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"L'Egitto nella rete della rivoluzione "
L'Egitto si trova all'apice di una rivoluzione popolare le cui conseguenze non sono prevedibili. Questa è la conseguenza di una rivoluzione senza leader, sulla base di una lunga disperazione dovuta a povertà, miseria, corruzione delle élites, oltraggiosa mancanza di eguaglianza. I manifestanti hanno avanzato la loro richiesta principale: la cacciata di Mubarak dal potere, ciò nonostante non c'è alcuna sicurezza che si realizzi la speranza di costruire uno stato democratico, basato sul principio di pluralità dei partiti, separazione dei poteri, garanzie di libertà d'espressione e diritti umani fondamentali. Mubarak ha rassegnato le dimissioni sotto la pressione delle masse e ha passato il testimone del potere all'esercito, che però opera all'infuori della costituzione, è così incominciato un nuovo processo, lungo e complesso, al termine del quale un nuovo regime dovrebbe esser fondato. Mubarak non poteva rassegnare le dimissioni secondo le norme costituzionali, poiché in tal caso avrebbe dovuto destinare il potere ad Ahmed Shafiq, Presidente del Parlamento, eletto in novembre sulla base di brogli e ritenuto non rappresentativo del popolo, con l'opposizione quasi priva di rappresentanza. Si può pertanto affermare che queste infauste elezioni parlamentari siano state uno dei fattori che hanno portato alla rivolta. Il Presidente del Parlamento doveva servire a indire elezioni entro 60 giorni, in altre parole perpetuare il regime precedente come se nulla fosse accaduto, per cui i manifestanti non avrebbero raggiunto il loror scopo.
Il Consiglio superiore dell'esercito, sotto il controllo del Ministro della Difesa, il generale Muhammad Tantawi, ha impiegato quasi sette giorni per capire che agiva in un contesto di vacuum iuris e istituzionale. I manifestanti hanno costretto il Consiglio a sospendere la costituzione, sciogliere il parlamento e a istituire un'assemblea per la redazione di una nuova Costituzione.
Il Consiglio dell'Esercito deve far fronte a problemi assai gravi e non è sicuro che ne abbia la capacità. Anzitutto deve sovrintendere all'ordine pubblico, ripulire le città egiziane dalle rovine, preoccuparsi dei risarcimenti ai cittadini i cui beni sono stati danneggiati, far riprendere il corso regolare della vita, e, principalmente, rimettere in piedi l'economia. Il che comporta ristabilire la fiducia dei cittadini e della comunità internazionale, con un regime militare stabile, anche se temporaneo. Altrimenti i turisti non metteranno più piede in Egitto e gli investitori preferiranno obiettivi meno precari. In più, il Consiglio dell'Esercito deve far progredire il processo politico per la formazione di nuove istituzioni.
Il Consiglio militare si è impegnato a traferire il potere a istituzioni civili in sei mesi, ma questo impegno sembra impossibile. Il dubbio più grande riguarda la possibilità di redigere una nuova Costituzione in così poco tempo e di indire elezioni parlamentari. L' elezione di un nuovo parlamento richiede, tra le altre cose, un periodo di circa un anno per la formazione di nuovi partiti e lo stabilirsi del loro rapporto con gli elettori. Costituzione e elezioni parlamentari sono il cuore della democrazia. Non è chiaro come il Consiglio militare supererà i numerosi ostacoli legati alla stesura della Costituzione e alle elezioni parlamentari in pochi mesi.
IN MOLTI CHIEDONO LA COSTITUZIONE DI UN REGIME PARLAMENTARE
Vi sono visioni radicalmente contrapposte fra le varie forze interne su Costituzione e Parlamento. Per quanto riguarda la Costituzione del futuro regime vi sono due grandi problemi che possono trascinare l'Egitto in un clima di violenza. Anzitutto si è già aperto il dibattito sui fondamenti del nuovo regime. In molti sostengono che si debba rinunciare alla forma di stato presidenziale, che esisteva dai tempi di Gamal Abd El-Nasser, il quale concentrò nelle mani del presidente ampi poteri che hanno gettato le basi per la dittatura. E' significativo che gran parte dell'opinione pubblica preferisca la forma di stato parlamentare come in Israele, con il potere esecutivo nelle mani del governo, formato dai partiti che hanno ricevuto più voti alle elezioni parlamentari, mentre il presidente assume il ruolo simbolico senza poteri esecutivi.
