Egitto, fondamentalismo islamico: analisi di Giulio Meotti Ecco perchè i Fratelli Musulmani non sono un interlocutore per l'Occidente
Testata: Il Foglio Data: 03 febbraio 2011 Pagina: 5 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Famiglia allargata e pericolosa»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 03/02/2011, a pag. 5, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Famiglia allargata e pericolosa ".
Fratelli Musulmani, Giulio Meotti
Ha scritto martedì il responsabile della redazione della Reuters al Cairo, Jonathan Wright: “Moltissimi Fratelli musulmani oggi si radono, vestono in maniera elegante, indossano la cravatta e non sono distinguibili dagli altri egiziani”. Dimenticatevi la djellaba degli imam sauditi o le lunge barbe dei talebani, perché il volto dei Fratelli musulmani è moderno, agile, integrato, per questo più difficile da decifrare, per questo anche più insidioso. La nuova Guida suprema della Fratellanza, Mohammed Badie, ne è un esempio perfetto. Indossa splendidi gessati, parla in maniera quieta ed è uno dei più importanti veterinari del paese. Badie è fra i grandi protagonisti del crollo del regime di Mubarak, che la Fratellanza ha spesso definito “l’apostata” e “il faraone”. Ci si inizia a domandare quale peso politico i Fratelli avranno nel prossimo Egitto. L’unico elemento disponibile di raffronto sono le elezioni del 2005: persino sotto il tallone di Mubarak, incarcerati e vessati, i Fratelli ottennero il venti per cento dei seggi parlamentari. Oggi ambiscono al trenta per cento. Parlano di “hurriyah”, libertà, e di “dimuqratiyah”, democrazia, ma appena lo scorso agosto in un sermone Badie aveva detto: “Se i Fratelli musulmani fossero rimasti al loro posto oggi non sventolerebbe la bandiera dell’entità sionista”. Parole che non si prestano a equivoci. Anche un analista raffinato come Leslie Gelb, presidente del Council on Foreign Relations, ha appena scritto che se i Fratelli musulmani salissero al potere sarebbe una “calamità” per l’occidente. La Fratellanza non ha mai fatto mistero di ambire al potere. Parlando al New York Times lo scorso 6 settembre, uno dei leader del gruppo, l’oncologo Essam el Erian, aveva annunciato lapidario: “Oggi ci sono soltanto due possibilità: il regime o i Fratelli musulmani”. Subito dopo la sua elezione alla guida del più importante gruppo islamico del mondo Badie aveva proclamato: “Continueremo nel cammino di Sayyid Qutb”. Pochi osservatori, tra cui l’Economist che denunciò la “svolta oscurantista”, spiegarono il significato profondo dell’affermazione di Badie sull’icona dell’islamismo egiziano. Le storie sulle sofferenze di Sayyid Qutb in prigione sono una sorta di mitologia originaria dei Fratelli musulmani. Qutb fu tenuto per ore in cella con cani ringhianti e picchiato durante lunghi turni di interrogatorio. Assieme a lui c’era proprio Badie. “I princìpi della rivoluzione sono stati applicati su di noi”, disse Qutb sollevando la camicia per mostrare al tribunale i segni della tortura. C’è chi ha scritto che l’11 settembre è nato nelle galere egiziane dove hanno marcito a centinaia i Fratelli musulmani. Qutb riuscì a far uscire dal carcere, un pezzo dopo l’altro, il manifesto “Pietre miliari”, definito spesso il “‘Mein Kampf’ dell’islamismo”. Questo testo circolò clandestinamente per anni sotto forma di lunghe lettere al fratello e alle sorelle, attivisti islamici. Il libro fu messo al bando, ma non prima che cinque tirature fossero andate a ruba. Chiunque venisse sorpreso con una copia del libro rischierebbe l’accusa di sedizione. Qutb fu impiccato il 29 agosto 1966, dopo la preghiera dell’alba. Fu un martirio strategico, che ha piantato radici profonde nell’animo islamista. A che cosa si riferiva Badie parlando di Qutb? Quale “cammino”? Qutb aveva scritto che l’unico mezzo per liberarsi della corruzione morale del regime idolatrico era l’imposizione di una “dittatura giusta”, che avrebbe permesso ai soli “virtuosi” di svolgere un ruolo politico. Le preoccupazioni di Qutb erano la modernità, il secolarismo, la razionalità, la democrazia, l’individualismo, la mescolanza dei sessi, il materialismo, il sionismo, l’americanismo, che avevano contagiato l’islam per il tramite del colonialismo britannico. Stati Uniti e Israele rappresentavano tutto questo. Basta leggere i sermoni di Badie in questo anno dalla sua elezione per capire la filosofia della Fratellanza. Basta pensare che appena lo scorso agosto Badie ha affermato: “Il jihad contro gli infedeli è un comandamento di Allah”. Per questo, ieri il