Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 27/01/2011, a pag. 15, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo " L'eroe che ha risolto il caso Hariri ".
Mai dire mai, Ugo Tramballi corretto sulla situazione in Libano e sull'omocidio Hariri. Speriamo che non sia una eccezione...
Ecco l'articolo:
Wissam Eid
Un eroe c'è in questa storia, solo uno. Non il Libano, troppo corresponsabile delle sue tragedie per essere promosso al rango di martire. Né il Tribunale internazionale che in cinque anni, da quando ha iniziato a cercare gli assassini di Rafik Hariri, ha mostrato più mediocrità che perspicacia. L'eroe è il capitano dei servizi segreti libanesi Wissam Eid, saltato in aria nella sua auto il 25 gennaio 2008. Il volto inespressivo della foto d'ordinanza, l'unica diffusa, sembra quello di un carabiniere calabrese: ostinatamente pronto a morire per la giustizia anche se è cresciuto in mezzo ai farabutti.
Quasi tre anni prima, il 14 febbraio 2005, con una carica esplosiva molto più potente Rafik Hariri viene ucciso mentre passa in auto davanti all'Hotel Saint George, sul lungomare di Beirut. Con lui muoiono 22 persone. È l'inizio di una storia ancora lontana dalla fine e che, al momento, ha causato più di 100 omicidi. Miliardario sunnita, protetto dai sauditi, Hariri era stato costretto dai siriani a dare le dimissioni da premier.
Francesi e americani chiedono all'Onu che una commissione speciale avvii un'indagine. La ottengono anche se nella storia del Libano l'omicidio politico è una consuetudine e nessun colpevole è mai stato arrestato. Forse convinto di offrire un precedente, il primo sovrintendente della commissione, il tedesco Detiev Mehlis, è così rapido che arriva alle conclusioni prima di avere le prove: mandante e forse anche esecutore è la Siria.
Colpita così gravemente la credibilità della commissione, al posto di Mehlis arriva un belga, Serge Brammetz. Il suo obiettivo è evitare controversie politiche attorno a un'inchiesta che in Libano molti non vogliono. Si rifiuta anche di usare tecniche d'indagine moderne come l'analisi delle telecomunicazioni. È solo nel dicembre del 2007 che consente ai suoi detective di farlo. La commissione ottiene l'elenco di tutte le telefonate fatte in Libano nell'anno dell'omicidio. Milioni e milioni di numeri vengono affidati a una compagnia inglese specializzata.
L'indagine si muove. È a questo punto, come rivela un'inchiesta della tv canadese Cbc, che nel suo archivio la commissione scopre il rapporto di un capitano dell'Isf, i servizi segreti libanesi, inviato un anno e mezzo prima. Wissam Eid, il capitano, aveva già fatto e concluso il lavoro che i tecnici internazionali stavano per cominciare. Aveva anche interrogato i sospettati.
Dalle compagnie telefoniche libanesi, leggono sempre più stupiti gli investigatori Onu, Eid si era fatto dare le chiamate registrate dall'antenna più vicina al Saint George. Poi aveva selezionato quelle fatte la mattina dell'omicidio, escludendo gli apparecchi delle 22 vittime. Dalla selezione erano venuti fuori i "telefoni rossi", che avevano comunicato fra loro senza entrare in contatto con altri. Era la squadra degli assassini. Da qui Eid era arrivato ai "telefoni blu", cioè i secondi cellulari con i quali la squadra comunicava con un livello più alto. Anche quella era una rete «molto disciplinata», chiusa poco dopo la morte di Rafik Hariri.
Per arrivare al destino di eroe che lo aspettava Wissam Eid aveva bisogno della mano della fortuna. Arriva quando scopre che l'uomo incaricato di ritirare i "telefoni blu", prima di farli sparire ne aveva usato uno, una sola volta, per chiamare la fidanzata. L'«idiota», come lo avrebbero poi chiamato gli investigatori dell'Onu, è Abd al-Majid al-Ghamloush, uno specialista di elettronica che lavora per Hezbollah. Dalla porta spalancata da Ghamloush, Eid arriva ai fratelli Hussein e Mouin Khreis, anche loro di Hezbollah. Da qui scopre i "telefoni gialli", la rete del team di sorveglianza dei movimenti di Hariri e soprattutto la traccia che porta tutte le comunicazioni alla rete fissa dell'ospedale Grande Profeta dove Hezbollah cura i malati e, è il sospetto generale, le operazioni militari segrete.
Eid non trova più ostacoli. Dall'ospedale parte una quarta rete di cellulari, i "telefoni rosa" in contatto con gli altri networks e con il Grande Profeta. Ma, più importante, quei telefoni appartengono al governo libanese. Dall'elenco dei numeri scopre che erano stati dati ai deputati di Hezbollah.
Subito dopo la scoperta del rapporto di Eid, il belga Brammertz è sostituito dal canadese Daniel Bellemare che manda i suoi uomini a interrogare il capitano Eid. Al primo incontro scoprono che non è solo un genio. È anche onesto. Otto giorni dopo c'è un secondo incontro. La mattina successiva, il 25 gennaio 2008, Eid viene ucciso.
La commissione intanto si trasforma in Tribunale speciale per il Libano e si trasferisce all'Aja. Bellemare ne diventa il procuratore capo. Ma senza Wissam Eid non sarebbe mai arrivato a Wissam al-Hassan, capo dell'intelligence libanese ma al tempo dell'attentato responsabile della sicurezza di Hariri. Nonostante il suo incarico, curiosamente Hassam il 14 febbraio 2005 non era con Hariri. Le tracce del suo cellulare hanno rivelato che in quel l'anno aveva parlato 279 volte con Hussein Khalil, braccio destro militare di Nasrallah, il capo di Hezbollah. E che Khalil aveva telefonato 602 volte a Wafik Safa, ritenuto il capo della sicurezza interna del movimento sciita.
I sospettati, i cui nomi appariranno nella formalizzazione del l'inchiesta di Bellemare, sono tutti al loro posto. Wissam al-Hassan è ancora un confidente della famiglia Hariri. Nemmeno americani e francesi sono molto convinti che il Tribunale debba agire contro di lui ed Hezbollah. Data la realtà caotica di Beirut, l'inchiesta è un cold case che pochi vogliono davvero risolvere. «Se ce ne fossero altri come mio figlio, il paese sarebbe migliore», continua a dire Samira Eid. Ma il Libano non sarà mai come il capitano Eid.
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