Cari amici, queste cartoline in genere si propongono di darvi dei dati scovati in fonti che non arrivano all'opinione pubblica e di raccontarvele in maniera un po' ironica e paradossale. Oggi farò eccezione a entrambe queste regole. In casi eccezionali una riflessione seria ci vuole, anche se i dati sono piuttosto noti. E oggi siamo nel bel mezzo di un caso eccezionale, direi sull'orlo di un vulcano. Il mondo arabo è tutto in subbuglio, due regimi apparentemente solidissimi (Tunisia ed Egitto) sono caduti, un terzo (Libia) precipita nel sangue, altri traballano. Sembra di essere nel 1989 della caduta del Muro, con la differenza che non c'è un'Urss come epicentro. Tutto avviene localmente e sembrerebbe, spontaneamente. Possiamo dunque essere contenti della libertà che avanza? Alcuni la vedono così e certamente se l'esito fosse quello di vent'anni fa in Europa, potremmo gioire. Dopotutto il mondo arabo è a oggi il più consistente gruppo di dittature rimaste e l'avanzamento della democrazia è una buona cosa per tutti. Vi sono però dei problemi che inducono alla prudenza. L'89 era la liberazione dal comunismo, un'ideologia che sosteneva i regimi dittatoriali di mezzo mondo. Oggi l'ideologia antidemocratica è l'islamismo; ma con l'eccezione dell'Iran, che da due anni reprime con la violenza la ribellione dei suoi giovani, queste rivolte non sono contro l'islamismo, bensì contro regimi laici e nazionalisti. Badate bene, non sono regimi colonialisti, o instaurati dall'Occidente. Mubarak in Egitto era l'erede di Nasser; Ben Alì di Bourghiba; entrambi i regimi sono nati contro il colonialismo e contro l'Europa. Non parliamo di Gheddafi, che gli americani hanno ripetutamente cercato di eliminare ed è stato uno dei mandanti del terrorismo internazionale (la bomba di Lockerbie, quella della discoteca di Berlino frequentata dagli americani, ecc.) Semplicemente questi regimi hanno progressivamente fatto i conti con la realtà internazionale, hanno moderato il loro atteggiamento, hanno soprattutto compreso che la "lotta armata" (guerra o terrorismo che fosse) non risolveva i problemi del loro paese. Per questo minimo di lucidità sono sopravvissuti così a lungo. E ora? Un vecchio proverbio politico dice che le democrazie non si fanno la guerra. Non è sempre vero, ma quasi sempre: potendo scegliere, gli elettori evitano di mandare i loro figli a morire e scelgono soluzioni meno tragiche per risolvere i loro conflitti. Ma è vero anche che non sempre le rivoluzioni contro i dittatori finiscono in democrazia: il caso della Russia e del colpo di stato di Lenin, o dell'Iran e della presa del potere di Khomeini lo dimostrano abbondantemente. E però le rivoluzioni generano sempre estremismi, demagogie, colpi di testa, anche quando poi magari finiscono bene. Il rischio di altri bagni di sangue dunque c'è. Aggiungeteci che non solo le rivolte in corso non sono contro l'islamismo, ma che gli islamisti sono le forze più organizzate al loro interno e cercano di impadronirsi del potere; tornano in piazza i chierici più estremisti isolati dai regimi precedenti; insomma non è sicuro, ma il rischio di avere sul Mediterraneo se non proprio l'Iran, tanti Hamas e Hezbollah è altissimo e certo non scongiurabile facendo dei gesti di amicizia nei confronti delle folle che si ribellano. Vi è un altro aspetto della questione che riguarda in particolare Israele.. I regimi caduti e quelli traballanti erano tutti, chi più chi meno, antisraeliani. Facevano propaganda contro Israele, tenevano le relazioni al livello più basso possibile (Egitto) o semiclandestine (Tunisia) o non le avevano per niente. Votavano regolarmente all'Onu, alla Lega Araba ecc. per le rivendicazioni palestinesi. Ma essendo realisti, avevano trovato degli accomodamenti di vario tipo. I rivoltosi, anche grazie alla propaganda di questi regimi, sono in genere ancora più antisraeliani e spesso antisemiti dei vecchi leader. I ritratti di Mubarak e Ben Alì sono stati "insozzati" con la bandiera israeliana, sinagoghe e proprietà ebraiche sono state assalite in Tunisia, uno stupro di massa nella piazza della rivoluzione in Egitto è stato compiuto accusando la vittima di essere "ebrea". Insomma c'è ragione di temere che gli stati "rivoluzionati" passeranno nel campo più praticamente e verbalmente aggressivo contro Israele, si allineeranno cioè a Siria e Iran nell'aggressione allo Stato ebraico e i regimi che tentano ora di prevenire il contagio della rivolta troveranno comodo assumere un atteggiamento analogo per mostrare la loro sensibilità agli umori dei ribelli.
Insomma, è facile profetizzare un inasprirsi delle tensioni intorno a israele, fino al rischio serio di una guerra. Non perché Israele sia il fuoco delle tensioni in Medio Oriente o addirittura la loro causa, come sostengono i "realisti antipatizzanti" che dominano le cancellerie europee e la stampa americana. Ma tutto il contrario, perché si tratta del luogo simbolico dove dittatori e rivoluzionari mediorientali –insolitamente d'accordo- trovano comodo scaricare le tensioni sociali e politiche accumulate. Anche perché in questa fase l'America di Obama è notevole soprattutto per la sua totale inefficacia, limitandosi a blandi appelli a non inasprire i conflitti. Dunque, il vulcano è in eruzione e non c'è affatto la garanzia che il risultato sia buono. Noi non possiamo farci nulla, naturalmente; ma almeno possiamo evitare il tifo sciocco di quelli che qualche anno fa scrivevano sui muri di certe provincie del Nord "Forza Etna".