Giorgio Israel
Diciamo la verità. Se Sergio Romano si esprimesse sulla questione ebraica e sul sionismo con lo stile che ha usato oggi sul Corriere della Sera in risposta a Pierluigi Battista, si potrebbe rimanere in dissenso totale con lui e considerare le sue tesi come totalmente infondate ma non accusarlo di usare un linguaggio, diciamo così, “politicamente scorretto”.
Ma non risulta che egli abbia fatto ammenda di tante espressioni spiacevoli (per usare un eufemismo), come:
** l’ebraismo definito come «il catechismo fossile di una delle più antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai praticate in Occidente»
«è apparso, per reazione all’Illuminismo, un ebraismo arcigno, arcaico, psicologicamente impermeabile a qualsiasi forma di tolleranza e convivenza»
** la definizione della Shoah come «polizza di assicurazione»
**la definizione dell’ebreo come «orgoglioso, radicale, spesso miope e intollerante»
** i «tic mentali» e la «grettezza» degli ebrei
**e così via, si noti bene, non parlando di questo o quell’ebreo ma “degli” ebrei.
Sarebbe interessante sapere se l’ambasciatore Romano avrebbe il coraggio di dire che la religione musulmana (non l’integralismo islamico, attenzione, ma la religione musulmana) è una delle confessioni religiose più retrograde, arcaiche, intolleranti, grette, impermeabili a qualsiasi forma di convivenza, mai praticate al mondo. Di certo, avrebbe bisogno di una scorta a vita. E non racconti che non direbbe cose del genere perché non le pensa. Non le direbbe comunque, nei confronti di nessun popolo. Semplicemente perché non può non sapere che quel modo di parlare è poco commendevole e che l’unico popolo con cui è possibile usarlo è quello ebraico, tanto si trova ampia condiscendenza e si sa che l’intollerante e violenta lobby ebraica non emetterà alcuna fatwa. È facile darsi un tono da signore rispondendo a Battista sul Corriere senza avere il coraggio di fare ammenda.