DIVISIONE SULL'INCLUSIONE NELLA COSTITUZIONE DI UN ARTICOLO BASATO SULLA RELIGIONE
Un ulteriore, centrale, problema è la natura civile del regime che si formerà. Amad El Tayeb, presidente di Al Azhar, che ricopre la carica da otto mesi, si è dimostrato un fanatico e ha già dichiarato che non appoggerà nessun tentativo di cancellazione dell' articolo 2 della precedente Costituzione. Questo articolo stabilisce che la religione di Stato è l'islam e che la fonte principale legisilativa è la shari'a. Ciò significa che la nuova costituzione si baserà nuovamente sulla religione con la conseguente discriminazione dei cittadini copti, gli abitanti originari dell'Egitto, che costituiscono il 10% della popolazione. A tal proposito, uno dei rappresentanti della comunità copta, l'avvocato Mahmud Ramzi, ha dichiarato che si oppone all'inclusione dell'articolo 2 nella nuova costituzione e di qualsiasi altro articolo che sia basato sulla religione. "Vogliamo una costituzione civile libera da ogni fondamento religioso" ha dichiarato.
Questo dibattito è solo all'inizio, per cui sarà difficile che in così poco tempo si riuscirà a trovare una conciliazione.
L'esercito che è controllato da generali della vecchia generazione, dai forti interessi economici, e forse con ambizioni politiche, tenterà verosimilmente di preservare il precedente quadro istituzionale e frenerà i cambiamenti, anche se non è certo che vi riuscirà, perchè dovrà fare concessioni significative sotto la pressione popolare. Due percorsi importanti intrapresi dall'esercito indicano le "intenzioni conservatrici".
Sotto la pressione dell'opposizione è cambiata la composizione del governo, ma è stato un cambiamento minimo. Solo due membri dell'opposizione sono entrati nel governo: Munir Fahri Abd el-Nur, segretario del partito Wafd, nominato ministro del turismo, e Gauad Abd el-Halik, membro della commissione-lavoro del partito di sinistra Tagmu, nominato ministro per la solidarietà e la giustizia sociale. In altre parole ministri di livello minore, mentre sono rimasti al governo dieci ministri del vecchio regime, che detengono dicasteri centrali: difesa, interni e esteri.
L'ESERCITO HA ISTITUITO UNA COMMISSIONE PER LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE
Secondo le richieste del popolo, l'esercito ha istituito una commissione per la riforma della Costituzione, il che non vuol dire per la stesura di una nuova, e ha dichiarato che saranno modificati gli articoli che permettevano al presidente di rimanere in carica per numerosi mandati e che limitavano la possibilità dei cittaidni egiziani di candidarsi alla presidenza autonomamente, e non come candidati di un partito. Saranno cancellati gli articoli che garantivano privilegi istituzionali al presidente, quelli che non consentivano elezioni libere, e quelli che impedivano la formazione di nuovi partiti politici. Nonostante la pressione dell'opposizione il Consiglio dell'Esercito ha dichiarato che la legge sullo stato di emergenza non sarà cancellata prima di sei mesi.
La composizione della commissione per la riforma della Costitzione costituisce un problema per molti egiziani. Il presidente è Tarek Bashri, giurista riconosciuto e rispettato, ma vicino ai gruppi islamici. Ne fa parte anche il rappresentate dei Fratelli musulmani. Gli altri sono membri autonomi provenienti dal mondo giuridico. Tale composizione può indicare l'intenzione del Consiglio dell'Esercito di riconciliarsi coi Fratelli musulanni, ritenuti una forza consistente, la più organizzata dell'opposizione, e con un potere reale di minaccia verso il regime. Anche il permesso concesso a Yussuf Al-Qaradawi, supremo leader dei Fratelli musulmani, che viveva in Qatar, di venire in Egitto due settimane fa per guidare la preghiera del venerdì in piazza Tahrir, indica che l'esercito lo ritiene in grado di rappresentare il movimento. Il risultato è che l'articolo 2 della Costituzione non sarà cancellato, l'Egitto non diventerà uno stato laico, e continuerà la discriminazione contro i copti. La commissione coordinatrice dei manifestanti e delle organizzazioni dell'opposizione, compresi i Fratelli musulmani, ha dichiarato che vuole il ritiro immediato dello stato di emergenza e che non è d'accordo sulla composizione del nuovo governo, che comprende come già detto il presidente del vecchio regime Ahmed Shafik. La Commissione di Coordinamente ha invitato ad una grande manifestazione per oggi venerdì in piazza Tahrir e ha assicurato che le persone rimarranno in piazza finché le richieste non saranno accolte.
