Riprendiamo questo pezzo di Francesco Battistini sul CORRIERE della SERA di oggi, 06/03/2011, a pag. 29, con il titolo " La prima sfilata della Palestina con lo stilista di Rania".
Siamo lieti che a Ramallah si svolgano sfilate di moda, sempre meglio una sfilata di qualche 'martire' in nome della causa. Ma Battistini, per non cadere nel patetico, poteva risparmiarsi la battuta del check-point, anche se non è stato lui a pronunciarla. Come dicevamo, meglio uno stilista, anche se confeziona abiti che richiamano la bandiera palestinese, ma come ha chiamato 'imperatrice' la moglie di Mubarack ( dinastia caduta in disgrazia), poteva sprecare qualche aggettivo sulla qualità della sfilata, invece di prenderla così sul serio. Noi invece facciamo molti auguri allo stilista Jamal Taslaq, stia attento a non incorrere in qualche condanna contenuta nella Sharia, non si sa mai...
Ecco il pezzo:


'moda' palestinese Jamal Paslaq, qui con Patty Pravo
DAL NOSTRO INVIATO RAMALLAH (Cisgiordania) — La rivoluzione non è un pranzo di gala e non passa nemmeno per una sfilata di moda. O forse sì? Nell’aria immobile di Ramallah, la più quieta delle capitali in questa collezione autunno inverno di rivolte arabe, un venerdì sera del dì di preghiera s’illuminano i saloni del primo, unico hotel a cinque stelle mai visto nei Territori. E sale in passerella il primo, unico stilista palestinese mai visto nell’alta moda: Jamal Taslaq, quarantenne emigrato da Nablus che ce l’ha fatta, studi a Firenze e nelle grandi sartorie romane, oggi un atelier tutto suo dalle parti di via Veneto, clienti come Rania di Giordania e Sharon Stone. Due anni fa, mentre gli israeliani bombardavano Gaza, fu Patty Pravo a scegliere Jamal per vestirsi a Sanremo. Stavolta l’hanno voluto la ministra della Cultura, Siham Barghouti, e il console a Gerusalemme, Luciano Pezzotti. Per dimostrare che anche a Ramallah si può: modelle italiane, abiti da sposa e strascichi da sera, tailleur coi risvolti di kefiah e meravigliosi ricami da regina di Saba, perfino un fasciante coi quattro colori della bandiera palestinese. Una sfilata più lunga d’un discorso di Abu Mazen e comunque ben più affollata, più fotografata, più apprezzata. Hanno applaudito tutte. Velate e svelate. Sposate e sposabili. «Quand’ero ragazzo e c’era la prima intifada— racconta Jamal —, era impossibile parlare di cose belle, mentre intorno sparavano. I miei amici sognavano d’andare in Europa a fare architettura. Io, no. Io sognavo già la moda. Molti non capivano, mi prendevano in giro: non è una cosa seria... Ma a costo di pulire le strade, sono partito con un visto di studio. Ora trovo una Palestina cambiata. I problemi sono tutti lì, ai check point capisci che la libertà ancora non l’abbiamo. Ma c’è la voglia di vivere, crescere, svoltare. L’inizio d’un cammino si può fare indossando pure un bel vestito» . Jamal è contento che il gusto degli arabi sia cresciuto, dice che anche questa piccola rivoluzione è dovuta a internet: «Non ci sono più i ricconi del Golfo che compravano solo kitsch, tutto purché brillasse. La rete ha risvegliato anche il gusto. Viaggiano, si raffinano. Capiscono che il design riposa l’occhio» . Il velo è un limite? «Le musulmane devono rispettare i limiti della religione, ma questo non mortifica la loro voglia d’essere belle» . Testimonial di Jamal è stata anche Suzanne Mubarak: com’erano gli abiti dell’imperatrice? «Una cliente come un’altra. Anche se si vedeva subito la first lady, abituata a vivere da tanti anni nell’eleganza assoluta» . Spendeva tanto, eh?... «Spendeva il giusto. Non sono mica Armani o Valentino, io» .
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