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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.02.2011 Abu Mazen promette le elezioni a settembre
Francesco Battistini pronto a credergli, nessuna critica per il fatto che non si sono tenute per anni

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 febbraio 2011
Pagina: 15
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Svolta anche tra i palestinesi: voto presidenziale a settembre»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/02/2011, a pag. 15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Svolta anche tra i palestinesi: voto presidenziale a settembre ".


Abu Mazen

Battistini scrive : " La mossa a sorpresa di Abu Mazen che (senza dire se si ricandida) ha indetto per settembre le elezioni presidenziali e legislative, rinviate da un paio d’anni, è un rimbalzo della rivoluzione cairota ". Credere che Abu Mazen sia stato influenzato dalla rivoluzione egiziata è difficile. Come scrive Battistini, le elezioni erano in sospeso da due anni. Stupisce la noncuranza con cui viene fatta questa precisazione, come se si trattasse di una cosa da poco. In ogni caso, settembre è ancora lontano, non sarebbe la prima volta che Abu Mazen le promette per poi tornare sui propri passi.
Ecco l'articolo:

RAMALLAH (Cisgiordania) — Era un cartello bianco. Due parole in arabo: «Piazza Tahrir» . Una decina di notti fa, qualcuno l’ha appeso alla Rotonda dei Leoni, la piccola Trafalgar Square di Ramallah. Il tempo giusto perché lo fotografasse il venditore di giocattoli all'angolo, che apre presto. Alle 9 del mattino, qualcuno ha tolto quella targa blasfema. Credendo di levare il dubbio, se non la paura, che il crollo sotto le Piramidi faccia polvere fin qui. «La lezione è che il mondo arabo non va considerato come se fosse diverso: non siamo diversi, vogliamo libertà e dignità» , dice oggi il premier Salam Fayyad: dopo due settimane di silenzio imbarazzato, dopo la sforzata solidarietà del presidente Abu Mazen. («Rispettiamo la volontà del popolo egiziano» ) e la titubanza di tutte le sigle palestinesi, Hamas compresa. «È in Palestina la prossima piazza Tahrir?» , si chiede un tabloid israeliano. La mossa a sorpresa di Abu Mazen che (senza dire se si ricandida) ha indetto per settembre le elezioni presidenziali e legislative, rinviate da un paio d’anni, è un rimbalzo della rivoluzione cairota: settembre, il mese delle presidenziali e delle legislative in Egitto; settembre, il mese per sottoporre all’Onu la proclamazione unilaterale d’uno Stato palestinese. Se l’Algeria ribolle e la Giordania scricchiola, c’è finta calma nell’occhio del ciclone mediorientale. Finta: lo dicono le improvvise dimissioni di Saeb Erekat, l’eterno negoziatore che dal ’ 91 tratta ogni clausola con israeliani e americani. Erekat se n’è andato alla stessa ora in cui Abu Mazen annunciava il voto. Impallinato dai Palestinian Papers — le carte che hanno svelato le ambiguità dei negoziati — nessuno aveva troppo rimproverato all’elegante Saeb le sue concessioni agl’israeliani. Lui s’è autoaffondato con un pretesto: «Me ne vado perché quei papers sono usciti dal mio ufficio» . «L’impressione è che Erekat si riprenderà i suoi poteri non appena i negoziati ripartiranno» , commenta Yedioth Ahronot, ricordandone le rinunce «con l’elastico» del passato e buttando lì una possibile candidatura alla presidenza. Rivoluzioni lontane, elezioni vicine, dimissioni bizantine. La glasnost araba arriva quando meno la desiderano sia gl’inconcludenti corrotti del Fatah, sia i dispotici fondamentalisti di Hamas. È l’unica cosa su cui i carissimi nemici concordano: cambiare tutto perché non sia il vento del cambiamento a travolgere, davvero, tutto. I tunnel dall’Egitto e la repressione, in nome della resistenza all’assedio, sono la garanzia di sopravvivenza di Hamas che si trova a fronteggiare il doppio dissenso dei qaedisti e d’un popolino, pure qui, coagulato su Facebook. Mubarak era il garante di Abu Mazen, che negli ultimi quattro anni non ha fatto un passo senza chiamare il Cairo: il problema a Ramallah è di trovarsi un altro sponsor, fra satrapi arabi troppo occupati a non fare la fine del Faraone, o di sopravvivere giocando d’anticipo la carta delle libere elezioni e invocando la partecipazione di tutti. Al voto di settembre, Hamas non ci sarà: è un complotto, dicono da Gaza, e non è così che l’Anp si salverà. «Un paradosso — commenta Sami Awad, politologo della Bir Zeit University —. La rivolta egiziana fa gl’interessi di tutti i palestinesi» : e come si fa a respingere, proprio adesso, un appello alla democrazia?

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