copia di lettera inviata a Ugo Tramballi al Sole24Ore
Egregio signor Tramballi,
avrei alcune domande da porle sul suo articolo "Israeliani cauti su Piazza Tahrir", in parte sul metodo, in parte sul merito. Quanto al metodo: lei fa il corrispondente o l'opinionista? Suppongo - mi corregga se sbaglio - che lei si ritenga corrispondente. Ma allora che cosa ci fanno nel suo pezzo tutti quei lapidari giudizi sul governo israeliano (il "più conservatore, sciovinista, religioso e anti-arabo della storia d'Israele")? Che cosa ci fanno le sue personali supposizioni sui desideri dei protagonisti, oltretutto spacciate per dati di fatto ("il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha importato dalla Russia il mito autoritario di Putin al quale vuole assomigliare")? E passiamo al merito. Lei si stupisce se Arens, un ex ministro israeliano, scrive "che Israele può solo fare la pace con i dittatori"? Scusi: a lei risulta che fra gli stati che da 63 anni hanno dichiarato guerra a Israele - e coi quali, presumibilmente, prima o poi si dovrebbe riuscire a fare la pace - ce ne sia qualcuno retto da regimi non dittatoriali? Con chi dovrebbe andare a fare la pace Israele? Con la repubblica di San Marino? Mi permetto di farle notare, tra l'altro, che i dittatori hanno, se non altro, la forza e la volontà di imporre le proprie eventuali scelte, a differenza delle ombre che popolano quell'Autorità Palestinese con cui si vorrebbe costringere Israele a trattare, che non hanno né autorità, né potere, né titolo alcuno per far rispettare qualunque eventuale accordo. Lei scrive poi: "Mentre in Egitto scorreva una rivoluzione, i giornali si concentravano sulla solita narrativa: cosa è buono per Israele, come fossimo il centro del mondo". Non lo ha detto lei, è vero, sta solo citando, ma se fra tutto ciò che è stato detto in Israele in questi giorni ha scelto proprio questa frase, immagino che significhi che lei la condivide. E le chiedo: lei trova davvero così sorprendente che uno stato minacciato di annientamento si preoccupi di chi avrà per vicino di casa? A parte questo, siete voi giornalisti che considerate Israele il centro del mondo; siete voi giornalisti che fate di Israele l'oggetto di ogni possibile critica, per non dire demonizzazione: non esiste altra nazione che abbia una simile quantità di corrispondenti esteri, e non esiste altra nazione che veda riportato sui media del mondo intero ogni episodio di vita quotidiana, fino ai più insignificanti, e non di rando spacciando un episodio riguardante una singola persona per fenomeno emblematico dell'intero stato. Non sarà forse che in Israele si vive bene, ci si può anche divertire, e qualcosa bisogna pur scrivere per giustificare la trasferta, anche quando da dire non c'è assolutamente niente? Lei scrive infine, riportando dalla ONG Keshev (e tralasciamo le fin troppo note funzioni di quasi tutte le ONG operanti nell'area...): "nella nostra società sotto pressione è più facile diffondere paura che vendere visioni positive". Come mai lei, oramai esperto di questioni del mondo ebraico, non si chiede se non ci siano valide ragioni storiche che rendono difficile per gli ebrei avere visioni positive? Se lei abitasse, per dire, a Sderot, troverebbe così assurdo l'avere paura? Pensa che sarebbe molto bravo a "vendere visioni positive"? Pur non illudendomi di ricevere, almeno per una volta, una sua risposta Invio distinti saluti
Emanuel Segre Amar