Il mondo arabo in rovina o un nuovo inizio ?
di Zvi Mazel
(traduzione di Angelo Pezzana)
Zvi Mazel
Il mondo arabo di domani sarà molto diverso da quello che abbiamo conosciuto. Dopo decenni di oppressione, le masse arabe sono in movimento, hanno scoperto che possono cambiare il loro destino. Non tutti i regimi crolleranno, ma tutti dovranno effettuare riforme sostanziali e riconoscere le libertà di espressione, insieme a un maggiore rispetto verso i diritti umani. Questo non sgnifica che gli elementi base che hanno caratterizzato fino ad oggi l’impalcatura politica, economica, sociale e religiosa dei paesi arabi scomparirà di colpo. Queste nazioni dovranno superare eredità secolari di arretratezza e lotte religiose che hanno caratterizzato l’islam sin dall’inizio. Saranno queste rivoluzioni capaci di liberarli dai sistemi tribali e clientelari che ancora oggi prevalgono nelle società arabe ? Cesserà la discriminazione e l’oppressione contro le donne ? E l’alta percentuale di analfabeti, in parte o totali ? E’ logico dubitare che la soluzione di questi problemi farà parte dei nuovi valori democratici e che daranno inizio ad un progresso economico.
Molte domande e troppo poche risposte. Purtroppo è vero che il Medio Oriente vivrà anni di instabilità prima che i nuovi regimi possano trovare un equilibrio tra le richieste delle forze politiche emergenti e quelle delle società tradizionali arabe. Le rivoluzioni sono lontane dall' essersi concluse e le moltitudini scenderanno in strada ancora per molto tempo per protestare contro le decisioni prese dai nuovi governanti insieme a quelle sopravvissute dei passati regimi. Frange estremiste cercheranno di distogliere queste masse dai loro obiettivi, derubandole così della loro rivoluzione. E’ quel che capita alle rivoluzioni popolari, finchè si indeboliscono e muoiono. Basta vedere la fine che hanno fatto le rivoluzioni francese e russa.
Tuttavia, malgrado questa profonda incertezza, alcuni fatti sono emersi. Il primo è che non è stata la questione palestinese a trascinare le masse in piazza. Le forze di opposizione hanno cercato in diversi modi , e ancora ci provano, di fare in modo che i manifestanti dimostrino contro Israele in nome dell’intifada o per le guerre contro Hamas a Gaza o Hezbollah in Libano, ma con scarso successo. La questione israeliana, usata per decenni dai leader arabi per deviare l’attenzione dei loro popoli dai gravi problemi economici, si è rivelata per quello che era: solo un pretesto. Una identica conclusione si può applicare per quanto riguarda l’islam estremista in entrambi gli aspetti, quello delle organizzazioni jihadiste e i Fratelli musulmani. Nessuno di loro è riuscito ad infiammare le masse e trascinarle a rovesciare i regimi.
Al Qaeda e le sue ramificazioni jihadiste hanno cercato di portare a termine innumerevoli attacchi nei paesi arabi, con campagne per influenzare, attraverso internet, anche le moschee, con l’aiuto di canali satellitari come Al Jazeera, ma sono riusciti a recrutare solo poche migliaia di giovani. Al Qaeda, e altri gruppi simili, non hanno mai rappresentato una alternativa ai regimi dei paesi arabi, con l’eccezione della Somalia, dove il governo centrale è stato rovesciato anni fa e dove oggi regna l’anarchia. Il massimo che hanno potuto fare è stato provocare l’odio tra la gente contro l’Occidente dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto su un giornale danese.
I Fratelli musulmani, attivi da decenni nei paesi arabi, lavorano apertamente per creare un regime islamico e sono visti nel mondo arabo come una minaccia permanente. Ma fino ad oggi non sono riusciti a raggiungere il loro scopo. E’ stato per motivi economici che in Egitto e in Tunisia gli studenti e i disoccupati appartenenti alla classe medio bassa hanno incominciato a dimostrare. All’inizio i Fratelli musulmani non vi hanno aderito, pensando, erroneamente, che i dimostranti avrebbero perso, per cui, farne parte, non avrebbe aiutato il raggiungimento dei loro obiettivi. Hanno poi capito il loro errore, si sono uniti ai manifestanti mantenendo però un basso profilo. D’altro lato, il fatto che Yussef Karadawi, il teologo più famoso del movimento, abbia ottenuto il permesso di condurre la preghiera del venerdì a piazza Taharir, dove si erano radunati centinaia di migliaia di manifestanti, dimostra che i Fratelli musulmani hanno tirato i fili della rivolta da dietro le quinte. Ora hanno rappresentanti nel comitato costituito per emendare la Costituzione, e si stanno dando da fare per bloccare la cancellazione dell’articolo 2, che stabilisce che l’islam è la religione di stato e che la sharia è la legge principale. In altre parole, il consiglio superiore dell’esercito ha deciso di adottare una politica morbida verso i Fratelli musulmani, essendo arrivati alla conclusione che i Fratelli rappresentano una forza politica bene organizzata, ma anche che gli egiziani nel loro insieme vogliono preservare la natura islamica della nazione.
