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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.02.2011 Dall'Austria in Italia verso Eretz Israel
Il racconto di Fabrizio Dragosei

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 febbraio 2011
Pagina: 34
Autore: Fabrizio Dragosei
Titolo: «Sul 'passo degli ebrei', porta della Terra promessa»

Sul CORRIERE della SERA di oggi, 13/02/2011, a pag.34, con il titolo " Sul 'passo degli ebrei', porta della Terra promessa ", un intressante rievocazione storica di Fabrizio Dragosei.


Valle Aurina                           Profughi ebrei con Viktor Knopf

C’ è chi ancora lo chiama il passo degli ebrei, anche se il suo vero nome è sempre stato passo dei Tauri, Krimml Tauern in tedesco. Un sentiero che si inerpica prima fra i prati e poi fra le rocce e unisce l’Italia all’Austria, mille metri di dislivello in salita e 110 metri in discesa. Non è certo uno dei valichi normalmente percorsi da viaggiatori e proprio per questo fu scelto nel 1946 per «contrabbandare» sulla via del nascente Stato di Israele migliaia di ebrei. Uomini donne e bambini, senza alcuna attrezzatura di montagna e con ogni loro avere sulle spalle. D’inverno il passo dei Tauri è assolutamente impraticabile, con tutta la neve che cade da queste parti. Dalla pista di sci che corre proprio ai suoi piedi, in fondo alla Valle Aurina, nemmeno si distingue. I fondisti vanno avanti e indietro e solo se si fermano un attimo sono in grado di vedere il pendio ripidissimo lungo il quale d’estate sale il sentiero. Ma anche con la buona stagione non è una passeggiata. Dai 1631 metri del Krimmler Tauernhaus, un piccolo rifugio nel Salisburghese, su fino al giogo, a 2633 metri. Poi, superato il confine, giù in picchiata fino a Casere, in Alto Adige, quasi 1.100 metri più in basso. Tutt’intorno le vette della cresta di confine, da un lato la Vetta d’Italia, dall’altro la Cima dei Tre Signori, imponente con i suoi 3498 metri. Ne passarono forse cinquemila di ebrei in quelle estati del dopoguerra. I gendarmi austriaci avevano ricevuto l’ordine di chiudere un occhio e gli italiani facevano altrettanto, con i carabinieri che spesso si davano da fare direttamente per aiutare i profughi, portando fagotti o prendendo in braccio bambini. La parte più delicata del viaggio avveniva di notte, senza lanterne per non dare nell’occhio. Gli alleati, soprattutto gli inglesi che avevano il mandato sulla Palestina e osteggiavano la nascita dello Stato ebraico, si opponevano al passaggio. La guerra era finita, ma per chi in Europa Orientale era sopravvissuto all’Olocausto, la spinta a fuggire era ancora fortissima: il 90 per cento degli ebrei tra il Baltico e i Balcani era stato sterminato e ancora tirava una brutt’aria. L’ 11 gennaio, su questo giornale, Paolo Mieli ha ricordato come in Polonia il 4 luglio del 1946 in un pogrom a Kielce erano stati uccisi 42 ebrei. L’esodo verso la Terra Promessa divenne inarrestabile e si incanalò attraverso la Cecoslovacchia e l’Austria, nelle zone di occupazione sovietica e americana, verso l’Italia e il Mediterraneo. Dei 250 mila ebrei che decisero di abbandonare l’Europa Orientale un quinto, circa 50 mila, scelsero di passare per l’Italia. Ben presto però le vie principali furono chiuse dagli alleati, come il Brennero, la Pusteria, il valico di Tarvisio e il passo Resia. Allora l’organizzazione Bricha (in ebraico vuol dire fuga) che si occupava di organizzare l’esodo dall’Europa Orientale cercò nuovi percorsi. A guidare molti dei gruppi che attraversarono il passo dei Tauri fu Viktor Knopf, un ventiquattrenne maestro di educazione fisica e appassionato alpinista, raccontano Luisa Righi e Stefan Wallisch nel libro Lungo i confini dell’Alto Adige (Folio editore). Alto, biondo, atletico, Knopf era nato e cresciuto