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Egitto, I riflessi sul conflitto israelo-palestinese
di Manfred Gerstenfeld Sulle orme della rivolta egiziana e del suo incerto futuro, un altro fronte di guerra cambierà sicuramente: quello del dibattito pubblico sul Medio Oriente quale sarà il peso del conflitto israelo-palestinese. Un altro segnale ci attende, ancora più forte, da coloro che sono nostri nemici, come l’articolo nel Asian Times dell’ ex ambasciatore M.K. Bhadrakumar, un propugnatore delle sporche politiche di Erdogan e dei leader iraniani. Bhadrakumar ritiene che Israele “tenta di distrarre l’attenzione degli Usa dal programma di pace in Medio Oriente per portarla sul programma nucleare iraniano. Questa azione ha funzionato, ma la crisi mediorientale ha riportato la causa palestinese nel vertice della politica regionale “ Dopo quello che sta succedendo adesso in Egitto, Israele, meno che mai, deve affrontare i rischi di una “pace” incerta. Ci sono due chiari messaggi che Israele deve proporre con la forza alla propria diplomazia. Il primo è che la rivolta egiziana dimostra che i trattati di pace con i Paesi arabi non sono garantiti, poichè sono sottoscritti con leader non democratici. L’ argomento sicurezza diventa così per Israele ancora più importante. In un tempo di così grande incertezza nella regione, un governo responsabile non deve accrescerla adottando accordi con un partner palestinese che può essere messo fuori gioco in tempi brevi. Oggi i leader dell’Anp negano di aver voluto fare concessioni, come ha rivelato Palileaks, ma questo dimostra ancora una volta che la natura degli accordi con leader il cui status è incerto, è radicalmente diverso dagli accordi con una democrazia. Il secondo chiaro messaggio da inviare è che il conflitto israelo-palestinese è lungi dall’essere al centro dell’instabilità del mondo arabo e musulmano. Spingere per una ‘pace’ rapida, non renderà più stabile questo mondo. Non è il conflitto israelo-palestine ad influenzare fortemente la regione, quanto piuttosto è quanto accade nella regione ad influenzarlo. Era evidente da lungo tempo per chiunque avesse voluto vederlo. E’ diventato ancora più chiaro dopo i recenti avvenimenti. Chi ha perso la vita in queste settimane, è indipendente dal fatto che ci fosse stata la pace fra israeliani e palestinesi. E nemmeno un solo tunisino o egiziano sarebbe rimasto a casa durante le manifestazioni di rivolta se questa pace ci fosse stata. Valutazioni simili debbono essere fatte d’ora in poi. Le stragi fra sciiti e sunniti e le tensioni fra le due correnti dell’islam non spariranno. La cacciata e l’uccisione di cristiani dai Paesi arabi e musulmani non si fermerà. Che l’ordine pubblico in Pakistan collassi oppure no, non ha alcuna relazione con il conflitto israelo-palestinese. Che l’Iran decida di completare l’armamento nucleare a causa dello stato del conflitto israelo-palestinese è un’invenzione della fantasia di un folle. Molti di questi ragionamenti non sono nuovi. Nel passato, comunque, problemi specifici, inclusi i terroristi suicidi che qui si facevano saltare in aria, avevano goduto di poca attenzione, visti i molti problemi che preoccupano il mondo. Il fatto nuovo è che adesso, in questa regione, avremo una maggior attenzione per un tempo più prolungato. Che permetterà a Israele di mettere meglio in evidenza le proprie ragioni . Mi chiedo cosa possono fare gli amici di Israele nei rispettivi Paesi. Sarebbe sbagliato sprecare energie affrontando molte situazioni, sarà invece più efficace far chiarezza sui giudizi sbagliati di molti prominenti sapientoni occidentali, che non hanno mai capito ciò che accade in questa regione, focalizzando tutto sul conflitto israelo-palestinese. Screditarne la fama può aiutare gli altri a capire. L’attuale instabilità fornisce alla informazione diffusa dalla diplomazia israeliana una nuova marcia in più. Ma anche la possibilità di mancare questa opportunità è un rischio. Oggi ancora più grande.
Manfred Gerstenfeld è Presidente del Jerusalem Center for Public Affairs. |
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