Riportiamo da LIBERO di oggi, 28/01/2011, a pag. 16, gli articoli di Carlo Panella e Carlo Nicolato titolati " La voglia araba di libertà sorprende anche l’Occidente " e "L’uomo nuovo d’Egitto ha dato l’atomica all’Iran ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 12, l'articolo di Alberto Negri dal titolo " L'uomo giusto per la svolta democratica ", preceduto dal nostro commento.
Domani Informazione Corretta pubblicherà l'analisi di Zvi Mazel sulla situazione in Egitto.
Ecco gli articoli:
LIBERO - Carlo Panella : " La voglia araba di libertà sorprende anche l’Occidente"
Carlo Panella
Tunisia, Egitto, Yemen: uno dopo l’altro, alcuni tra i regimi arabi su cui si è basata negli ultimi 30 anni la politica mediorientale dell’occidente e in primis degli Stati Uniti scricchiolano, o cadono, sotto la pressione di una nuova, inedita, “piazza araba”. Non più funeree manifestazioni che invocavano “guerra per distruggere Israele”, non più manifestazioni contro Benedetto XVI per il suo discorso di Ratisbona, non più urla per impiccare gli autori danesi delle vignette su Maometto. Gente, volti nuovi, fuori dai partiti di opposizione tradizionali, mobilitati attraverso facebook e twitter, che chiedono democrazia, lavoro, dignità. La yemenita Tawakul Kerman, leader della protesta di Sanaa, è il volto più interessante di questa nuova generazione di arabi che si ribellano a regimi corrotti e repressivi, che rischiano in prima persona sotto i colpi di una repressione ottusa e feroce e che – questo è il punto – hanno idee nuove, inedite nei Paesi arabi, sul loro futuro. Il gesto di Tawakul Karman che , davanti alle telecamere si è tolta il velo (meglio, il foulard, il Hijab) rappresenta bene le caratteristiche di questo nuovo, inaspettato movimento, la voglia di modernità, il rifiuto del revanscismo e del bellicismo, la capacità delle donne arabe di diventare protagoniste. Un movimento solo agli inizi e che avrà una vita travagliata. Ma un movimento avviato su gambe forti. Un movimento di massa che mai, mai prima si era affacciato sulla scena politica araba. Un movimento – questo è il dato politico forse più importante – che non nasce affatto per iniziativa degli islamisti, che a Tunisi come al Cairo sono stati addirittura assenti dai cortei per giorni e che solo ora si affrettano nella rincorsa. Per questo, solo per questo, per questa assenza di una forte pressione popolare dal basso con idee così chiare, moderne, democratiche, non tendente a instaurare Repubbliche Islamiche alla Khomeini (come vogliono i Fratelli Musulmani), i regimi arabi sono riusciti a restare in sella per più di mezzo secolo. Non erano gli appoggi e i finanziamenti degli Usa a tenere in piedi il regime di Ben Ali, di Hosni Mubarak e di Abdullah Saleh. Pragmaticamente, Usa e Europa hanno sempre preso atto del fatto che questi regimi, tutti andati al potere con un putsch militare, non avevano un’alternativa forte, credibile, radicata nelle società tunisina, egiziana e yemenita. Oggi che la rivolta dei gelsomini della Tunisia l’ha avviata, Usa e Europa devono dare segno (e sia pure con lentezza lo stanno dando) di apertura e di credito, come ha fatto saggiamente Hillary Clinton che ha subito detto (quasi intimato) al regime egiziano di rispettare il diritto al dissenso e alle manifestazioni democratiche, chiedendo la liberazione dei manifestanti imprigionati. D’altronde il tema della democrazia in Medio Oriente attraverso una transazione soft – checché ne dica la sinistra – era al centro della strategia di George W. Bush, complemento inscindibile dell’inter - vento militare in Iraq. Nel vertice del G8 di Atlanta nel 2006, Bush invitò i principali leader arabi, proprio per discutere di un processo di democratizzazione delle società arabe basato sull’incremento dell’istruzione (più che deficitario), sulla parificazione dei diritti delle donne a quegli degli uomini e sulla libertà di informazione. Ovviamente, i regimi sottoscrissero gli intenti ma non ne fecero nulla. Oggi, quella proposta ritorna attuale con la forza delle piazze tunisine, egiziane e yemenite. Una buona rivincita per il vituperato ex presidente Usa.
