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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.01.2011 La Memoria attraverso immagini, film, libri, ricordi
articoli di Lorenzo Salvia, Valerio Cappelli, Cesare Segre

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 gennaio 2011
Pagina: 28
Autore: Lorenzo Salvia - Valerio Cappelli - Cesare Segre
Titolo: «Dateci foto, lettere, oggetti. Racconteremo la Shoah - Ecco il film sulla strage che imbarazza Parigi - Nell’inferno di Auschwitz c’è un bambino che disegna»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/01/2011, a pag. 28, l'articolo di Lorenzo Salvia dal titolo "Dateci foto, lettere, oggetti. Racconteremo la Shoah " , a pag. 9, l'articolo di Valerio Cappelli dal titolo " Ecco il film sulla strage che imbarazza Parigi ", a pag. 45, l'articolo di Cesare Segre dal titolo " Nell’inferno di Auschwitz c’è un bambino che disegna ".
Ecco gli articoli:

Lorenzo Salvia : " Dateci foto, lettere, oggetti. Racconteremo la Shoah "

ROMA — «Ottobre 1938. Ho visto Marco che piangeva, con le leggi razziali non può più venire a scuola. Chissà che fine avrà fatto?» . La voce di un bambino, un foglio di carta che spunta fuori da un vecchio armadio, la musica di Giovanni Allevi che scorre in sottofondo. Non sarà uno spot come gli altri quello che andrà in onda dal 27 gennaio, Giorno della Memoria e anniversario della liberazione del campo di Auschwitz. Quei 30 secondi, che vedremo in tv fino alla fine di giugno, serviranno a lanciare una campagna per la raccolta di testimonianze sulla Shoah. Foto, lettere, oggetti, documenti: piccoli frammenti di vita magari dimenticati nelle nostre case che potranno essere donati per creare musei dell’Olocausto e dell’ebraismo. «Storia di famiglie» il nome dell’iniziativa voluta dal comitato per le celebrazioni in ricordo della Shoah e presentata da Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Il materiale potrà essere consegnato nelle prefetture italiane, per poi essere trasferito all’Archivio centrale dello Stato e selezionato da una commissione di esperti. Quattro i testimonial che compaiono nello spot: Piero Angela, Giovanni Maria Flick, Massimo Ranieri e Alain Elkann. «L’idea— spiega il sottosegretario Letta— è che tra i ricordi conservati nelle case degli italiani ci possa essere un pezzo importante della nostra storia. E ed è giusto mettere queste testimonianze a disposizione di tutti, soprattutto per sensibilizzare i giovani» . I primi due documenti sono già arrivati, sono stati presentati insieme agli spot e riguardano uno degli aspetti più controversi di quel periodo. Se il ruolo del Vaticano è questione delicata affidata agli storici, è noto che in molti casi gli uomini della Chiesa aiutarono gli ebrei ad evitare la deportazione. I due documenti consegnati ieri da padre Norbert Hofmann, segretario della commissione per i rapporti con l’ebraismo, raccontano quello che fecero a Roma suor Agnese e suor Gertrude nel convento di Nostra signora di Sion. Nascosero numerosi ebrei dal 1940 fino alla fine della guerra e, dopo aver chiesto permesso al Vicariato, accolsero anche un gruppo di uomini, contravvenendo alla regola che imponeva solo presenze maschili. L’altro documento arriva sempre da Roma, dal Seminario lombardo vicino a Santa Maria Maggiore. Qui vennero nascosti 110 ebrei, riuscendo a salvarne molti da un’irruzione della terribile banda Koch. Anche quest’anno il Giorno della Memoria sarà celebrato al Quirinale dove saranno premiati gli studenti che hanno scritto i temi migliori sulla Shoah. «Un momento fondamentale — dice il presidente delle comunità ebraiche Gattegna — per educare la coscienza civile dei ragazzi» . Anche perché, nonostante tutto, c’è ancora chi non crede o prova a minimizzare gli orrori della Shoah. Proprio per questo il ministro della Giustizia Angelino Alfano annuncia la creazione di un «gruppo di lavoro per valutare la scrittura di una legge che affermi il reato di negazionismo» . Una nor- ma che, in realtà, non convince tutti nella comunità ebraica. Alcuni pensano che una misura del genere potrebbe intaccare la sfera, delicatissima, della libertà d’opinione. O che potrebbe essere controproducente, trasformando il processo in un palcoscenico formidabile proprio per chi prova a negare quei fatti. Dice però Alfano che la «negazione della Shoah non è un’opinione ma un’operazione che si colloca all’opposto dei valori delle nostre democrazie» . Anche quando si consuma sul web, come accade sempre più spesso. Non a caso il prossimo appuntamento per le celebrazioni della Giornata della Memoria, oggi a Roma, è una tavola rotonda dedicata al «pregiudizio antiebraico ai tempi di internet» .

