Il commento di Claudia De Benedetti
Claudia De Benedetti, vicepresidente UCEI
I giornali della settimana scorsa e dunque anche la rassegna di Informazione Corretta sono stati attenti soprattutto agli eventi delle rivolte arabe, in particolare di quella libica. Si sono succedute notizie di forte impatto emotivo, annunci di combattimenti, di stragi, di interventi occidentali, di fughe dei dittatori, che poi spesso sono stati smentiti o ridimensionati. Dobbiamo confessare che non sappiamo molto di quel che accade davvero in questi paesi e i giornali non ci aiutano a capire - almeno questa è la mia sensazione. Le analisi ci suggeriscono prudenza o speranza, prospettive entusiasmanti o pericoli terribili. Probabilmente sono giustificati sia l'ottimismo che il pessimismo, ma è certamente difficile per una non addetta ai lavori come me esprimere un parere.
Preferisco quindi usare questo spazio per commentare un altro episodio che ha fatto scandalo nei giorni scorsi: l'arresto e il licenziamento dello stilista Galliano della Maison Dior, per aver aggredito una coppia in un locale di Parigi con volgarissimi insulti antisemiti. Il caso non è isolato. In questa settimana sono stati denunciati gesti antisemiti anche dell'attore americano televisivo Charlie Sheen, della band giapponese Kishidan, dell'organizzatore dei Wikileaks John Assange, per non parlare dei manifesti dei dimostranti arabi in cui venivano marchiati con la stella di Davide vecchi dittatori antisemiti come Mubarak e Gheddafi, quest'ultimo addirittura ritratto in un manifesto dei ribelli con Maghen David e svastica assieme.
Lasciamo stare quest'ultimo caso, che certamente dev'essere attribuito ai molti decenni di martellante propaganda antisraeliana dei regimi arabi, per cui Israele è diventato il simbolo del male. E non entriamo neppure nel merito delle discussioni se Assange sia stato frainteso, se Galliano fosse troppo ubriaco per dire quel che pensava e così via. Il punto non è questo. Notiamo invece che, come ha raccontato P.G. Battista sul "Corriere", questi gesti hanno ricevuto molte condanne, ma anche numerosi echi positivi sui social network come Twitter e Facebook. Bisogna chiedersi perché, quando ancora gli ultimi testimoni della Shoà sono presenti ad attestare l'orrore del nazismo, si riproponga il fascino dell'orrore e torni a girare la macchina dei pregiudizi antisemiti. Le persone che ho citato non sono marginali: si tratta di personaggi noti, educati, istruiti, ricchi, con vasta esperienza del mondo, abituati a misurare attentamente la propria immagine. Non appartengono a nazioni che abbiano conflitti aperti con Israele, né, a quel che si sa, hanno ragioni personali di astio contro gli ebrei.
E allora, perché? Perché invocare Hitler, riprodurre i suoi simboli, ripetere i suoi slogan? Perché noi ci troviamo ancora una volta a doverci difendere da un antisemitismo aggressivo e volgare, a dover temere di nuovo che le parole si trasformino in violenza, come del resto capita già abbastanza spesso, tanto che una violazione di tombe ebraiche, un'aggressione razzista, una svastica dipinta su un luogo ebraico non fa più notizia? La settimana scorsa è stata bruciata una sinagoga in Tunisia, pochi giorni fa è stato percosso il rabbino di Losanna nella civilissima svizzera, ma pochi ne hanno parlato.
C'è bisogno di un esame di coscienza da parte di tutti. La demonizzazione di Israele ha riaperto il varco all'odio per gli ebrei, l'antisionismo ormai mostra facilmente la sua essenza antisemita. Per fortuna nelle società democratiche gli anticorpi ci sono: Galliano è stato denunciato e licenziato per la sua bravata, Assange è stato costretto a una rapida smentita, il gruppo giapponese è stato costretto ad abbandonare le divise naziste con cui voleva andare in scena. Ma il problema resta e richiede da parte di tutti vigilanza e azione.