ministro delle Finanze israeliano, Yuval Steinitz, ha messo in guardia l’occidente dal pensare che i Fratelli musulmani siano come l’Akp turco di Erdogan: “La Fratellanza è fanatica non meno dei mullah in Iran”. E’ vero che i Fratelli musulmani sono molto cambiati in trent’anni di leggi emergenziali. Nel 1948 un membro dei Fratelli uccise il primo ministro Nuqrashi del governo monarchico; il governo reagì facendo uccidere il capo del movimento, Hassan al Banna. Il rapporto con lo stato è andato avanti tra aperture e repressioni, rinuncia alla violenza e indottrinamento allo jihad. Nel 1971, quando andò al potere, Sadat liberò migliaia di Fratelli avviando una stagione di dialogo, finita poco prima che la Jamaa Islamiya lo assassinasse. Cinquemila attivisti sono in prigione, e quaranta istituzioni finanziarie che avevano versato fondi al movimento sono state chiuse negli ultimi anni. La storia della Fratellanza comincia una mattina del 1928 in una villetta di Ismailia, vicino al Canale di Suez. Un gruppo di musulmani si riunisce intorno a un fervente religioso di nome Hassan al Banna. L’Egitto allora era una monarchia semicoloniale e al Banna voleva liberarlo attraverso la riscoperta delle origini califfali: “L’islam è fede e culto, patria e cittadinanza, religione e stato, spiritualità e azione, Libro e spada”. Nacquero i Fratelli musulmani, la più antica e influente organizzazione islamista. Rifacendosi alla “tarbiyya”, che significa predicazione e insegnamento, i Fratelli aprivano scuole, ambulatori, moschee, raccomandavano uno stile di vita salafita. Gli uomini iniziarono a farsi crescere la barba, le donne a portare il velo. L’opera “Raccolto amaro” di Ayman al Zawahiri, numero due di al Qaida, è un trattato sulla cattiva evoluzione della Fratellanza in quanto il gruppo avrebbe abbandonato il jihad a favore dell’islamizzazione per via democratica. I Fratelli musulmani sono oggi una parte decisiva dell’élite egiziana, si contano medici, ingegneri, professori, ambasciatori, giudici e parlamentari. L’Europa è una delle loro priorità. La chiamano “dar al shaada”, terra di missione. Yusuf al Qaradawi, il guru più noto della Fratellanza, ha parlato chiaro: “L’islam tornerà in Europa, la conquista non sarà con la spada, ma con il proselitismo”. Da qui la supremazia della “dawa”, la chiamata. Lo sceicco doveva essere nominato guida del movimento. Rifiutò dicendo che la missione europea era più importante. Una delle loro basi è la Svizzera. Qui negli anni Sessanta, Said Ramadan fondò un centro islamico e qui si muove il figlio, Tariq, nipote di Hassan al Banna. Di una presunta evoluzione democratica della Fratellanza si iniziò a parlare nel 2007 dopo la pubblicazione di un saggio di due americani, Robert Leiken e Steven Brooke, che Foreign Affairs titolò “The moderate muslim brotherhood”. Il grande islamologo Bernard Lewis ha appena bollato come mera tattica la loro richiesta di pluralismo e democrazia: “Un uomo, un voto, una volta sola”. Secondo l’analista francese Caroline Fourest, “che scelgano l’opzione jihadista come al Zawahiri, o un approccio ‘riformista’, gli islamisti ispirati dai Fratelli perseguono lo stesso sogno, espresso da al Banna: ‘Far sventolare la bandiera dell’islam dovunque viva un musulmano’”. Una delle massime esperte della Fratellanza, Zeyno Baran, analista della Hoover Institution e dell’Herald Tribune – nonché moglie dell’ambasciatore americano in Azerbaigian, Matthew Bryza – ha detto che “per loro il Corano non è fonte di legge, è l’unica fonte. La Fratellanza ha cambiato tattica, non obiettivo”. Mohammed Badie, ottava Guida suprema nella storia del movimento, è stato compagno di cella di Qutb e nelle carceri egiziane ha trascorso ben tredici anni. Con lui è tornata a essere dominante la corrente estremista e ultra conservatrice. “Il popolo otterrà la libertà soltanto attraverso il jihad; la storia della libertà non è scritta con l’inchiostro, ma col sangue”, ha affermato Badie nel marzo 2010 nella lezione “How Islam Confronts the Oppression and Tyranny” (i suoi sermoni sono reperibili sul sito Ikhwanonline.com, uno dei più cliccati in Egitto). Badie è andato a prendere il posto di Mahdi Mohammed Akef e di un esecutivo pragmatico che aveva alimentato l’emergere di una nuova generazione di riformisti. La vittoria di un riformista avrebbe lanciato un messaggio decisivo al mondo esterno, avrebbe mostrato che il movimento è interessato a un discorso “moderato”. Le vecchie linee integraliste sono invece di nuovo in maggioranza nel nuovo Consiglio. Sono loro che