Riportiamo dall'ESPRESSO n°5 del 28/01/2011, a pag. 95, l'articolo di Alessandra Mammì dal titolo " Ultima cena a Tel Aviv ".
Adi Nes con una delle sue fotografie
La leonardesca "Ultima cena" in divisa militare. Qualche Deposizione e alcuni Compianti sul Cristo morto. Una completa declinazione di virtù teologal-cardinali dalla Speranza alla Carità, immortalate sotto stracci di emarginati, volti barbuti degni di San Girolami penitenti e corpi sofferenti di giovani maschi dall'estenuata sensualità che sfidano l'erotismo del nostro migliore San Sebastiano. Eppure, nonostante il repertorio degno della Controriforma, l'autore è ebreo al 100 per cento. Nome e cognome Adi Nes, registrato in tutte le biografie come "artista-fotografo israeliano nato a Kiryat Gat (una cinquantina di chilometri da Tel Aviv) nel 1966 da una famiglia di immigrati curdi e iraniani" e deciso, nonostante il successo internazionale, a non trasferirsi né a New York né a Londra (dove non mancano galleristi disposti ad accoglierlo a braccia aperte), ma a restare a Tel Aviv dove "vive e lavora". E lavora parecchio per nutrire di opere le sue mostre (la prossima a Firenze fino al 6 marzo al museo Alinari) e produrre sempre nuove serie, oltre quelle che lo hanno reso ricco e famoso.
"Soldiers": giovanotti in divisa e posture classiche, abbagliati da taglienti luci caravaggesche che scolpiscono muscoli in chiaroscuro. "Ragazzi": primi piani di bruni fanciulli dagli occhi intensi o corpi di reclute dormienti languide come divinità mitologiche. "Storie Bibliche": e qui si va da solide figure quasi giottesche dai gesti classici e congelati che assistono impietrite le vittime di un attentato fino ad "Abramo", barbone che spinge in un lurido carrello di un supermercato Isacco dormiente. Ma da dove arriva quell'impianto rinascimental-manierista-barocco che spazia da Leonardo a Caravaggio e Rubens e che è ormai il suo segno di riconoscimento? "Mi affido alla sapienza compositiva dei maestri, perché non dovrei?", risponde: " Se metto in scena l'"Ultima cena" scelgo quella di Leonardo non solo perché è un'immagine universale e viva nella cultura popolare, ma perché è la più bella. Sono un artista contemporaneo, ebreo, israeliano e gay, vivo nell'era globale, ma le icone cattoliche non sono solo cattoliche: appartengono alla storia dell'arte e dunque all'umanità intera".
Come questi suoi giovani ed eterni soldati. Guerrieri senza battaglia, perché Adi Nes non li fa mai combattere. Li sceglie uno ad uno, dopo un accurato casting, attraverso e- mail, Facebook o improvvisati provini. Li veste, costruisce i suoi stage, mette le luci. E li racconta mentre dormono, mangiano, si guardano, si abbracciano. Armati e bardati ma fragili. Nessuno è attore e nessuno interpreta se stesso. Siamo in una terra di mezzo abitata da marionette, in un teatro dove la guerra è presenza metafisica, che prende corpo nelle ombre, nelle divise sporche o nella sofferenza del soldato che veglia il compagno morto rubando gesti e postura a ogni Venere che piange Adone o Santa Vergine col corpo inerme di Gesù nella più codificata delle Pietà. Perché "il dolore del lutto ha lo stesso volto ovunque nel mondo", teorizza il nostro. Ma i colori migliori per metterlo in scena sono nella grande tradizione della pittura europea.
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