in Slesia e si era sempre ritenuto tedesco, come i suoi compagni di scuola. Ma era ebreo e finì ad Auschwitz dove sopravvisse solo grazie alla sua tempra. Poi, dopo la fine della guerra, arrivò per conto della Bricha al confine austro-italiano per organizzare il passaggio. Pure nelle zone dove i profughi erano stati raccolti in vari campi l’atmosfera non era delle migliori. La popolazione locale mal sopportava la presenza degli ebrei. In un’occasione, una pensione che ospitava un gruppo di ebrei venne assaltata da una folla al grido di «ammazza l’ebreo! Lincia i porci!» . La polizia austriaca intervenne solo quando la folla iniziò a lanciare sassi contro le finestre. Crollato il Reich nel quale erano entrati entusiasticamente, gli austriaci ormai si consideravano le prime vittime del loro connazionale Adolf Hitler e sembravano non capire perché gli ebrei si comportassero «come se stessero in territorio d’occupazione» , secondo quanto si legge in una lettera del 1946. «Sono una piaga per il Paese... loro vìolano ogni principio morale» , è scritto ancora in quella missiva. Naturale quindi che la Bricha volesse avviare al più presto gli ebrei dell’Est verso la Palestina. Dai campi di raccolta in Austria, i profughi venivano portati in camion fino a un certo punto, dove normalmente iniziava la «passeggiata» verso le montagne. Di lì, superate le scenografiche cascate, si proseguiva a piedi, con 5/6 ore di marcia, fino al rifugio Tauern, base per la traversata. «Gente che non era mai stata in montagna prima di allora e non aveva la minima idea dei pericoli ai quali andava incontro» , ha raccontato Knopf. «Non avevano scarpe adatte, vestiti impermeabili o bastoni. Portavano tutto sulle loro spalle e quindi avevano pochissimi viveri» . Al rifugio, Liesl Geisler che lo gestiva faceva quello che poteva: «C’era gente poverissima che non aveva nemmeno uno zaino con sé. Si portavano i bambini in spalla avvolti in fagotti. La casa era spesso strapiena e io preparavo del cibo caldo, soprattutto per i più piccoli» . Chi non entrava nel rifugio aspettava all’esterno, fino all’ora della partenza. «Ci muovevamo nel pomeriggio per arrivare in cima al passo quando era già buio» , è ancora il racconto di Knopf. In lunghi serpentoni di 150 o 200 persone, con una guida davanti e un’altra a chiudere il gruppo, tutti rigorosamente senza lampade, fino al passo, per superare il confine in piena notte. Una volta furono bloccati da una pattuglia inglese e rimandati indietro, ma nelle altre occasioni non ci fu alcun problema. Dal passo iniziava la discesa verso Casere, altre tre o quattro ore di cammino su un sentiero ripidissimo che col buio era assai pericoloso. Knopf aveva stretto amicizia con un paio di carabinieri e una volta aveva regalato loro accendisigari e scatole di sardine. «Così quando li incontravo, si facevano in quattro, prendendo zaini e perfino trasportando bambini piccoli giù fino in paese» . A Casere l’organizzazione faceva base in una pensione, il Gasthof Kasern dove i profughi potevano riposare. Poi riprendeva il viaggio verso la costa, soprattutto Genova, dove le famiglie venivano affidate a un’altra organizzazione segreta ebraica, la Aliya Bet, fondata dall’Haganah, la struttura paramilitare ebraica nella Palestina sotto mandato britannico. Lo strano «traffico» attraverso il passo dei Tauri andò avanti fino all’autunno del 1947, quando il gelo e la neve resero impraticabile il cammino. L’anno dopo nacque lo Stato di Israele e l’esodo segreto ebbe fine. Adesso, ogni anno, una associazione nata per ricordare quegli eventi (Alpinepeacecrossing. org) organizza una ripetizione delle marce. Ai primi di luglio centinaia di persone partono tutte assieme dal rifugio Tauern per arrivare in Italia.

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