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Libero Rassegna Stampa
17.02.2011 Multiculturalismo, anche l'Olanda si rende conto che è un fallimento
In Italia tutto continua a tacere. Cronaca di Andrea Morigi

Testata: Libero
Data: 17 febbraio 2011
Pagina: 17
Autore: Andrea Morigi
Titolo: «Pure l’Olanda si pente di essere multietnica»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 17/02/2011, a pag. 17, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Pure l’Olanda si pente di essere multietnica ".


Andrea Morigi

Sullo tesso argomento invitiamo a leggere l'analisi di Manfred Gerstenfeld pubblicata in altra pagina della rassegna.

Sono stati necessari gli omicidi di Pim Fortuyn e di Theo van Gogh, l’esilio volontario di Ayaan Hirsi Ali, l’ex parlamentare di origine somala, le ripetute vittorie elettorali di Geert Wilders, ma alla fine anche i Paesi Bassi hanno detto stop al multiculturalismo. Dopo aver atteso prudentemente le condanne pronunciate dai capi di governo tedesco Angela Merkel, del britannico David Cameron e del presidente francese Nicolas Sarkozy, anche il premier olandeseMaximeVerhagen lunedì si è sbilanciato: «La società multiculturale è fallita », ha dichiarato alla tv. I sintomi ci sono tutti e vanno denunciati: «Gli olandesi non si sentono più a casa loro nel proprio Paese e nemmeno gli immigrati sono totalmente felici qui». Appena quattro anni prima, l’allora ministro dell’Integrazio - ne laburista, Ella Vogelaar, aveva esaltato le virtù di «un mutuo processo» in cui le culture si influenzano e stimolano a vicenda. Racchiudevain unosloganil suo programma di governo: «Voglio aiutare i musulmani a sentirsi a casa qui, l’Islam e i musulmani devono mettere radici qui». Non è accaduto e ora all’Aja si è affermato un nuovo corso, di orientamento opposto.
IMMIGRATI CRITICI
Gran parte delle critiche le erano giunte proprio da immigrati, come la scrittrice islamica Nahed Selim che indicava nel multiculturalismo la religione della sinistra. I laburisti stessi si erano dovuti liberare di candidati scomodi come Erdinc Sacan, di origini turche, che rifiutava di riconoscere il genocidio armeno. Ormai quel «mutuo processo» si era prodotto soltanto all’interno del Partito laburista, con quella che il suo esponente Paul Scheffer aveva definito come «etnicizzazione del comportamento elettorale». In pratica si erano trasformati nel partito degli immigrati. E questi ultimi non erano divenuti olandesi, a giudicare dal numero impressionantemente in ascesa dei delitti d’onore compiuti da cittadini di origine mediorientale o pakistana. Così chi di fronte alla barbarie chiudeva un occhio, o anche entrambi, alle urne era stato punito. Non è soltanto un gretto calcolo sugli indici di popolarità delle politiche immigrazioniste a determinare la svolta. Parlando al Financial Times, ieri perfino il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, laburista norvegese, ha decretato la fine del «multiculturalismo » perché «consente a società parallele di svilupparsi all’interno degli Stati». Il fenomeno, a suo parere, «deve essere bloccato. È chiaro anche che alcune società parallele hanno sviluppato idee radicali che sono pericolose. Il terrorismo non può essere accettato». Quello aperto dai leader europei, ad avviso di Jagland, è un «dibattito importante» che dev’essere proseguito: «Dobbiamo stare attenti a non fraintendere il multiculturalismo, perché la diversità delle culture è auspicabile», premette, ma riconosce la necessità «di concentrarsi su quanto tiene insieme le nostre società», piuttosto chesu quanto contribuisce a dividerle. Ora il Consiglio d’Euro - pa ha affidato a un gruppo di accademici illustri e di ex uomini politici il compito di preparare alcune raccomandazioni sul modo con il quale i governi dovranno affrontare le sfide poste da una sempre maggiore diversità culturale. Promettono un rapporto entro il prossimo mese di maggio. Jagland ritiene che gli eventi recenti in Nordafrica abbiano evidenziato il pericolo che una tolleranza delle differenze culturali ed etniche possa diluire la posizione europea sui diritti umani, in particolare sull’ugua - glianza fra i sessi e sull’opposi - zione ai matrimoni forzati: «Non dovremmo accettare atteggiamenti e comportamenti che li contraddicano». Se poi saranno in grado di comprendere che gli sbarchi incontrollati di immigrati clandestini sono una parte del problema, il «liberalismo muscolare» propugnato da David Cameron non si ridurrà a una dichiarazione di princìpi.
UN NUOVO SLOGAN
Dall’altra parte dell’Oceano, uno dei critici di più antica data delle politiche occidentali di cedimento alla legge coranica, Mark Steyn, teme proprio che «la fine del multiculturalismo» diventi il nuovo slogan politicamente corretto, a cui non fa seguito nessuna azione concreta. L’unico retaggio della politica degli «anni Sessanta, in cui era dato per scontato che uno Stato sovrano aveva il diritto di indicare e scegliere a quali stranieri, eventualmente, estendere il diritto di residenza», spiega Steyn sconsolato, è la domanda a cui ha dovuto rispondere facendo richiesta di immigrazione negli Stati Uniti: «Ha fatto parte del Partito Nazionalsocialista tedesco tra il 1933 e il 1945?». Anche se Steyn è del 1959. Intanto, per ottenere un esito diverso, i partner europei potrebbero iniziare con un sostegno deciso alle richieste dell’Ita - lia di condividere gli sforzi per fermare l’invasione dalla Tunisia. In fondo, la questione li riguarda più da vicino.

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