LIBERO - Carlo Nicolato : "L’uomo nuovo d’Egitto ha dato l’atomica all’Iran "
Mahmoud Ahmadinejad con Mohamed el Baradei
«Il popolo ha superato la cultura della paura e, una volta che superi la cultura della paura, non c’è ritorno», con questa lapidaria affermazioneMuhammad El Baradei, ex direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Ener - gia Atomica (Aiea), irrompe nella mischia egiziana, schierandosi, come aveva già fatto in tempi non sospetti, contro il presidente Hosni Mubarak. Effettivamente il “non ritorno” evocato da El Baradei, sembra ormai definitivamente arrivato, come dimostra il numero crescente di giovani uccisi negli scontri, che siano manifestanti o poliziotti. Col 25enne di ieri nel Sinai, raggiunto da un proiettile alla bocca e travolto da un blindato della polizia, il numero totale delle vittime è salito a sette. E aumenteranno ancora se è vero che a al-Sheikh Zuid la polizia ha ricevuto l’ordine di disperdere i manifestanti ad ogni costo, anche sparando con proiettili veri e non di gomma. Nella stessa città, peraltro, diversi poliziotti sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati aggrediti durante la notte da uomini dal volto coperto. Violenti scontri si sono verificati anche a Ismaelia, mentre al Cairo, dopo una notte di violenza, si aspetta la grande manifestazione di oggi, dopo la preghiera del venerdì. Parteciperanno tutti, dai Fratelli Musulmani ai copti, che proprio ieri hanno rotto gli indugi in quanto, spiegano sul loro sito ufficiale, «cittadini come tutti gli altri». A nulla è valsa l’apertura del Parito Nazionaldemocratico, quello di Mubarak, che si è detto disposto a qualche concessione, ma il cui segretario generale Safwat El-Sherif ha però anche aggiunto, tanto per essere chiari, che «una minoranza non avrà mai sopravvento su una maggioranza». Alla “giornata della collera” parteci - peràancheEl Baradei, rientrato in serata al Cairo annunciando «di essere pronto a governare in Egitto se la piazza me lo chiederà». Naturalmente la prima richiesta di El Baradei è che il presidente Mubarak, al potere da 30 anni con leggi speciali, si ritiri. Un presupposto che probabilmente avrebbe preferito conseguire attraverso le elezioni presidenziali che si dovrebbero tenere a settembre. Per raggiungerlo l’ex direttore dell’Aiea, all’inizio dell’anno scorso ha messo in piedi il Fronte Nazionale per il Cambiamento, una coalizione politica che raggruppa i principali movimenti d’opposizione, dalle élite intellettuali di sinistra, perfino comuniste, ai Fratelli Musulmani, molto forti politicamente, ma il cui movimento è stato di fatto bandito dalle riforme alla Costituzione introdotte dal referendum del 2007. Le stesse riforme che hanno introdotto la regola che ogni candidato presidente debba avere un appoggio ufficiale da parte di almeno 250 parlamentari o membri dei Concili provinciali e che renderebbero dunque la candidatura di El Baradei abbastanza problematica. Duranteuna visita del Cancelliere tedesco Angela Merkel in Egitto, Mubarak sostenne che non esiste alcun problema per un’eventuale candidatura di El Baradei, a patto che rispetti la Costituzione. El Baradei, non gode di seguito solo in patria, ma anche all’estero. Per dodici anni è stato direttore generale dell’Aiea, e per il suo impegno all’interno della stessa nel2005 ha addirittura ottenuto il Nobel per la Pace. In particolare El Baradei fu al centro dei colloqui, falliti, tra occidente e Iran sulla questione nucleare. La sua posizione di fronte alla possibilità che Teheran riesca a costruirsi la bomba atomica è sempre stata abbastanza fumosa. Solo qualche giorno fa ha dichiarato, in un’intervista ai giornali austriaci, che la pressione dei Paesi occidentali sulla questione dei rischi legati allo sviluppo nucleare iraniano è stata eccessiva. El Baradei argomenta la sua tesi sostenendochele ricerche iraniane si erano di fatto interrotte nel 2003. L’idea di fondo di El Baradei è che se si pretende che l’Iran non si armi con l’atomica, allora tutto il mondo dovrebbe rinunciare alla atomica. Tale modo di vedere le cose ha però permesso all’Iran di arrivare molto vicino al suo traguardo. Ladistanza tra WashingtoneElBaradei si è fatta ancora più profonda ieri quando quest’ultimo, commentando le parole di Hillay Clinton che ha definito «stabile» il governo di Mubarak, si è chiesto: «Che cosa intendeva con stabile, e a quale prezzo? È la stabilità di 29 anni di leggi d’emergenza, un presidente con un potere imperiale per 30 anni, un Parlamento che è quasi una beffa, una magistratura che non è indipendente? ».
