La Polemica, di Giorgio Israel
Aprire le porte agli islamisti non significa favorire la democrazia
Giorgio Israel
La Tunisia in preda all’anarchia. In Algeria un regime decrepito si regge con una repressione durissima che non si sa quanto possa durare. Gheddafi vede per la prima volta messo in discussione il suo potere assoluto. In Egitto è crollato il regime di Mubarak e l’esercito è al potere. Il regime giordano traballa. L’intero Mediterraneo del sud è in preda a un terremoto senza precedenti.
Tutto bene? La democrazia avanza, come dicono molti e Obama in particolare?
Può darsi. Ma la democrazia è il più fragile dei regimi se non è sostenuto da una volontà popolare fortissima. Quando quel che si usa chiamare una “coscienza democratica” si appanna, anche una minoranza, purché determinata, può prendere facilmente il potere. Lo insegna la storia dell’Europa degli anni ’30, che pure aveva ben altre tradizioni dietro le spalle. In un contesto fragile, soltanto una persona stupida o in malafede può credere che aprire le porte a movimenti che mirano a installare un regime dittatoriale-teocratico, come quelli islamisti, significhi sviluppare la democrazia.
Nel panorama di cui si diceva all’inizio oggi spiccano quattro fatti.
All’esercito egiziano, che ribadiva la fedeltà al trattato di pace con Israele, i Fratelli Musulmani hanno risposto che non se ne parla: sarà un referendum a dare la risposta.
Al Cairo è tornato Yusuf Al Qaradawi e ha tenuto un discorso incendiario, osannato dalla folla: ha indicato l’obbiettivo di riprendere Gerusalemme e ha detto che egli non avrà pace fino a che non potrà pregare a Al Aqsa.
I Fratelli Musulmani hanno fatto sapere di non tollerare le statue greche nude ad Alessandria. Molto più che i Budda dell’Afghanistan, le statue di Alessandria diventano l’emblema di una cultura occidentale da fare a pezzi. L’islam segnala chiaramente che il suo referente storico attuale non è la civiltà musulmana aperta e tollerante degli ultimi due secoli del primo millennio, ma l’intolleranza delle origini che si segnalò per la distruzione della Biblioteca di Alessandria, o quella che pose fine all’epoca d’oro: un segnale culturale da non sottovalutare.
Infine, due navi militari iraniane passano il Canale di Suez ed entrano nel Mediterraneo.
Capisca chi vuole. Questi sono venti di una guerra totale che ha nel suo arsenale un’altra arma: una nuova ondata migratoria verso l’Europa che rischia di essere senza precedenti. Verso un’Europa che ora dice di non volerne sapere del multiculturalismo, quando forse è troppo tardi e non ha neppure la minima idea di come invertire la rotta. E tutto questo mentre la politica estera americana è in mano a un personaggio il cui massimo trastullo sembra essere quello di fare il capopopolo della rivoluzione democratica nei paesi islamici. Si preparano tempi molto difficili.