LA CRESCENTE PARTECIPAZIONE DEI FRATELLI MUSULMANI
Più il tempo passa più si fa forte la partecipazione dei Fratelli musulmani. Come si ricorderà, erano stati poco presenti nella prima fase delle manifestazioni, solo dopo vi hanno aderito. Col tempo, dopo aver capito che la rivolta era vincente, hanno incominciato a prendere posizione, anche se discretamente. Loro appelli, nei quali veniva chiesto ai cittadini di unirsi alla rivolta, sono stati diffusi di casa in casa, pur non apparendo i Fratelli musulmani direttamente in prima linea. Con le dimissioni di Mubarak hanno dichiarato che non avrebbero presentato un candidato per la presidenza, che non avrebbero partecipato al nuovo governo, e che non erano interessati a conquistare la maggioranza del Parlamento. Tutto ciò con lo scopo di non allarmare la comunità internazionale. I dimostranti, che conoscono i Fratelli dalla loro fondazione nel 1928, non si fanno illusioni. Il loro scopo era e rimane la costituzione di uno stato islamico la cui costituzione è il Corano e la legge è la shari'a. La presenza di Qaradawi in piazza Tahrir ha rafforzato la loro immagine. Hanno incominciato a cooptare alcuni gruppi molto attivi nella Commissione di Coordinamento dei manifestanti e dell'opposizione. I loro portavoce si fanno intervistare e chiedono all'esercito di cancellare lo stato di emergenza e di costituire un nuovo governo tecnocratico, ossia senza rappresentanti dei partiti. Hanno anche dichiarato che si doteranno presto un canale televisivo satellitare, così come pubblicheranno giornali. Inoltre fonderanno un partito il cui nome sarà "Partito della Libertà e della Giustizia", e che parteciperà alle elezioni parlamentari. La richiesta di riconoscimento del partito sarà presentata solo dopo che sarà riformata la legge sui partiti, che ora vieta la possibilità di costituire partiti su base religiosa. I Fratelli musumlani, che si erano tenuti distanti dalle manifestazioni in un primo momento, adesso cambiano tattica e per gradi scoprono quanto potere hanno sul pubblico egiziano. La domanda è ovviamente quanti cittadini egiziani voteranno per loro se le prossime elezioni parlamentari saranno libere. Le previsioni oscillano tra il 20 e il 40 %, mentre c'è la certezza che i partiti laici che si formeranno comprenderanno una parte degli elettori che in passato votavano per i Fratelli musulmani, quando il voto per i Fratelli era considerato un gesto di ribellione contro il regime. Vi è inoltre da aspettarsi che il partito dei Fratelli sarà dopo le elezioni il maggior partito, senza il quale sarà impossibile formare un governo. In un modo o nell'altro, la comunità internazionale ha forti e concreti timori che i Fratelli musulmani usciranno vincitori da questa rivoluzione.
IL VECCHIO REGIME ESISTE ANCORA
Il vecchio regime, nonostante le dimissioni di Mubarak e il passaggio del potere all'esercito, esiste ancora e governa. Il partito nazionale democratico, il partito di Mubarak, gestisce ancora gli affari egiziani, i suoi membri ricoprono ancora la maggior parte dei ministeri, e sono tuttora presenti nella maggior parte dell istituzioni di governo, civili e sociali. Si tratta di un partito con tre milioni di iscritti, non è possibile liquidarlo così facilmente. Ci sono anche dubbi sulla necessità di scioglierlo, il che potrebbe portare alla paralisi del sistema come accaduto in Iraq dopo che gli americani hanno sciolto il partito Baath.
Il Consiglio Superiore dell'Esercito si trova ora di fronte a sfide complesse. Riuscirà a far fronte ai manifestanti, ai Fratelli musulmani e alle altre organizzazioni dell'opposizione, per arrivare gradualmente un regime che assicuri stabilità e garanzie della libertà d'espressione e dei diritti umani ? È un'opzione possibile, in uno stato che non ha quasi mai conosciuto cosa signifca democrazia? O forse le posizioni contrapposte all'interno dell'opposizione , tra musulmani e copti, tra laci e Fratelli musulmani porterà alla violenza e a un periodo di instabilità?
Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora a Informazione Corretta. |
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