Il SOLE 24 ORE - Alberto Negri : " L'uomo giusto per la svolta democratica "
El Baradei l'uomo giusto per una svolta democratica in Egitto? Non si capisce come possa Negri attribuirgli un merito simile. El Baradei, ex direttore dell'AIEA, l'agenzia Onu per l'energia atomica, ha, di fatto, regalato ad Ahmadinejad l'atomica. Questo è sufficiente a rendere impossibile considerarlo positivamente.
Oltre al SOLE24ORE molti giornali hanno pubblicato articoli simili sulla figura di el Baradei. Ci chiediamo come gli 'esperti' in cose mediorientali, possano cadere in errori così grossolani.
Ecco l'articolo:'
Mohamed el Baradei
Lasciati alle spalle gli onori della scena mondiale come presidente dell'Agenzia nucleare e con in tasca il Nobel per la pace vinto nel 2005, il ritorno in patria di Mohamed ElBaradei nel febbraio scorso fu quasi trionfale: qualche migliaio di persone intasavano l'aeroporto del Cairo e ad accoglierlo c'erano personalità eccellenti, in prima fila Alaa al Aswani, lo scrittore diventato celebre con il romanzo Palazzo Yacoubian, uno dei suoi maggiori sostenitori alla candidatura presidenziale. In pochi mesi ElBaradei, che ha trascorso gran parte della sua vita all'estero, è diventato noto anche in patria per la sfida al faraone Mubarak: il suo sito su Facebook ha superato in popolarità nel mondo arabo anche quello dell'affascinante Rania, la sovrana di Amman.
ElBaradei è il leader che attendeva l'opposizione per partire all'attacco di un regime sclerotizzato. Ha un grande prestigio internazionale, è laico, colto e, soprattutto, dice quello che pensa, senza essere condizionato dal suo passato di diplomatico navigato. Come direttore dell'Aiea ha dato prove di equilibrio in situazioni estreme, come la guerra in Iraq, evitando di cadere nell'ambiguità e nella doppiezza.
È un uomo intellettualmente onesto che ha mostrato di credere con fermezza nel suo ruolo. Del resto il premio Nobel gli fu assegnato perché insieme agli ispettori dell'Onu guidati da Hans Blix condusse una verifica sistematica e precisa degli arsenali iracheni arrivando a una conclusione che riportò con chiarezza alle Nazioni Unite: «Saddam Hussein non ha armi nucleari». Una verità riconosciuta e accettata soltanto dopo il conflitto: la sanguinaria dittatura del raìs non possedeva ordigni di distruzione di massa, ovvero la ragione principale con cui gli americani avevano giustificato la guerra. Allora fu contestato al consiglio di Sicurezza da un famoso discorso del segretario di stato americano Colin Powell, del quale successivamente l'ex generale si è pentito e scusato con lo stesso ElBaradei.
ElBaradei fu severo anche nel 2002 quando la Corea del Nord si ritirò dal Trattato di non proliferazione ed espulse gli ispettori dell'Aiea, denunciando «la grave minaccia» alla legalità e alla sicurezza internazionale. E fu lui a mettere in difficoltà l'Iran per non aver dichiarato all'Aiea l'esistenza di siti nucleari sparsi per il paese.
Avvocato, giurista, 69 anni, studi a Ginevra e New York, ElBaradei sembra avere la biografia giusta per condurre una transizione democratica e offrire le garanzie che il paese non cada in mano agli integralisti. Ma per raggiungere questo obiettivo non può contare soltanto sulla piazza: deve trovare il sostegno dei poteri forti, ovvero le Forze armate e di sicurezza, il vero centro di comando dell'Egitto.
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