Francoforte, l'attentatore era un terrorista fai-da-te Cronaca della Redazione del Foglio
Testata: Il Foglio Data: 05 marzo 2011 Pagina: 3 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «E’ a Sossenheim, non a Kabul, che Uka è diventato islamista»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/03/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " E’ a Sossenheim, non a Kabul, che Uka è diventato islamista ".
Arid Uka
Roma. Per anni, l’esistenza di Arid Uka è stata simile a quella di molti immigrati che vivono in Germania. Un appartamento nel quartiere Sossenheim, alla periferia di Francoforte, diviso con i genitori e due fratelli, le scuole poco lontano da casa e il lavoro a tempo pieno nel grande aeroporto della città. Proprio lì, mercoledì pomeriggio, ha puntato una pistola contro un pullman carico di marine americani e ne ha uccisi due. La polizia lo ha fermato immediatamente, ma l’attacco ha riportato in Europa il pensiero del jihad, della guerra santa contro l’occidente, perché Uka è un musulmano del Kosovo e ha sparato gridando “Allah Akbar”, Allah è grande, come fanno gli islamisti di Kabul e di Baghdad prima dei loro attentati. I magistrati tedeschi dicono che le prove raccolte sinora portano a escludere la pista di al Qaida. Ma ne svelano un’altra, che sembra ancora più pericolosa: è possibile che Uka sia un terrorista fatto in casa, che abbia nutrito per anni il proprio odio verso l’occidente nel quartiere Sossenheim, dove gli amici e i vicini lo descrivono come un ragazzo normale, magari introverso, ma sicuramente “non estremista”. Sino al giorno dell’attacco. Secondo il settimanale Spiegel, Uka ha deciso di colpire dopo avere visto un video su YouTube che mostrava lo stupro di una donna musulmana. Ha detto di avere agito da solo, senza alcun complice, e gli investigatori pensano che la sua confessione sia credibile. Per questo, ieri hanno categoricamente sconfessato l’ipotesi di un legame con le strutture del terrorismo internazionale. Tuttavia, le autorità tedesche tengono in grande considerazione l’amore del giovane per l’islamismo. Uka aveva scelto un nome arabo, Abu Reyyan, per la corrispondenza via Internet. Il suo profilo su Facebok è pieno di tracce che portano ai predicatori radicali del mondo sunnita, come le parole di un inno jihadista lasciate sulla bacheca due settimane prima della sparatoria a Francoforte. La canzone dice più o meno così: “Non posso sopportare altre umiliazioni, la mia arma è sempre pronta”. Buona parte dei suoi 125 amici mostra simpatia per la causa antisemita, antiamericana e antisciita. Fra loro c’è anche un predicatore salafita, Sheikh Abdellatif, che è originario del Marocco ma ha vissuto a lungo nella stessa città di Uka – nonostante questo, gli inquirenti pensano che i due non si siano mai incontrati di persona. Abdellatif fa parte di un network, Dawfamm, che si propone di diffondere in Europa lo stile di vita delle comunità islamiche. Sempre secondo lo Spiegel, Uka ha acquistato la propria pistola un paio di mesi fa, dopo aver cercato senza fortuna di ottenere un visto per l’Afghanistan. In Germania, il dibattito sulla convivenza fra culture diverse è in cima all’agenda politica. Il cancelliere, Angela Merkel, ritiene che il multiculturalismo sia un esperimento “fallito”, e che il paese “non ha bisogno di un’immigrazione che pesi sul sistema sociale”. Il presidente della Repubblica, Christian Wulff, ha ribadito pochi giorni fa che gli immigrati turchi “devono imparare la nostra lingua”, perché “non possiamo più chiudere gli occhi di fronte ai problemi della Germania”. Sossenheim non assomiglia certo a un campo di addestramento dei talebani, ma questo non significa che sia meno pericoloso. E’ in quelle strade che un giovane qualunque come Arid Uka si è infatuato dell’islamismo, e il particolare preoccupa le autorità tedesche. Perché gli imam integralisti possono essere cacciati dal paese, le moschee si possono chiudere, la polizia e i servizi segreti possono controllare, fermare, cancellare le reti islamiste. Ma c’è poco da fare contro i terroristi fai da te.
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