Continuano le impiccagioni in Iran Commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 27 gennaio 2011 Pagina: 5 Autore: Giulio Meotti Titolo: «In Iran, intanto, il regime impicca i capi dell’Onda verde»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 27/01/2011, a pag. 5, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " In Iran, intanto, il regime impicca i capi dell’Onda verde ".
Roma. “Dopo essere stato torturato e aver trascorso tre mesi in isolamento, mio marito è stato sottoposto a pressioni per farlo confessare. Di fronte alla sua resistenza, l’hanno torturato e gli hanno rotto tre denti”. Così si rivolgeva con una lettera alle Nazioni Unite Roodabeh Akbari, la moglie di Jafar Kazemi. Troppo tardi. Il dissidente iraniano Kazemi è stato impiccato pochi giorni fa in un carcere iraniano. Era uno dei leader dell’Onda verde, il movimento di protesta nato dopo le elezioni del 2009. Durante un interrogatorio, uno degli aguzzini aveva detto a Kazemi: “Abbiamo bisogno di sacrificare alcuni per salvare il regime, e il tuo nome è stato scelto tra altri”. E così il regime iraniano continua, nel silenzio del mondo, a eliminare i protagonisti delle proteste civili. Le autorità hanno confermato l’avvenuta impiccagione di due attivisti politici – Jafar Kazemi e Mohammad Ali Hajaghaei – arrestati durante le manifestazioni contro la rielezione del presidente Ahmadinejad. L’esecuzione è stata resa pubblica dall’Ufficio del procuratore. Hillary Clinton, segretario di stato americano, si era appellata per la grazia. Il custode del santuario dell’imam Reza, l’ayatollah Vaez Tabasi, era appena tornato ad attaccare i leader dell’Onda verde, definiti “leader sediziosi che combattono contro l’islam per promuovere l’ignoranza e opporsi al leader supremo dell’Iran”. Sale così a 99 il numero totale di coloro che sono stati uccisi dal regime soltanto in quest’ultimo mese. Secondo dati ufficiali, tra il 19 dicembre e il 24 gennaio l’autorità giudiziaria iraniana ha mandato al patibolo presunti terroristi, “spie sioniste”, trafficanti di droga e “leader sediziosi”. Con 22 esecuzioni, il 20 dicembre 2010 è stato il giorno più sanguinoso nella storia moderna dell’Iran. Kazemi, come gli altri dissidenti giustiziati, era stato dichiarato “moharebeh”, l’accusa più terribile in Iran. Accusa politica, ideologica, religiosa, significa “nemico di Dio”. Così è stato giustiziato anche Ali Saremi, che aveva trascorso 23 anni nelle prigioni dello Shah e dell’attuale regime. Aveva appena scritto una lettera di denuncia dal carcere: “Il regime cerca di giustiziare una grande quantità di persone allo scopo di far nascere la paura e il terrore nei cuori della gente e dei giovani”. La paura starebbe spingendo le autorità iraniane a reprimere ogni dissenso. A dirlo è anche il premio Nobel per la Pace, Shirin Ebadi. Il 9 gennaio, l’avvocatessa dell’Ebadi, Nasrin Sotoudeh, è stata condannata a 11 anni di prigione per “attività contro l’Iran”. Il regime attacca ora anche i cristiani. Di recente, il governatore di Teheran, Morteza Tamaddon, aveva proclamato: “I missionari sono dei parassiti e hanno creato un movimento deviato e corrotto con l’appoggio della Gran Bretagna in nome del cristianesimo”. Ad aprile inizierà il processo a Mohammad Maleki. Agli agenti della polizia che lo stavano arrestando, il professor Maleki aveva detto: “Vi ringrazio, in questi tempi mi sarei vergognato di morire nel mio letto”. Sono state le sue ultime parole da uomo libero. Primo rettore dell’Università di Teheran dopo il 1979, anno di fondazione della Repubblica islamica iraniana, anche Maleki è accusato di “offesa a Dio”, mohareb. Che in Iran equivale a una condanna a morte. L’altra accusa contro l’ex rettore è di aver offeso l’ayatollah Khomeini. Una vita all’opposizione quella del celebre rettore e accademico iraniano. Prima contro lo Shah Reza Pahlavi, poi contro la Repubblica islamica. Durante la rivoluzione ebbe un importante ruolo di tramite fra i dissidenti in esilio e gli oppositori interni al paese, facendo circolare testi e messaggi dell’ayatollah Khomeini, allora esiliato in Francia, e organizzando scioperi studenteschi. Nominato rettore dell’università, dopo appena due anni Maleki fu arrestato nel cuore della notte dalla polizia della Repubblica islamica per essersi opposto alla “rivoluzione culturale” (altro nome per l’islamizzazione degli atenei) imposta dal regime. Fu condannato a cinque anni. Da allora è entrato e uscito dalle carceri iraniane. Spesso in celle così piccole che non ha neppure lo spazio necessario per distendersi.
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