Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/03/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Andrea Mancia dal titolo "Riad ha speso cento miliardi di dollari per esportare il wahabismo".
Roma. Cento miliardi di dollari per diffondere in tutto il mondo le virtù del wahabismo. Più del doppio di quanto sborsato dall’Unione sovietica durante la Guerra fredda per le sue operazioni di propaganda in occidente. Tanto, secondo gli analisti, è costata alla casa reale saudita negli ultimi 35 anni l’opera di costante promozione di quella che Bernard Lewis ha definito “la più radicale, la più violenta, la più estrema e la più fanatica versione dell’islam”, entrata a pieno diritto nel mainstream grazie all’oro nero di Riad. E non sono soltanto le madrasse pachistane o il network dei Fratelli musulmani le destinazioni preferite di questa enorme massa di denaro. Malgrado un tasso di alfabetizzazione in Arabia Saudita inferiore al 50 per cento, la casa regnante fondata da Abdul Aziz Ibn Saud preferisce finanziare le università occidentali. A guidare la classifica dei “beneficiati” è Harvard, con cifre stimate intorno ai 30 milioni di dollari. Il gioiello della Ivy League ne ha ricevuti 20 soltanto nel 2005, grazie a una donazione del principe al Waleed bin Talal al Saud (nipote del re Fahd che sarebbe scomparso dopo pochi mesi) per l’istituzione del suo Center for Middle Eastern Studies. Stessa cifra, stesso anno, stesso donatore per la Georgetown University, la più antica università cattolica degli Stati Uniti, per un Center for Muslim-Christian Understanding, che sotto la guida di John L. Esposito è diventato l’epicentro della propaganda antisemita e antiamericana nella zona di Washington DC. E ancora: 20 milioni di dollari per il Middle East Studies Center dell’Università dell’Arkansas; cinque milioni di dollari per il Center For Middle East Studies di Berkeley, in California (in questo caso i donatori sono due sceicchi sauditi considerati vicini ad al Qaida); 11 milioni di dollari alla Cornell University dello stato di New York; un milione e mezzo di dollari alla Texas A&M University (il settimo ateneo, in ordine di grandezza, di tutti gli Stati Uniti); un milione di dollari a Princeton; cinque milioni di dollari alla Rutgers University di Newark, in New Jersey. Poi ci sono cifre non precise, ma quasi sempre superiori al milione di dollari, per la Columbia University di Manhattan; per l’University of California di Santa Barbara; per la Johns Hopkins University di Baltimora; per la Rice University di Houston, in Texas; per l’American University di Washington DC; per la University of Chicago; per la Syracuse University dello stato di New York; per l’University of Southern California di Los Angeles; per la Ucla di Los Angeles; per la Duke University in North Carolina e per la Howard University, storico ateneo afroamericano di Washington. Quasi sempre queste generose donazioni vengono elargite ai sensi del Titolo VI dell’Higher Education Act del 1965, un programma del ministero dell’Istruzione che garantisce fondi alle università che “istituiscono o rafforzano centri di studio internazionale”. Oltre che con i soldi sauditi i “centri studi islamici” vengono finanziati direttamente anche dai contribuenti americani. Che pagano di tasca propria per la diffusione di propaganda antiamericana e antisemita. Quelli che dovrebbero essere strumenti per “sostenere la diversità culturale attraverso il dialogo” sono quasi sempre nuclei per la formazione di un pensiero unico controllati da attivisti politici. Una testimonianza, datata ma agghiacciante, è quella del giornalista Lee Kaplan che nel novembre del 2004, dalle colonne di Front- Page Magazine, descrive la Middle East Studies Association (Mesa) Conference di San Francisco. Distribuzione di “materiale informativo” in cui gli attentatori suicidi sono contati tra le vittime del “genocidio palestinese” e in cui si racconta che i navigatori arabi hanno scoperto l’America prima di Colombo; raccolte di firme per “associazioni benefiche” collegate al terrorismo; conferenze sul medio oriente affidate a relatori imparziali come Noam Chomsky, Robert Fisk, Hanan Ashwari, Michael Lerner e Hussein Ibish (il gotha dell’antisemitismo internazionale). L’influenza saudita non si ferma alle università. Grazie al “cavallo di Troia” del Titolo VI, il denaro di Riad è arrivato a comprarsi anche la scuola dell’obbligo. I centri studi cofinanziati dal governo hanno l’obbligo di mettere in piedi programmi di “sensibilizzazione” rivolti ai maestri e ai professori delle scuole primarie e secondarie. La propaganda delle università scivola senza controllo verso gli alunni di ogni età, con seminari in cui vengono celebrate le gesta storiche di Maometto, in cui i partecipanti si esercitano a “nominare gli imam”, a memorizzare i principi islamici e a simulare preghiere in moschea.
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