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Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.02.2011 L'Egitto potrà diventare una democrazia se non finirà nelle mani dei Fratelli Musulmani
Ma Sergio Romano scrive l'esatto opposto

Testata: Corriere della Sera
Data: 10 febbraio 2011
Pagina: 47
Autore: Sergio Romano
Titolo: «I Fratelli Musulmani, difficile farne a meno»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/02/2011, a pag. 47, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " I Fratelli Musulmani, difficile farne a meno ".


Sergio Romano

Sergio Romano cerca di distrarre il lettore sparando una serie di dati storici sui Fratelli Musulmani. Questo non cambia la situazione in Egitto nè risponde alla domanda posta dal lettore.
I Fratelli Musulmani sono per l'Egitto quello che il FIS è per l'Algeria. Sottovalutare questo aspetto e sostenere che l'Egitto ha bisogno dei Fratelli Musulmani per la sua transizione verso la democrazia non è possibile. E' l'esatto opposto. L'Egitto, per diventare una democrazia, deve essere liberato dai Fratelli Musulmani.
Ecco lettera e risposta di Sergio Romano: 

Confesso che la posizione di Obama, che ora gioisce per il dialogo tra governo egiziano e Fratelli musulmani, mi lascia esterrefatto. La storia insegna che non pochi sono stati i movimenti eversivi che hanno promosso la scalata al potere usando percorsi democratici, confidando nella dabbenaggine di chi credeva in una loro evoluzione liberale dettata dalla necessità del dialogo. Nonostante il tragico esempio di Jimmy Carter, lasciatosi imbrogliare dagli ayatollah iraniani, Obama mostra di voler proseguire la infausta tradizione del partito democratico americano, fingendo di dimenticare che l'Egitto rappresenta la chiave strategica risolutiva di ogni problema del Medio Oriente e che uno Stato egiziano controllato dall’Islam segnerebbe la fine dei delicati equilibri regionali fino a questo momento conservati, grazie alla presenza di Mubarak. Giovanni Bertei giovanni.

bertei@alice.it

Caro Bertei,

La Fratellanza musulmana fu fondata in Egitto nel 1928 e ha ispirato da allora quasi tutti i movimenti islamici della regione. Tollerata dalla monarchia di Farouk, fu bandita da Nasser dopo la rivoluzione egiziana del 1952 e ha subito una sorte analoga in tutti i regimi autoritari dell’Africa settentrionale. I suoi rappresentanti sono stati processati e incarcerati, alcuni condannati a morte e giustiziati. È stata indubbiamente, per molti anni, una organizzazione di militanti fanatici, pronti all’uso della violenza per scalzare dai palazzi del potere i partiti filo-occidentali o filo sovietici e instaurare la legge coranica. Ma non sono i Fratelli musulmani che hanno ucciso il presidente egiziano Anwar al Sadat nel 1981. Negli ultimi decenni, dopo avere rinunciato all’uso della violenza, la Fratellanza ha vissuto in una sorta di limbo. Il governo egiziano non ne riconosceva ufficialmente l’esistenza e non permetteva che si costituisse in partito politico, ma lasciò che creasse una efficace rete assistenziale composta da scuole, presidi medici, associazioni caritatevoli, uffici di reclutamento e assistenza legale. In questi ultimi anni, soprattutto dopo le privatizzazioni volute dal regime di Mubarak, i Fratelli sono stati il «Welfare state» informale dello Stato egiziano. Mubarak li ha combattuti e usati con una buona dose di opportunismo. Ha largamente sfruttato le loro opere di carità e di assistenza. Ma se n’è servito per presentarsi all’Occidente come il garante della laicità e per giustificare lo stato d’emergenza proclamato nel 1981. Secondo un documento diffuso da Wikileaks, l’ambasciatore degli Stati Uniti al Cairo scrisse a Washington, nel 2005, che gli egiziani avevano da molto tempo «l’abitudine di minacciarci con lo spauracchio della Fratellanza» . Il 2005 è l’anno in cui Mubarak, sollecitato dagli americani (il presidente era il repubblicano Bush, non un democratico), permise ai Fratelli di presentare i propri candidati in poco più di un centinaio di seggi. Ne vinsero 88, vale a dire il 20%dell’Assemblea popolare, e la loro iniziativa politica più significativa fu un manifesto, nel 2007, in cui chiedevano tra l’altro l’applicazione della legge coranica. Nelle ultime elezioni legislative Mubarak ha modificato la linea del 2005 e ha impedito che tornassero in Parlamento: un episodio che dimostra quanto credibili e trasparenti fossero le elezioni egiziane. Oggi sono arrivati nelle piazze con qualche giorno di ritardo, hanno accettato di parlare con il vice presidente Omar Suleiman senza porre come condizione preliminare le dimissioni di Mubarak, e hanno annunciato che non presenteranno un candidato alle prossime elezioni presidenziali. Non dimentichi infine, caro Bertei, che la Fratellanza gode di un largo consenso popolare e che esiste nel mondo arabo un considerevole revival religioso. Sperare che ogni problema venga risolto con la lettura del Corano è assurdo. Immaginare una transizione democratica senza i partiti musulmani lo è altrettanto.

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