lanceranno la scalata all’Egitto nei prossimi mesi. Nella piattaforma della Fratellanza si parla di discriminazione contro i cristiani e le donne, ma soprattutto di un modello “iraniano” che assegna maggiore potere politico ai religiosi. Si è invece spezzato lo storico equilibrio fra i moderati e i falchi su cui si era retta finora la Fratellanza. Badie, nel suo discorso di apertura, ha subito attaccato Israele. “Lo stato sionista cerca di abolire e cancellare i nostri valori, culture e identità islamici a favore dei suoi valori occidentali che vogliono distruggere la nostra fede e la nostra morale”. Secondo Khalil al Anani, analista egiziano presso il Saban Center della Brookings Institution, la vittoria dei falchi è da interpretare come una conferma del fatto che “il mondo arabo è entrato in una nuova fase di pensiero neoconservatore. Uno di questi segnali è l’ascesa sempre più marcata, in forma e contenuto, del movimento salafita nel mondo arabo, che sostiene che la rinascita dell’islam può avvenire soltanto eliminando dalla società musulmana tutti quegli elementi che hanno alterato la purezza del messaggio religioso originario, quello dell’epoca degli ‘al-salaf al-salih’, ovvero dei ‘pii antenati’, le prime generazioni dell’islam. I salafiti si rifanno esclusivamente alle prime fonti dell’islam: il Corano e la Sunna”. La Fratellanza ha sempre evitato di mettere per iscritto un programma. La nota Carnegie Endowment for International Peace ha pubblicato un rapporto sul piano del movimento in vista delle elezioni, e ieri ne ha parlato anche il Wall Street Journal. Quella del Carnegie è l’analisi migliore che abbiamo per capire che Egitto sognano i Fratelli. Un’inchiesta basata su iniziative parlamentari, documenti strategici e fatwe religiose. Nonostante la Costituzione egiziana ponga già oggi la legge islamica come fonte di legislazione, i Fratelli vogliono un “Consiglio di religiosi” che approvi le leggi. Immediato è stato il paragone con l’Iran. La loro bozza bandisce cristiani e donne dalla presidenza. Il parere di questo Consiglio deve essere “vincolante”. “Nell’islam non c’è differenza fra religione e politica”, ha detto il neosegretario della Fratellanza Mahmoud Ezzat. Fra Gerusalemme e il Cairo vige uno storico trattato di pace trentennale e i Fratelli musulmani vogliono reciderlo. “Il jihad e la resistenza all’occupante non sono terrorismo e il martirio non è suicidio”, ha ripetuto lo scorso luglio Badie contro Israele. I Fratelli chiedono anche banche islamiche attraverso i “consigli di amministrazione della sharia”. In Parlamento hanno chiesto che le conduttrici televisive siano velate, che non si pubblichino romanzi con “riferimenti sessuali” e sia bandita “Miss Egitto”. Vogliono inasprire il codice penale su adulterio, truffa e consumo di alcolici. Vorrebbero una più severa regolamentazione degli indumenti scolastici e dei saloni di bellezza. Quando la cantante americana Beyoncé si è esibita a Port Ghalib, località egiziana sul Mar Rosso, i Fratelli musulmani hanno chiesto che l’esibizione venisse vietata, in quanto è un prodotto della “società occidentale”. Da un lato i Fratelli musulmani discriminano il genere femminile, dall’altro vogliono espandere i diritti delle donne religiose che indossano il velo. Va da sé la difesa della circoncisione femminile. Hanno proposto leggi contro “l’immodestia e la mescolanza dei sessi”. Forte è l’ostilità nei confronti dei cristiani copti. Nel 1980 la Fratellanza rese nota una fatwa che proibiva la costruzione di nuove chiese. Nel 1997 la Guida suprema Mustafa Mashhour affermò che i copti dovevano pagare la “jizya”, la tassa che il califfo imponeva alle minoranze ebraico-cristiane. Nel 2008 il Sindacato dei medici egiziani, controllato dai Fratelli musulmani, ha proibito persino i trapianti tra persone di “diverso credo o nazionalità”, leggi cristiani e musulmani. Mohammed Habib, uno dei massimi leader dei Fratelli musulmani, ebbe anche a dichiarare: “Quando il movimento andrà al potere, sostituirà la presente Costituzione con una islamica, in base alla quale a un non musulmano non verrà concesso di occupare un posto di potere, sia nello stato sia nell’esercito”. Lo scrittore e accademico Milad Hanna gli rispose così: “Il giorno in cui i Fratelli musulmani avranno il cinquanta per cento dei suffragi, i ricchi copti abbandoneranno il paese e rimarranno soltanto i poveri, che si convertiranno. Spero di morire prima che arrivi quel momento”. Vedremo se quel momento è davvero arrivato.
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