Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/03/2011, a pag. 46, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "Se il paese nato dal deserto si divide per una questione di alberi".


Francesco Battistini, Bibi Netanyahu
Francesco Battisini inizia l'articolo elogiando Israele per la sua attenzione alla natura, ma la conclusione è degna di un articolo del quotidiano di Rocca Cannuccia. Se Israele pianta alberi e ha cura di quelli che sono nei suoi confini, dovrebbe fare lo stesso con quelli della Cisgiordania: " Forse è il momento per chiederselo: dove finisce la sensibilità ecologica ogni volta (ogni settimana) che i coloni assaltano, avvelenano, tagliano le piante che danno di che vivere alla Cisgiordania? In Israele, di quegli ulivi si occupano (poco) la polizia, quel che resta della sinistra, qualche rabbino ". Leggendo la frase sembra che la presunta distruzione di alberi in Cisgiordania da parte di coloni sia approvata da Netanyahu. Niente di più lontano dal vero.
Ciò che interessa al governo israeliano è la pace con i palestinesi. Le colonie illegali, come scrive anche Battistini, vengono smantellate : " in queste settimane, Netanyahu fronteggia contestazioni dalle colonie illegali che ha tentato di sloggiare ". E' ovvio che ci siano contestazioni e proteste. Il fatto che i coloni rifiutino di andarsene e protestino non significa che il governo approvi la situazione.
Battistini scrive . " Il governo Netanyahu ha buttato lì una proposta di legge che ha pochi eguali: punire col carcere, fino a sei mesi, chiunque tagli o sradichi o danneggi gravemente e senza ragione un «albero maturo» ". Non c'è scritto da nessuna parte che i coloni che tagliano alberi siano esenti dalla pena, perciò non è ben chiaro dove voglia andare a parare Francesco Battistini.
Ecco il pezzo:
Disse qualcuno che l’autobiografia d’un albero è la storia d’un popolo. E se c’è un popolo che ha scritto la sua storia in un libretto verde, nel senso dell’ecologia e non di Gheddafi, è Israele. Dove il rispetto della natura è una faccenda che tutti prendono benedettamente sul serio. Il governo Netanyahu ha buttato lì una proposta di legge che ha pochi eguali: punire col carcere, fino a sei mesi, chiunque tagli o sradichi o danneggi gravemente e senza ragione un «albero maturo» . È sempre un episodio a svegliare i legislatori e, in questo caso, c’entra l’indignazione provocata dagli ignoti che qualche giorno fa hanno segato il più grande carrubo del Paese, in Galilea. È spesso un grande passato a determinare atti coraggiosi: proprio qui nacque l’organizzazione ambientalista più antica del mondo, il Keren Kayemeth, che da 110 anni fa da colonna portante all’edificazione sionista. Non c’è leader in visita a Gerusalemme al quale non tocchi il rito della piantumazione. Non c’è scolaretto israeliano che non sia stato portato in un bosco a lasciare una pianticella. Se curare un albero è curarsi della storia, si può immaginare il dibattito sul decreto salvapiante. Fra sottili distinguo sul concetto di vegetale «maturo» . Con le obbiezioni di chi teme una burocrazia incapace di valutare caso per caso. Giusto: siamo in democrazia e la legge dev’essere frutto d’innesti, potature, sfrondamenti. E magari di qualche considerazione scomoda: come mai tanta premura per gli alberi d’Israele e tanto silenzio, invece, quando a morire sono gli ulivi dei palestinesi? Proprio in queste settimane, Netanyahu fronteggia contestazioni dalle colonie illegali che ha tentato di sloggiare. Forse è il momento per chiederselo: dove finisce la sensibilità ecologica ogni volta (ogni settimana) che i coloni assaltano, avvelenano, tagliano le piante che danno di che vivere alla Cisgiordania? In Israele, di quegli ulivi si occupano (poco) la polizia, quel che resta della sinistra, qualche rabbino. Perché ci sono autobiografie, apocrife, che la storia evidentemente si dimentica di leggere.
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