Barack Obama affida il Medio Oriente al Pentagono Che abbia capito che la sua strategia non funzionava ?
Testata: Il Foglio Data: 16 febbraio 2011 Pagina: 1 Autore: La redazione del Foglio Titolo: «Obama affida ai generali i dossier più delicati della sua politica estera»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/02/2011, in prima pagina, l'articolo dal titolo "Obama affida ai generali i dossier più delicati della sua politica estera".
Barack Obama Pentagono
Sana’a, dal nostro inviato. A due anni dall’insediamento, l’Amministrazione Obama sta affidando la gestione dei dossier di politica estera più complicati al Pentagono. Dal medio oriente in rivolta sino al centro dell’Asia in guerra contro il terrorismo, Washington abbandona lo stile alato e civile di inizio mandato e passa la cornetta del telefono ai suoi generali. L’Amministrazione è stata colta di sorpresa quando il presidente egiziano Hosni Mubarak ha deciso di non dimettersi. Subito dopo il suo discorso, il segretario alla Difesa, Robert Gates, e il capo di stato maggiore, l’ammiraglio Mike Mullen, hanno telefonato alle loro controparti egiziane. Gates ha chiamato il ministro della Difesa, il generale Mohamed Hussein Tantawi. Sono state cinque le telefonate tra i due da quando la crisi è cominciata. Mullen ha chiamato il capo di stato maggiore egiziano, il generale Sami Annan. Le loro telefonate sono state quattro. Il presidente americano, Barack Obama, non ha chiamato Mubarak dopo il voltafaccia che ha fatto infuriare la piazza. Secondo il Washington Post, dalla scorsa settimana il Pentagono ha chiesto a tutti i suoi ufficiali che hanno contatti con gli egiziani di farsi avanti e di mettersi a disposizione. Non sono pochi. I due eserciti collaborano da trent’anni, gli ufficiali dell’Egitto passano per le accademie militari d’élite negli Stati Uniti e ci sono frequenti esercitazioni congiunte. Secondo Foreign Policy, ai militari è stato detto soltanto di conservare intatte le relazioni, ma al Pentagono sostengono di avere avuto un ruolo decisivo nei giorni della rivolta. Secondo Bloomberg, ci sono 625 militari degli Stati Uniti in Egitto per aiutare a sorvegliare i confini, per coordinare l’arrivo di aiuti militari e l’acquisto di armi da imprese americane. Ora che il potere al Cairo è nelle mani del Consiglio supremo delle Forze armate, il rapporto con i colleghi egiziani è ancora più prezioso. Due giorni fa, quando si è trattato di rassicurare i due alleati Israele e Giordania, il presidente ha mandato di nuovo Mullen. Gerusalemme teme che il passaggio di poteri in Egitto metta a repentaglio il trattato di pace firmato a Camp David nel 1979, testata d’angolo della propria sicurezza. L’ammiraglio americano ha incontrato il premier, Benjamin Netanyahu, il presidente, Shimon Peres, il ministro della Difesa, Ehud Barak, e ha partecipato all’insediamento del nuovo capo di stato maggiore israeliano, il generale Benny Gantz. “La forza delle nostre relazioni – ha detto l’uomo del Pentagono – è particolarmente importante ora, in questi tempi difficili”. Prima di volare a Gerusalemme, Mullen è passato per Amman, in Giordania, a rassicurare anche re Abdullah III e il generale Meshaal al Zabn. Questa diplomazia con le stellette è già all’opera in Afghanistan e Pakistan. A Kabul, il generale David Petraeus manovra un complicato gioco diplomatico tra il governo, i talebani, l’Arabia Saudita e il Pakistan. Il segretario di stato, Hillary Clinton, ha scelto ieri il nuovo inviato nella regione, Marc Grossman, ma è il Pentagono ad avere più uomini e più soldi sul campo. In Pakistan, l’esercito è l’unica istituzione ad aver conservato credibilità. Il canale privilegiato della politica americana a Islamabad è il generale Ashfaq Kayani, e lui con l’ammiraglio Mullen è già “alla terza tazza di tè”: secondo il proverbio, alla prima tazza sei un ospite, alla seconda un amico, alla terza fai parte della famiglia.
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