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La Stampa - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
10.02.2011 L'Egitto visto da Hamas
Le cronache annacquate di Francesca Paci, Ugo Tramballi

Testata:La Stampa - Il Sole 24 Ore
Autore: Francesca Paci - Ugo Tramballi
Titolo: «La rivolta dei blogger: Gaza è stufa di Hamas - Il caos in Sinai spaventa i prìncipi dei tunnel a Gaza»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/02/2011, a pag. 16, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " La rivolta dei blogger: Gaza è stufa di Hamas ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 14, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " Il caos in Sinai spaventa i prìncipi dei tunnel a Gaza ".
Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:


Hamas

La STAMPA - Francesca Paci : " La rivolta dei blogger: Gaza è stufa di Hamas"


Francesca Paci

Il pezzo di Francesca Paci è sostanzialmente corretto, ma è incompleto. Paci avrebbe potuto osare di più, descrivere più esplicitamente la situazione, e la repressione di Hamas. Forse non basta intervisare gruppi di giovani, ma la voce del padrone, cioè i leader collegati direttamente ai Fratelli musulmani.
Ecco l'articolo:

Come vedo la rivoluzione del Cairo? Eccola, una strada sbarrata» dice il cinquantenne Youssuf indicando la barriera che si scorge oltre i palazzi incompiuti all’estrema periferia di Rafah. Dal 25 gennaio il confine tra Gaza e l’Egitto è sigillato e l’unica via di transito corre nei tunnel sotterranei costruiti nel 2007 per aggirare l’embargo internazionale. Da lì sono tornati a casa numerosi militanti di Hamas, fuggiti dalle prigioni nei giorni convulsi della rivolta egiziana ma anche il corpo di suo cugino Ali Younis, morto d’infarto una settimana fa mentre si trovava per affari a El Arish.

L’eco della rivolta L’eco di piazza Tahrir arriva a Gaza forte ma distorta. L’instabilità ha reso più difficile attraversare il Sinai e i prezzi delle merci contrabbandate sono schizzati alle stelle. «A ogni carico che ricevo devo aggiungere 300 schekel (circa 60 euro) per la scorta del camion» calcola Abu Khalid, uno dei proprietari dei tunnel. Con il risultato che la benzina è raddoppiata e il cemento è passato da 430 a 900 schekel la tonnellata.

Tra aspirazioni abortite e difficoltà quotidiane la vita a Gaza non è cambiata, in apparenza. Per la prima volta nella leggenda della piazza araba, un’intifada vede i palestinesi spettatori. Ma la quantità di automobili della polizia agli angoli dei viali sterrati suggerisce un’altra storia. Tutti aspettano di vedere cosa accadrà domani, se si svolgerà o meno la manifestazione indetta su Facebook al grido di Revolution dal gruppo Karama. Impossibile leggere oltre la sigla per capire chi siano gli organizzatori, ma molti sospettano si tratti di uomini di Fatah.

«Non andrò perché se qualcuno scenderà in strada la sicurezza sparerà per uccidere» dichiara la giornalista ventinovenne Asmaa Alghoul, giacca di pelle anni settanta, smalto violaceo, kajal intorno agli occhi. Non ha paura, al contrario. Da cinque anni è ai ferri corti con Hamas di cui denuncia regolarmente «l’islamismo liberticida mascherato da lotta contro l’occupazione israeliana», nel 2009 è stata licenziata dal giornale di Ramallah al Ayyam perché raccontava le torture commesse da Fatah, ora che la rivolta tunisina e egiziana ha messo le ali ai desideri di milioni di ragazzi arabi il suo blog è finito sul serio nel mirino di Hamas che prima ha arrestato lei, poi il fratello e il padre.

Revolution Asmaa si affaccia al balcone e mostra l’automobile scura che la segue da giorni: «Mi hanno picchiato, mi hanno minacciato di morte, dicono che sono nemica del governo e che ho organizzato la manifestazione Revolution, ma non è vero e non andrò perché non sto con nessun partito, quando la nostra rivolta esploderà sarà popolare».

