Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 03/03/2011, a pag. 3, il commento dal titolo "Perché l’Italia sentirà la mancanza del Gandhi pachistano".
Shahbaz Bhatti
Roma. Shahbaz Bhatti, l’unico ministro cristiano nel governo del Pakistan, amava sostenere che gli interlocutori stranieri dovevano sollevare il tema delle minoranze religiose in Pakistan. Come esempio portava la sua visita di settembre in Italia, al seguito del presidente Zardari: l’interesse del governo di Roma, così come quello della Santa Sede, gli avevano conferito un profilo più alto in patria. A Castel Gandolfo aveva avuto uno scambio di saluti con il Papa, e il giorno successivo era stato ricevuto dal segretario per i Rapporti con gli stati, monsignor Mamberti, e dal presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso, il cardinale Jean Louis Tauran. L’eccezionalità dell’incontro con Benedetto XVI denotava un interesse più elevato della tradizionale prudenza che contraddistingue le posizioni della Santa Sede. Bhatti rappresentava ormai l’unica speranza per la tutela delle minoranze religiose – e di quella cristiana in particolare. Data ormai per acquisita l’impossibilità di abrogare la legge sulla blasfemia, si auspicava perlomeno che ci fossero spazi per modificarne le procedure di attuazione. Ma la preoccupazione maggiore riguardava la condizione dei cristiani: una comunità di circa due milioni di persone, delle quali poco più della metà cattolici, esclusi dall’istruzione superiore e da posizioni di rilievo nella Pubblica amministrazione. Bhatti è stato un figura ammirevole per il coraggio e per l’equilibrio e il pragmatismo con cui ha combattuto l’oscurantismo di alcune realtà islamiste. Ha sfruttato con abilità l’esigenza del suo partito, il Ppp, di acquisire il sostegno economico e politico dei paesi cristiani, proponendosi come ponte verso quelli che sono importanti alleati e finanziatori. Nell’agenda di settembre, in Farnesina, le iniziative di Bhatti avevano incontrato l’impegno del ministro degli Esteri, Franco Frattini. E avevano quasi oscurato il pacchetto di aiuti messo a punto dall’Italia per rispondere all’emergenza inondazioni in Pakistan (circa ottanta milioni di euro e un impegno in seno all’Unione europea per una maggiore apertura del mercato comunitario ai prodotti pachistani). L’Italia aveva lanciato uno specifico piano d’azione europeo in tema di tolleranza religiosa, e aveva proposto una risoluzione sull’intolleranza religiosa. Iniziative che Frattini aveva illustrato al Meeting di Rimini, proprio alla presenza dell’ambasciatore pachistano, e già all’attenzione del presidente Zardari. Una società “fondata sul rispetto di tutte le religioni”, questo era l’obiettivo di Bhatti, che voleva il riconoscimento pubblico delle festività religiose di tutti i credo praticati in Pakistan, l’avvio di una campagna per il dialogo e la protezione delle minoranze, l’istituzione in ogni distretto di comitati per l’armonia interreligiosa, con ilcompito di intervenire in caso di tensioni fra le diverse comunità. E la riserva del 5 per cento degli impieghi pubblici alle minoranze. Prima di ricambiare la visita a Islamabad, a novembre, Frattini ha lanciato l’idea, subito accolta, di un incontro fra Bhatti e i quindici ministri degli Esteri europei affiliati al Ppe. Per far conoscere quanto fatto e quanto ancora da fare – non soltanto in Pakistan – per una effettiva tutela della libertà religiosa. Il 17 marzo, a Sarajevo, il ministro lo avrebbe incontrato per la terza volta, nonostante i silenzi dell’Europa. Quella riunione non ci sarà. Con Bhatti, il mondo perde un campione dei diritti e l’Europa un’occasione per uscire dal silenzio opaco e dalla vigliaccheria con cui nasconde e si nasconde dalle proprie responsabilità e dalle sue radici. Bhatti è morto come un Gandhi della cristianità, troppo amico della fede per permettere alla sua scorta di difenderlo e di difendersi.
Per inviare la propria opinione al Foglio, cliccare sull'e-mail sottostante