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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Ram Oren, Come un figlio 31/01/2011

Come un figlio                                                   Ram Oren
Traduzione dall’inglese di Claudia Converso
Sperling & Kupfer                                             Euro 18

Conosciuto come il John Grisham d’Israele, Ram Oren è una nuova voce che si aggiunge al panorama della letteratura israeliana pubblicata nel nostro paese che negli ultimi anni continua ad arricchire l’immaginario collettivo dei lettori italiani con le sue originali creazioni.
Nato a Tel Aviv nel 1936, Oren ha cominciato a scrivere romanzi ad un’età avanzata ma la sua carriera di giornalista è iniziata a 15 anni come fattorino per il quotidiano Yediot Aharonot, è proseguita alla direzione del giornale e nel frattempo dopo aver conseguito la laurea in legge si è dedicato alla professione di avvocato.
Dopo il successo conseguito con la pubblicazione del suo primo romanzo, “Seduction”, nel 1994 ha fondato la casa editrice Keshet che annovera, fra gli altri, scrittori come Shifra Horn (in Italia pubblicata da Fazi). Dopo il libro “Ashram” che analizza il misticismo orientale, la maggior parte dei suoi romanzi sono di genere poliziesco; è nel 2002 che pubblica il primo libro di contenuto storico, “Latrun” e nel 2004 “Target: Tel Aviv” riguardante l’invasione dell’armata egiziana durante la Guerra di Indipendenza.
Le trame avvincenti, i personaggi abilmente delineati, l’accurata attenzione ai dettagli sono solo alcune delle ragioni che spiegano il grande successo dei romanzi di Ram Oren che, in un paese piccolo come Israele, ha venduto più di un milione di copie offrendo ai lettori racconti ricchi di suspense e perfettamente radicati nella realtà israeliana.
Apparso in Israele nel 2007 con il titolo “Shevu’ah” (Giuramento) quest’ultimo libro di Oren arriva in Italia edito da Sperling & Kupfer, privilegiando purtroppo la traduzione dall’inglese che, a parere di chi scrive, ha in parte penalizzato la profondità del testo originale.
“Come un figlio” è una storia vera che nasce dall’incontro dello scrittore israeliano con Michael Stolowitzky, protagonista del libro e della sua indimenticabile testimonianza.
“Straricchi, gli Stolowitzky conducevano una vita invidiabile. Nel loro palazzo in Viale Ujazdowskie a Varsavia, organizzavano cene per l’élite polacca e ospitavano personalità straniere…e trascorrevano le vacanze nella loro residenza estiva, a due ore da Varsavia”. E in questo angolo di paradiso Michael, venuto alla luce dopo molte difficoltà, cresce come un principino, amato e protetto dai genitori e soprattutto dall’adorabile bambinaia, Gertuda Babilinska che dopo un’amara disavventura sentimentale, dalla piccola casa di Starogard nei pressi di Danzica dove abitava con i genitori, si trasferisce a vivere con la famiglia Stolowizky, dedicandosi alla cura e all’educazione del piccolo Michael
Siamo negli anni Trenta e il secondo conflitto mondiale è alle porte: né Jacob, uomo d’affari scaltro e intelligente, né Lydia, sua moglie, “figlia di un ufficiale dell’esercito ebreo originario di Cracovia” si allarmano dinanzi agli episodi di antisemitismo cui assistono e dunque lo scoppio della guerra con l’invasione da parte di Hitler della Polonia (“..il 1° settembre 1939, una giornata grigia e piovosa, sarebbe stata ricordata come una delle peggiori della storia dell’umanità”) li coglie impreparati.
Jacob, all’estero per affari, rimarrà separato dalla sua famiglia che non rivedrà più nonostante i ripetuti tentativi di mettersi in contatto con la moglie e il figlioletto e le enormi somme di denaro disposto ad offrire ai funzionari delle ambasciate per avere notizie dei suoi cari; Lydia fuggita con il piccolo Michael, la bambinaia Gertruda ed Emil lo chauffeur – che si rivelerà un delinquente – muore dopo poche settimane trascorse a Vilna nell’indigenza e nella disperazione.