Valerio Cappelli : " Ecco il film sulla strage che imbarazza Parigi "


Vento di primavera (titolo originale, La Rafle) di Rose Bosch

ROMA— «La Francia si rese complice di un crimine, di una vera e propria epurazione razziale» , dice uno dei protagonisti di Vento di Primavera, il film di Rose Bosch in anteprima ieri al Festival di Bari e in uscita il 27 gennaio, nella Giornata della memoria. Il 16 luglio 1942, a Parigi durante l’occupazione nazista, 13 mila ebrei furono prelevati in una retata e ammassati nel Velodromo d’Inverno in condizioni miserevoli, senza cibo né servizi igienici, guardati a vista dai gendarmi francesi per cinque giorni prima di essere deportati in un campo di sterminio. I superstiti furono 25, dei 4051 bambini non se ne salvò nemmeno uno. Questa pagina nera sulla Francia collaborazionista di Vichy era stata rimossa. «Se ne sa poco, i libri di scuola liquidano quest’episodio in tre righe, non esistevano foto se non quella degli autobus per il trasporto degli ebrei al Velodromo» , dice Rose, una ex giornalista che ha impaginato il suo film, con il passo didascalico delle fiction, come un reportage. Dice che in Francia tuttora «permangono delle zone d’ombra, non c’è voglia di voltarsi indietro. Lo stesso De Gaulle, in nome della riconciliazione nazionale, cercò di minimizzare. Nei miei tre anni di ricerche, ho incontrato tante difficoltà, perfino la Croce Rossa non mi ha aiutato nella ricostruzione, le autorità hanno manifestato ostruzionismo e poca collaborazione, e la gente (è assurdo ma è così) tende a confondere quello che succede oggi in Israele con i palestinesi con quello che successe allora» . La regista, che non è ebrea, racconta che in seguito non ci fu alcun processo: «L’uomo che gestì la retata, che era grande amico di Mitterrand, ha vissuto tranquillamente» . Ci sono due attori celebri, Jean Reno nei panni del medico ebreo e la coraggiosa infermiera Mèlanie Laurent, al secondo film sui nazisti dopo Bastardi senza gloria di Tarantino; poi volti del tutto sconosciuti (spazio anche a Hitler con Eva Braun e al maresciallo Pétain). Ma i veri protagonisti sono i bambini; la storia è vista attraverso i loro occhi, e dunque il pensiero vola a Arrivederci ragazzi di Louis Malle. «Ognuno degli interpreti ha avuto una ragione personale per entrare nel cast. Jean ha cinque figli da tre donne diverse; gli ho detto, avrei voglia di farti soffrire un po’, al cinema ti vedo sempre uccidere la gente. Il nonno di Mélanie era stato deportato ad Auschwitz. Il pubblico ci ha premiato: 3 milioni di spettatori l’hanno visto in Francia. Il dvd ha avuto vendite record, si vuole conservare il ricordo di una tragedia dimenticata. All’inizio per gli attori si è trattato di un atto di volontariato, il poco denaro a disposizione è stato usato per ricostruire il Velodromo e il campo di prigionia» . Le torrette, il filo spinato, in Francia ce n’erano 200: «Anche questo non è così noto. L’unica condizione che ho posto al produttore era di parlare con i superstiti» . Ha voluto esaltare le voci di dentro, la dimensione interiore. Sui titoli di coda c’è scritto: «Tutti i personaggi del film sono realmente esistiti. Tutti gli eventi, anche i più estremi, sono accaduti in quell’estate del 1942» .

