a quello che è stato rovesciato. Liberticida, autoritario, iniquo. E maschilista.
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera, Foglio, Sole 24 Ore, Unità, cliccare sulle e-mail sottostanti