Prima di morire strappa a Gertruda la promessa di prendersi cura del bambino come se fosse suo, di proteggerlo e di condurlo ad ogni costo in Palestina per farlo crescere come un ebreo: un giuramento al quale la bambinaia non si sottrarrà mai neppure nei momenti più pericolosi del lungo cammino che alla fine li porteranno in Erez Israel.
Ed è con il diminutivo di Mamusha che d’ora in avanti Michael si rivolgerà alla buona Gertruda, una donna dolce, affettuosa ma di carattere indomito e coraggioso, fermamente determinata a portare a compimento la promessa fatta alla mamma del piccolo sul letto di morte.
Parallelamente alla storia di Michael, l’autore getta il suo sguardo sui coniugi Rink, Karl e Mira che come ogni coppia giovane e innamorata raggiungono il culmine della felicità con l’arrivo della piccola Helga. Ma anche per loro il destino ha in serbo un tragico epilogo: Karl con la grave crisi economica che vive in quegli anni la Germania ha perso il lavoro e decide di arruolarsi nelle SS convinto, come molti tedeschi, che l’avvento di Hitler avrebbe portato ordine e benessere. Dinanzi ai soprusi perpetrati a danno degli ebrei gira lo sguardo altrove e sdrammatizza le preoccupazione della giovane moglie Mira, anch’ella ebrea, che teme non solo per la sua vita ma anche per quella della loro figlioletta.
Quando Mira scompare in circostanze misteriose Karl non trova il coraggio di allontanarsi dalle SS ma organizza la partenza della figlia Helga per la Palestina.
Figura per certi aspetti discutibile, Karl negli anni che seguono si asterrà sempre dal partecipare attivamente ai massacri contro gli ebrei, arrivando anzi ad aiutare molte famiglie a nascondersi e salvando la vita anche al piccolo Michael quando un giorno, nella città di Vilna, un ufficiale tedesco avrebbe voluto che il piccolo si abbassasse i pantaloni per controllare se era circonciso. Gertruda non dimenticherà mai quel gesto di grande coraggio e una volta arrivata in Israele farà conoscere alle autorità quei semplici atti di generosità che in un mondo pervaso dall’odio e dalla violenza avevano salvato tante vite umane.
Nelle pagine che seguono il lettore viene catturato da una trama incalzante come un fiume in piena in un crescendo di avvenimenti tragici dove le dure condizioni di vita nel ghetto di Vilna, la fame, la miseria, la paura di essere scoperti, la crudeltà dei nazisti mettono a dura prova la resistenza di Gertruda che non si arrenderà neppure quando cercheranno di impedirle di salire sull’Exodus in partenza per la Palestina perché bisognava “dare la precedenza agli ebrei”…..
Scene di umana crudeltà come l’omicidio a sangue freddo di Mira ed esperienze di una generosità straordinaria che non si ferma nemmeno dinanzi al rischio della vita come quelle di padre Gedovsky che nella sua chiesa di Ostra Brama offre un rifugio a Gertruda e Michael e del dottor Berman che si avventura fuori dal ghetto di Vilna per salvare la vita al piccolo Stolowitzky, ammalato di polmonite, confluiscono in un progetto narrativo che racconta le mille sfaccettature dell’animo umano dinanzi all’immane tragedia che è stata la Shoah, quel luogo della Storia che non potrà mai essere dimenticato.
Il tutto gestito con una maestria narrativa fuori dal comune che ti ripaga con una sensazione di profonda ricchezza emotiva e di ammirazione totale per una donna che ha dedicato la sua vita ad un piccolo ebreo, lo ha salvato da morte sicura, gli ha consentito di raggiungere la terra dei suoi avi e lo ha cresciuto, lei cattolica, come ebreo fra ebrei. E per questo gesto che testimonia più di ogni altro la speranza e la capacità d’amare e che si erge come unico baluardo dinanzi all’orrore di quella tragedia, Gertruda Babilinska ricevette nel 1962 dallo Yad Vashem, l’ente israeliano per la memoria della Shoah, il titolo di Giusta fra le nazioni.

Giorgia Greco


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