In Tunisia, malgrado il ritorno dall’esilio dopo vent’anni del leader dei Fratelli, Rashed Ranouchi, l’organizzazione non gioca un ruolo importante nel post rivoluzione. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che Bourghiba prima e Ben Ali dopo, hanno cercato con successo di mantenere buoni rapporti con quel movimento, mentre favorivano la crescita dell' influenza occidentale. L’ esatto opposto è successo in Giordania, dove i Fratelli sono la maggiore forza di opposizione al regime, anche se al momento il trono di Abdullah sembra abbastanza sicuro. In quanto alla Libia, la situazione non è ancora chiara, anche se gli islamisti sono uno dei gruppi più forti contro Gheddafi.
Interessante notare che gli stessi Fratelli musulmani devono affrontare contestazioni nel mondo arabo. In Egitto, un gruppo di giovani bloggers, membri della Fratellanza, hanno organizzato una domostrazione per il 17 marzo davanti agli uffici del Cairo. Chiedono le dimissioni di Mohammed Badie, la guida suprema, eletto appena un anno fa, lo scioglimento di tutte le istituzioni del movimento, ed elezioni libere e trasparenti. Queste forti richieste, che colpiscono al cuore la Fratellanza, non avrebbero potuto essere formulate un mese fa; i bloggers hanno dichiarato che non meno di 30.000 membri hanno garantito il loro appoggio e saranno presenti alla dimostrazione. I leader ufficiali della Fratellanza, dal canto loro, insistono nel dire che il moviemnto è unito, e che continuano a proseguire tutti gli sforzi per creare un “ Paese democratico sulla base della Sharia”. Si propongono di formare un partito politico, che si chiamerà “ Libertà e Giustizia”, un canale televisivo satellitare, giornali quotidiani e settimanali. In altre parole, sono pronti a far parte a pieno titolo del processo di cambiamento. La Fratellanza è sempre stata conosciuta per le sue posisioni dogmatiche in materia teologica, anche se al momento non è chiaro quali cambiamenti stiano per arrivare al quasi centenario movimento.
Ci sono poi un gran numero di incognite nella sollevazione del mondo arabo. Riusciranno gli islamisti a creare partiti politici “moderati”, e quanto “moderati” saranno realmente ? E in Arabia Saudita, che cosa succederà ?
Il re ha 87 anni, ed è appena rientrato dagli Stati Uniti e dal Marocco dopo una difficile operazione. Ha ordinato immediatamente che ad ogni famiglia venissero dati 500 dollari, una mossa volta ad attenuare le difficoltà economiche della gente, ma che si è rivelata tardiva e inadeguata. L’Arabia Saudita, di fronte alla rivoluzione, non è messa meglio degli altri stati arabi. La maggior parte degli introiti che arrivano dal petrolio vanno ai 20.000 principi che tiranneggiano il paese. Povertà e disoccupazione sono diffusi e lo stile di vita stravagante e corrotto dei governanti è causa di forti risentimenti da parte della popolazione. La minoranza shiita è oppressa e discriminata. Va anche detto che i più vasti giacimenti di petrolio sono al confine con il regno del Bahrain, dove la maggioranza shiita sta cercando di estromettere la Famiglia reale sunnita.
Saprà il re saudita Abdullah essere abbastanza saggio da privarsi di alcuni privilegi per pacificare la popolazione e la minoranza shiita ? Nel passato ha concesso qualche piccola riforma nel campo dell’educazione, ma nulla che affrontasse i veri problemi. Sicuramente teme quel che può succedere in Bahrain, Yemen e Oman, suoi vicini che condividono gli stessi problemi. D’altro canto, può far forza sulla tradizionale alleanza tra la Famiglia reale e l’establishment religioso wahabita, anche se questa alleanza può vacillare come è successo in Egitto. Per il momento il Regno opsita dittatori caduti in disgrazia, come Ben Ali, e ha offerto asilo anche a Mubarak. La recente dichiarazione di Obama, nella quale si augura che i cambiamenti avvengano all’interno dei regimi esistenti, viene vista come un tacito sostegno agli stati ricchi di petrolio.
Ciò detto, la domanda più importante oggi è in quale misura la tradizione islamica e il nazionalismo arabo possono andare d’accordo con democrazia ed eguaglianza. Sempre che sia possibile. Nel frattempo, il conflitto israelo-palestinese e l’etremismo islamico, che hanno dominato il mondo arabo e l’Occidente in questi anni, non occupano più il centro del palcoscenico politico. Le masse arabe più di tutto chiedono migliori condizioni economiche e sociali.
Infine, l’Iran, che appare il maggior beneficiario di tutta questa confusione. I suoi più strenui oppositori, i cosidetti governi pragmatici, sono alle prese con i loro problemi interni, problemi che lo stesso Iran, a giudizio di alcuni, ha volutamente provocato.
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora a Informazione Corretta.