Cesare Segre : " Nell’inferno di Auschwitz c’è un bambino che disegna "


disegni di Thomas Geve

U n tredicenne che si trova gettato nella bocca dell’inferno, solo e senza
istruzioni. È un tema adatto a uno scrittore dell’orrore dalla fantasia perversa. Ma è esattamente la sorte toccata a Thomas Geve, un bambino ebreo di Stettino deportato ad Auschwitz nel 1943. Thomas era vissuto con la mamma e i nonni, esercitando gli unici mestieri possibili per un ebreo come lui, il giardiniere e il becchino. Il padre, espatriato a Londra, faceva vani tentativi per richiamare a sé i suoi cari. Ad Auschwitz, Thomas fu deportato con la madre, che resistette pochi mesi al lavoro forzato. In base alle norme vigenti nel Lager, tutti i bambini inferiori ai quattordici anni (e tutti i vecchi) venivano mandati direttamente alle camere a gas. Thomas, sottratto al forno crematorio perché giudicato robusto, costituì dunque un’eccezione. E a quest’eccezione allude il terribile titolo dell’opera di Thomas Geve (Qui non ci sono bambini. Un’infanzia ad Auschwitz, traduzione di Margherita Botto, Einaudi, pp. 186, e 24). Libro straordinario perché sulla sua esperienza di bambino c’informa, soprattutto, con i disegni. Infatti, dopo la liberazione da parte degli alleati (Thomas era finito a Buchenwald, in seguito all’evacuazione di Auschwitz), nei quindici giorni di convalescenza Thomas si procurò carta, matite colorate e acquerelli, e gettò giù in fretta settantanove disegni, con spiegazioni in tedesco che documentano con esattezza architettura e organizzazione del Lager, ma anche il funzionamento interno, i tipi di lavoro, i regolamenti disciplinari, i problemi igienici, l’alimentazione. Tutto questo per comunicare al padre, poi finalmente raggiunto, come aveva passato i due anni di prigionia. I disegni di Thomas trovarono scarso interesse, e solo quarant’anni dopo, depositati allo Yad Vashem di Gerusalemme, città nella quale Thomas abita dal 1950, hanno cominciato a circolare con una mostra itinerante e poi in pubblicazioni parziali. Questa è la prima completa. Sarebbe frivolo affrontare questi disegni come opere d’arte. Ben più importante notarvi i segni di una dura esperienza, l’attenzione alle misure, agli spazi, alle prospettive di un mondo artificiale e perverso che il ragazzo viene a conoscere e cerca di memorizzare. Le baracche realizzano e contengono i mezzi per una tortura implacabile; il filo spinato è reclusione e insieme assassinio; le fognature propongono sogni di evasione; gli orari sono un cilicio per il tempo, e le annotazioni non attenuano nulla: «Nel reparto di chirurgia i detenuti venivano semplicemente legati e poi operati senza anestesia. Da quel luogo uscivano grida barbare» . C’è persino lo schema delle camere a gas. Ma Thomas ha un orizzonte morale maturo: sente pietà per i deportati zingari, capisce la vergogna delle prostitute al servizio del comando militare, non certo dei detenuti, fa amicizia con qualche altro ragazzo, ma spesso li vede morire; le canzoni dei deportati lo commuovono sempre più intensamente. Date le misure ristrette delle illustrazioni, i personaggi di Thomas sono tutti omini, ma non sfuggono all’occhio attento né i lavori inutili, né la caccia ai pidocchi, né gli espedienti per trovare un tozzo di pane in più, né le bastonature o le impiccagioni. Sullo sfondo i canti dei deportati, e le marce militari degli aguzzini. Gli omini di Geve ricordano a volte, certo per caso, Klee. E alla fine le sorprendenti qualità artistiche di Thomas non possono più essere taciute. Se ossessionano le file di vagoni e di baracche che Thomas rappresenta, altre volte sintetizza in pochi riquadri minacciosi i temi di questa sopravvivenza disperata, oppure costruisce figure a schema circolare che rispecchiano la coerenza criminale del disegno realizzato con il Lager. Memoria e giudizio vengono a coincidere.

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