Asmaa non è sola. Da quando ha preso il potere a Gaza la popolarità di Hamas è calata a picco. Lo mormorano le mamme al mercato, i padri pescatori seduti sulle barche che non prendono il largo, il ferramenta Mahmoud che conta un cliente ogni ora e mezza. «Non ci abbiamo guadagnato niente dal cambio con Fatah», ripetono. Ma nessuno ha voglia di esporsi. I figli sì. E non solo contro Hamas. Da due mesi, prima ancora che la rivolta tunisina suonasse la carica, otto universitari tra i 20 e i 25 hanno lanciato via Facebook il «Manifesto dei Giovani di Gaza» che suona più o meno così: «Vaff... Hamas. Vaff...Israele. Vaff... Fatah. Vaff.. Onu. Vaff... Unrwa. Vaff... Usa». Rifiutano la cultura del vittimismo e chiedono che la frattura tra Hamas e Fatah venga sanata per il bene del popolo palestinese. «Il cambiamento comincia prendendosi le proprie responsabilità», sostengono. Quando hanno inziato c'era con loro Wael Ghonim, il blogger diventato simbolo della rivoluzione egiziana. I sostenitori oggi sono a quota 20 mila.

Per incontrarli in un caffè-pasticceria della zona di Alrimal, a Gaza City, bisogna passare attraverso un mediatore e accettare di tenere celati i nomi e i dettagli che potrebbero farli identificare. Dove studiano, cosa, il quartiere in cui vivono. Arrivano in tre, jeans, felpe, snikers, potrebbero essere studenti di Londra, Parigi, New York. Ascoltano i Beatles ma anche la cantante libanese Fairouz e conoscono a memoria le battute del film «Il Padrino». «È cominciato tutto per gioco, ci chiedevamo tra amici cosa volessimo fare da grandi ed è venuto fuori che non potevamo far nulla, non mettere a frutto i nostri studi, non sposarci senza un lavoro, non fuggire» spiega Abu Yaza. Interviene Abu Oun: «Il manifesto l’abbiamo scritto così, di getto, ma solo perché eravamo tra amici, siamo cresciuti con la consapevolezza che non puoi fidarti di nessuno».

Il poliziotto Entra un poliziotto in uniforme nera a comprare dei dolci e loro scartano parlando di calcio, Inter, Milan, Real Madrid. Poi riprendono: «Non vogliamo più stare in panchina. La nostra rivolta è diversa da quelle tunisina e egiziana, noi abbiamo tre nemici, Hamas e Fatah che combattendosi hanno dissanguato la nostra causa, e Israele».

La rete si allarga. Con Asmaa sono usciti allo scoperto un’altra ventina di blogger, tra cui il giovanissimo Afun. Via passaparola, amico chiama amico, il Manifesto è sulla bocca di molti, sottovoce. Sarà un caso, ma Hamas non ha rilasciato una sola dichiarazione ufficiale sulla situazione in Egitto. Nel frattempo la security ha chiuso il centro di aggregazione giovanile Sharik.

«In comune con gli altri coetanei in rivolta in tutti i Paesi del Medioriente abbiamo la volontà di non essere strumentalizzati» insiste una ragazza velata, bevendo tè sulla terrazza dell’hotel Beach. La religione conta, dice, ma non nell’arena politica: «Finora abbiamo fatto comodo a tutti, all’Iran che paga Hamas, all’America che paga Israele e Fatah, vogliamo poter cacciare via i governanti che non ci rappresentano». «Degage», via, urlano per le strade di Tunisi. «Fuori Mubarak», rispondono dal Cairo. Sono i figli a maturare la frustrazione dei genitori. Gaza inizia a mormorare.

Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi : " Il caos in Sinai spaventa i prìncipi dei tunnel a Gaza "


Ugo Tramballi

Hamas teme che la rivoluzione egiziana contagi la popolazione di Gaza attraverso i tunnel. Una preoccupazione ridicola, per due ragioni. La prima è che Hamas ha il controllo totale della Striscia, non c'è possibilità di sfuggire. La seconda è che una delle componenti della rivoluzione è proprio quella islamica dei Fratelli Musulmani, i quali solidarizzano con Hamas.
Ecco l'articolo:

«Dall'altra parte è proprio un gran casino», sospira il principe del tunnel, mentre altri sacchi di cemento emergono dal sottosuolo. Suona come un paradosso dirlo da questa parte della frontiera, da Gaza, la striscia del caos per definizione. Ma le cose stanno così adesso in Medio Oriente: nel Sinai egiziano c'è l'anarchia, qui a Gaza l'ordine moderatamente islamico e sempre più poliziesco di Hamas.

Una manifestazione a favore degli egiziani, di una ventina di giovani con qualche giornalista, è stata sciolta con durezza: botte e tutti in galera per qualche ora. Poi non è successo più nulla. Ma Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas, è stato schierato dalla frontiera con Israele a quella egiziana, qui a Rafah. Per impedire che migliaia di palestinesi sfondino di nuovo i reticolati per andare a fare acquisti nel Sinai. Ma soprattutto per controllare i tunnel dai quali passano gli asset strategici del potere di Hamas: denaro, cemento e benzina. Gli israeliani dicono che da quando l'esercito egiziano non controlla più come prima, dai tunnel entrano armi. Gli arsenali di Hamas sono pieni già da tempo. Quello che passa ora è il denaro: valige di dollari in contanti che arrivano da Iran e Siria con una certa libertà per finanziare le casse esauste di Hamas.

Da quando gli israeliani hanno alleggerito l'assedio lasciando passare dal posto di Kerem Shalom alimentari e quasi tutti i beni di consumo, i tunnel di Rafah non sono più l'eldorado di una volta. Prima i 1.200 tunnel garantivano un affare da 600 milioni di dollari l'anno in una striscia dove la disoccupazione è al 45 per cento. A Gaza era nata una nuova classe sociale, i "principi dei tunnel" diventati ricchissimi in fretta e, per convenienza, soci in affari con Hamas. Ora i tunnel aperti sono 450 ma quelli operativi non più di 100. Oltre ai soldi che passano solo dai pochi tunnel "statali", quelli controllati da Hamas, il business è ridotto al materiale da costruzione e alla benzina, che non transitano dal valico israeliano.

«Già, ma di là adesso c'è il caos», dice il principe preoccupato, mentre dal suo tunnel emergono altri sacchi di cemento. «È difficile trovare la merce e quando la troviamo le bande dei beduini ce la rubano o chiedono il pizzo. Portare fin qui una tonnellata di cemento mi costava 75 euro, adesso 113. E ora Hamas ci ordina di venderlo ai vecchi prezzi. Di questo passo fra un paio di settimane chiudiamo tutti».

È il sacrificio patriottico che Hamas chiede ai "principi dei tunnel" dopo averli fatti ricchi. La prima minaccia della rivoluzione egiziana sono i prezzi che rischiano di salire vertiginosamente e provocare disordini. Dai tunnel passa solo il 60% della domanda di cemento; la benzina è sempre più introvabile a causa della paralisi economica egiziana. Con i principi e il denaro contante degli amici all'estero, Hamas continua a far pagare la benzina 36 centesimi di euro al litro, sussidiando il carburante già sussidiato dagli egiziani. In Cisgiordania la pagano un euro e 41 perché possono importarla solo da Israele.

Le tensioni sociali non sono la sola preoccupazione di Hamas che continua a promuovere l'islamizzazione di Gaza con moderazione ma in questi mesi ha reso più pesante il controllo poliziesco. Al netto dell'assedio israeliano che rende apparentemente secondarie altre rivendicazioni, lo spirito del Cairo penetra anche fra il milione e mezzo di palestinesi della striscia con un tasso di natalità del 6 per cento. Il 60% ha meno di 20 anni. Per strada, davanti ai venditori di shawarma, decine di ragazzi guardano a bocca aperta l'intervista del blogger loro coetaneo che ha iniziato la rivolta del Cairo: al-Jazeera la replica senza sosta.

«Libertà di espressione e di associazione, l'attacco di Hamas alla società civile, l'islamizzazione delle leggi. Queste sono le cose che la gente incomincia a cogliere», dice Jaber Wishah della Commissione palestinese per i diritti umani. «Ma c'è anche la corruzione, il legame economico esclusivo fra i principi dei tunnel e Hamas». Il movimento islamico riuscì a imporsi a causa della corruzione del potere di Arafat. Ora sta assomigliando sempre di più al vecchio regime. «Le uniche case che vengono ricostruite sono quelle dei dirigenti di Hamas», constata la gente.

Nel partito islamico c'è chi sta ascoltando con attenzione questi segnali. "La casa della saggezza" è il think-tank dove i moderati di Hamas e di Fatah cercano un dialogo. «Povertà, oppressione e sfiducia sono gli ingredienti di ogni rivoluzione», dice Ahmed Yousef, ex ministro degli Esteri di Hamas, ora emarginato dai radicali che dominano il movimento. «Qui è diverso dall'Egitto perché c'è l'assedio di Israele e la gente lo capisce. Ma molti di noi hanno compreso che bisogna fare qualcosa di diverso. Chi non vede arrivare le cose, presto resterà sorpreso».

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