Tre lezioni dalla disavventura della signora Hass 08/03/2011
Tre lezioni dalla disavventura della signora Hass
Amira Hass
Cari amici, conoscete Amira Hass? Credo di non farle torto dicendo che nella stampa israeliana è la più grande tifosa dei palestinesi, la più petulante nemica dei governi israeliani (non solo l'ultimo ma anche quelli precedenti, considerati tutti occupanti e colonialistici), una che dimostra la sua solidarietà alle "lotte" palestinesi non solo a parole, ma anche vivendo a Ramallah e violando ostentatamente la legge israeliana, per esempio andando quando può a Gaza alla faccia del divieto d'accesso stabilito per la zona. Una che polemizza col suo giornale, Haaretz, perché non lo trova abbastanza antisraeliano. Una poi che non si formalizza molto a distinguere fra "lotte pacifiche", cioè condotte solo a pietrate e colpi di fionda, e attentati terroristici veri e propri; e che incontra volentieri sia Hamas che Fatah. Purché antisraeliani, le vanno bene tutti Potete giudicarla un'eroina della giustizia e del dialogo o una traditrice nemica del suo popolo e di se stessa: in questa sede non importa. La mia opinione personale... be' quella potete facilmente indovinarla.
Dunque, la Hass nelle scorse settimane ha abbandonato la sua amata Ramallah ed è andata in trasferta al Cairo, a seguire la rivolta con cui naturalmente solidarizza in pieno, anche e soprattutto quando emerge la sua rabbia antisionista. Purtroppo la signora Hass ha subito, come racconta in un articolo, la peggiore "frustrazione professionale" possibile per un inviato, perché nessuno, proprio nessuno, ha voluto parlare con lei – almeno quando capiva chi era. La racconta così in un articolo (http://www.haaretz.com/print-edition/features/the-israeli-occupation-echoes-from-cairo-1.347563) Lei chiamava qualcuno, diceva "Buon giorno, ho avuto il suo numero dal tale, vorrei farle un'intervista", la persona rispondeva "con piacere", poi lei continuava "mi chiamo coì e così, ho vissuto a Ramallah negli ultimi anni e scrivo per Haaretz" E a questo punto la mandavano a quel paese, più o meno cortesemente. Come mai nessuno al Cairo voleva parlare con una notoria amica dei palestinesi, una eroica resistente alla prepotenza sionista?
Le ragioni secondo lei sono diverse, riassumibili in tre categorie. Cito dalla nota Ansa di Aldo Baquis che riassume il suo articolo: "Prima di tutto ci sono quelli che "non accettano per principio l'esistenza dello Stato di Israele, pur non essendo necessariamente parte dei Fratelli Musulmani". Rifiutando di incontrare israeliani, spiega, difendono l'immagine astratta che si sono creati di un Israele "come fortezza crociata". Poi ci sono quelli che, pur accettando come un dato di fatto l'esistenza di Israele, si sono negati alla giornalista giunta da Tel Aviv per "chiarire agli israeliani che non accettano l'aggressività del loro governo". C'é infine una terza categoria, spiega la Hass, di attivisti che l'hanno evitata "solo per timore delle diffusione di voci e di disinformazioni". Ossia per non esporre il fianco ad attacchi velenosi dei rivali.
Nell'articolo di Hass, assai più che nel riassunto di Baquis, appare che la giornalista è boicottata in quanto ebrea, non solo come israeliana; ma il suo atteggiamento è tutto sommato di accettazione: non a caso il giornale che la sostiene ha titolato il pezzo: "L'eco dell'occupazione israeliana al Cairo", come se il problema fosse davvero "l'occupazione" e non l'esistenza stessa di Israele e magari anche degli ebrei. Io vi suggerisco invece di prendere qualche lezione dalla disavventura della signora Hass:
1. Al Cairo, rivoluzione o non rivoluzione, il clima è di tale odio per Israele che anche chi non lo condivide (il terzo caso della classificazione di Hass) non ritiene di poter parlare senza rischio con un cittadino israeliano, fosse pure il più esemplare dei dissidenti come la signora in questione.
2. Chi ritiene che l'avversione a Israele sia tutta politica e che basterebbe comportarsi in maniera diversa per "ritornare" alla pace alla pace e all'armonia fra i popoli, può verificare qui che non basta "comportarsi bene" per sottrarsi all'ostilità della piazza araba, che non distingue affatto fra israeliani buoni e cattivi, ma fra arabi ed ebrei.
3. Di conseguenza: dire "virtuosamente": "io abito a Ramallah" non ti evita affatto boicottaggio e umiliazioni. La politica del coccodrillo (quella per cui il più furbo di un gruppetto assalito dai rettili cerca di far mangiare prima gli altri, sperando che i mostri si sazino), non funziona mai; indicare gli altri come i malvagi non impedirà al momento buono un bel colpo della potente mascella del rettile e una lenta ma soddisfacente digestione, magari condita da qualche lacrima di coccodrillo per il nuovo "Olocausto". Dire che il cattivo è Netanyahu (e Peres e Livni e tutti) non impedisce che la signora Hass sia colpevole agli occhi dei suoi interlocutori. Non di quello che scrive, ma degli antenati da cui discende.