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La Stampa Rassegna Stampa
06.02.2011 La dolce vecchiaia a Roma del criminale nazista Erich Priebke
Così funziona la giustizia italiana. La cronaca di Francesco Grignetti

Testata: La Stampa
Data: 06 febbraio 2011
Pagina: 13
Autore: Francesco Grignetti
Titolo: «La dolce condanna a vita dell'ultimo criminale nazista»

Un esempio di come funziona la giustizia in Italia ?
Dalla STAMPA di oggi, 06/02/2011, a pag. 13, di Francesco Grignetti, con il titolo " La dolce condanna a vita dell'ultimo criminale nazista ".  La dolce giornata del criminale Erch Priebke, fra lettere, passeggiate e nostalgia.
Incredibile, ma vero.
Ecco il pezzo:


Erich Priebke, prima e dopo

Ha un nome e un cognome che sono di sicura garanzia per accendere gli animi. Erich Priebke, 98 anni, ex ufficiale delle Ss, condannato sedici anni fa all’ergastolo da un tribunale militare per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. L’ultimo prigioniero in Italia per crimini di guerra, sconta la pena ai domiciliari per via dell’età, ma da qualche tempo può uscire di casa al mattino. Va al mercato, alle visite mediche, alla Messa. A vederlo è un arzillo vecchietto alla soglia dei cent’anni che non si arrende all’età. E nemmeno alla storia, peraltro. Non s’è mai pentito. Non rinnega il suo tremendo passato. «Erano ordini e io, come tutti i soldati, ho solo eseguito», fu la sua difesa al processo e vale tuttora. Già, gli ordini.

Di Erich Priebke s’è parlato davvero tanto negli anni scorsi. Poi, inevitabilmente, è giunto l’oblio. Eppure è sempre lì la sua scorta, tre agenti di polizia che controllano discretamente lo stabile dove abita alla periferia di Roma, ventiquattro ore al giorno, tutti i giorni dell’anno. Nel quartiere, quando lo vedono uscire, ormai pochi ci fanno caso. All’inizio, no. Era il 2005 quando se lo videro al lago di Garda, in permesso premio, e ci fu un diluvio di critiche. Era il 2007 quando ebbe la possibilità di lavorare, ma durò appena un giorno perché troppe furono le proteste. Siamo nel 2011 e gli italiani hanno metabolizzato anche questa.

Il detenuto Priebke si sveglia la mattina presto, fa colazione, sbriga qualche faccenda, poi di corsa va allo scrittoio. Incredibile a dirsi, infatti, il signor Priebke da sedici anni intrattiene una fittissima corrispondenza con centinaia se non migliaia di persone di tutto il mondo. Scrive una media di venti lettere al giorno, per lo più a mano, qualche volta aiutandosi con una antica macchina da scrivere. Lo interpellano in tanti: giornalisti, storici, ricercatori, ma anche gente comune. Ci sono i curiosi. Poi i compassionevoli, ovvero quelli che sono impietositi della sua pena di ergastolano, sia pure scontata a casa. Ci sono gli antipatizzanti, ossia quelli che l’hanno eletto a simbolo del «male assoluto» e gliene scrivono quattro. Ma la maggior parte, inutile dire, sono simpatizzanti, nostalgici del nazismo e del fascismo, antichi camerati, compagni d’arme nell’esercito di Hitler o di Mussolini.

Una volta, un giovanotto esaltato si presentò persino alla porta per consegnargli una svastica in metallo. Le lettere arrivano soprattutto da Italia e Germania, ma anche dal resto del mondo. E lui, Priebke, interrompendosi solo per andare al supermercato o per cucinarsi il pranzo e la cena, al suo tavolino scrive, scrive, scrive.

Non che sia un gran nostalgico del Terzo Reich, ci tiene a spiegare il suo avvocato Paolo Giachini. Anzi, tutta questa ossessione che lo circonda a lui sarebbe pure venuta a noia. Ma è la gente che lo cerca e la corrispondenza lo mantiene in contatto con il mondo, specie da quando è diventato quasi completamente sordo e non segue più la televisione. Di letture e musica, poi, l’ex poliziotto nazista, il vice di Herbert Kappler, fuggito dopo il 1946 in Argentina e lì trasformatosi in un insospettabile commerciante, non è mai stato amante. Altri interessi non ne ha. Per il console argentino, invece, non esiste: non ha mai risposto alle sue lettere, così non ha potuto farsi accreditare la pensione, e vive grazie all’ospitalità del suo avvocato.

Anche la famiglia è un pianeta lontano: la moglie è defunta, i figli lo chiamano al telefono ogni tanto, un nipote da Buenos Aires gli ha persino chiesto un aiuto economico perché pensava che qui a Roma lo zio nazista se la passasse bene.

A casa riceve di rado: per lo più anziani che vengono a rievocare i tempi che furono. Ma in tanti cominciano a non venire più. E’ morta la Dama Bianca, ad esempio, una signora veneta, invaghitasi dell’altero ufficiale tedesco ai tempi del processo. E succede anche con chi l’ha avversato. Era l’ottobre scorso quando moriva nella sua casa in Toscana il giornalista Robert Katz che ha scritto libri memorabili sull’occupazione nazista della Capitale e sul suo specifico caso («Morte a Roma», «Dossier Priebke»). E’ scomparsa poi Elvira Paladini, che per tanti anni ha diretto il museo di Via Tasso, e fu testimone al processo raccontando le torture che in quei locali le Ss avevano inflitto a suo marito nel 1944.

Da sedici anni, dunque, il signor Priebke è confinato in un appartamento mentre fuori il mondo procede. Dentro, invece, è come se il tempo non sia mai passato. Conduce una vita serena, nonostante tutto. E tra qualche tempo il suo avvocato presenterà una richiesta di semilibertà perché, regolamento penitenziario alla mano, ha maturato questo diritto e avrebbe piacere di girare un po’ l’Italia per incontrare qualcuno dei suoi amici di penna o portare fiori a quelli che nel frattempo sono scomparsi. Di inginocchiarsi alle Ardeatine non se ne parla.

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lettere@lastampa.it

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