Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/01/2011, a pag. 16, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo "Libano, nasce l´esecutivo di Hezbollah i seguaci di Hariri in piazza contro il 'golpe' ".
Hezbollah
Sulla STAMPA Lorenzo Trombetta intervista Najib Miqati, l'uomo designato da Hezbollah per riformare un governo.
Il fatto stesso che sia sato scelto da Nasrallah dovrebbe suscitare perplessità circa la sua affidabilità, ma non in Trombetta, che gli pone delle buone domande ( "Signor presidente, la si accusa di essere «il candidato di Hezbollah» e, in particolare a Washington e a Parigi, si dicono scettici e preoccupati. Che risponde?(...) E sulla sua presunta amicizia col presidente siriano? (...) La crisi libanese è da mesi legata alla questione del Tribunale speciale (Tsl) incaricato di far luce, tra l'altro, sull'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri. In cambio della sua candidatura ha subito pressioni in merito? "), lasciandole però solo in superficie, senza approfondire e accontentadosi delle 'rassicurazioni' dell'intervistato. Le risposte di Miqati, per altro, contraddicno tutte le cronache sul Libano uscite sui quotidiani italiani di oggi. Questo è un altro fattore che rende impossibile credere alle sue risposte.
Ecco l'articolo di Alberto Stabile:
BEIRUT - I fuochi della collera sunnita divampano nella notte libanese, mentre il nuovo sovrano asceso al trono del Gran Serraglio con la spinta decisiva degli Hezbollah e della Siria, viene salutato nel giorno del suo insediamento non da folle festanti ma dal silenzio impaurito di una città in stato d´assedio.
L´incarico di formare il nuovo governo conferito dal presidente Michel Suleiman a Najib Miqati, 56 anni, miliardario di Tripoli ed egli stesso di religione sunnita come il suo predecessore, Saad Hariri, non è un normale avvicendamento di potere. O, per lo meno, non così viene vissuto da molti libanesi, ma come un tradimento personale e, al tempo stesso, il compimento di una manovra eversiva, un "golpe bianco", che consegna alle milizie del partito di Dio e, per la legge transitiva delle alleanze, a Teheran e a Damasco, un peso decisivo nei destini del paese.
È lo strappo praticato freddamente alla trama che determina l´appartenenza a una setta religiosa, e all´osservanza delle sue regole, prima di tutte il rispetto della sacrale autorità del capo, che ha mandato in piazza migliaia di sunniti, da Sidone a Tripoli, da Beirut alla Valle della Bekaa in quello che è stato battezzato il "giorno della collera". Al grido «Miqati tu non fai parte della nostra gente», gruppi di sunniti fedeli ad Hariri hanno innalzato barricate, bloccato vie di comunicazione, attaccato i sostenitori del nuovo premier incaricato, dato alle fiamme uno studio mobile di Al Jazeera.
A tratti, fra gli slogan della protesta, sono affiorati anche i sintomi di un risentimento più grande di quello manifestato contro il "traditore" Miqati, reo di aver abbandonato le schiere di Hariri, di cui pure era stato alleato fino alle elezioni del 2009, per ascoltare le sirene del partito sciita. Ed è lì, nell´odio urlato contro gli Hezbollah che, oltre allo spettro di una faida inter religiosa, sotto l´inedita, devastante forma sunniti contro sciiti, è affiorato il grande sospetto che chiama in causa l´Iran, il vero artefice, a giudizio delle folle sunnite, di quello che viene già definito "un governo persiano" al servizio degli Ayatollah.
Naturalmente, la realtà delle cose non sempre si riflette nella cruda semplicità degli slogan. Anche se la nomina di Miqati sposta gli equilibri del potere libanese a favore degli Hezbollah e dunque a favore di Siria e Iran, il premier incaricato, un boss delle telecomunicazioni che la rivista Forbes accredita di un patrimonio personale pari ad oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, vanta buoni rapporti anche con l´Arabia Saudita, la potenza petrolifera araba che aveva ed ha negli Hariri, prima il padre Rafik, ucciso nel giorno di San Valentino del 2005, poi il figlio di questi, Saad, oggi primo ministro uscente, i suoi proconsoli in loco. Non a caso, il silenzio di Ryad su Miqati è di quelli eloquenti.
Resta da capire cosa abbia spinto un capitalista laureato ad Harward, politicamente etichettato come "moderato", ad avallare con la propria candidatura l´offensiva intrapresa dagli Hezbollah, quando, all´inizio della scorsa settimana, ordinando ai propri ministri di abbandonare il governo, hanno fatto cadere l´esecutivo guidato da Hariri. Ma, come in un gioco di scatole cinesi, questa domanda ne contiene un altra. Se è vero che il partito sciita appoggiato da Siria e Iran ha deliberatamente provocato la crisi dopo che Saad Hariri s´era rifiutato di prendere le distanze dal Tribunale internazionale incaricato di far luce sull´uccisione del padre, in che modo Miqati intende onorare l´impegno preso con i suoi potenti sponsor? Denunciare l´accordo che ha portato all´Istituzione del Tribunale speciale per il Libano significa sfidare la comunità internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti, preoccupati dell´accresciuto ruolo degli Hezbollah.
Finora, il presidente incaricato ha attinto alla riserva dei luoghi comuni ammantati di buon senso. «La mia mano è tesa verso chiunque voglia collaborare a risolvere le differenze attraverso il dialogo», ha ammiccato. Ma Hariri non sembra disposto a cedere. La sua intransigenza non è priva di buone ragioni. Il figlio di Rafik Hariri non può rompere con il tribunale che deve giudicare i presunti assassini del padre. Meglio tirarsi fuori dal pantano, lasciando a Miqati, al leader druso Walid Jumblatt, l´uomo che con i suoi voti ha permesso il ribaltone, e al presidente Suleiman di spiegare al mondo come mai il partito che ha vinto le elezioni del 2009, sia stato condannato all´opposizione.
Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante