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Il Foglio Rassegna Stampa
22.01.2011 L'odio di Israele è una febbre delirante. Battista ne sviscera l'ossessione
La recensione di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 22 gennaio 2011
Pagina: 2
Autore: Gliulio Meotti
Titolo: «L'odio di Israele è una febbre delirante. Battista ne sviscera l'ossessione»

Il libro di Pierluigi Battista "Lettera a un amico antisionista", la cui lettura consigliamo vivamente, è recensito oggi, 22/01/2011, sul FOGLIO a pag. 2, da Giulio Meotti, con il titolo " L'odio di Israele è una febbre delirante. Battista ne sviscera l'ossessione".


Pierluigi Battista

Il più grande storico dell’antisemitismo contemporaneo, Robert Wistrich, l’autore di “A lethal obsession”, ha spiegato come l’odio per Israele abbia ormai assunto i tratti di una febbre paranoide. L’editorialista del Corriere della Sera Pierluigi Battista si è gettato dentro a quest’enigma con la sua fervida “Lettera a un amico antisionista” (Rizzoli). Il libro ha la forza di rovesciare una concezione corrente, radicata e ossessiva che si è fatta persino risoluzione all’Onu (“sionismo eguale razzismo”). Il saggio ringhia dentro la cattiva coscienza che ha partorito quest’odio fatto di compulsiva duplicità, doppio standard e sanguinario negazionismo, che Battista chiama giustamente “meccanismo ideologico ed emotivo in gran parte da esplorare”. Un’ubriacatura intellettuale che si fa pensare comune irrigidito, delirio in cui si pasce l’occidente umanitario e compiaciuto di sé. Un caso di “emiplegia intellettuale”, come la chiamava Jorge Semprun, “una specie di furore unidirezionale, un’ossessione maniacale”. Un “dramma più cosmico che storico, più ideale che reale e concreto”. Battista è generoso nel demolire i tic delle chattering classes “inebriate del pensiero dell’Altro” ma che da anni sono impegnate a delegittimare l’altro per eccellenza: Israele. Bruciato in effigie nelle università, nelle piazze, nei giornali, nei supermercati, nei Parlamenti, all’Onu. Battista passa in rassegna “la dismisura nei giudizi, nei pregiudizi, nel lessico, nei furori inconsulti e incontrollati”. Ha ragione a scrivere che non c’è un altro stato, oltre a Israele, “di cui si richieda imperiosamente e con tanto dispiegamento di armi, compresa quella nucleare se mai l’Iran dovesse purtroppo arrivarci, la scomparsa, la cancellazione pura e semplice”. Non sono gli episodi ripercorsi nel libro a renderlo indispensabile, le Mavi Marmara, gli Ilan Halimi e le troppe Durban, è piuttosto il faticoso entrare e uscire da questo poderoso meccanismo psicologico che ha fatto d’Israele una fiorente democrazia sotto minaccia prenucleare, “il ricettacolo di ogni male, la centrale del peccato, la sentina di ogni perversione”. C’è poi la responsabilità del giornalismo, degli scrittori, dei premi Nobel, che a diverso titolo hanno contribuito alla nuova mostrificazione degli ebrei, non ultimi i blood libel dalla Scandinavia. Hanno trasformato il sionismo in un’ideologia disumana convincendo l’opinione pubblica che un paese nato su disgustose premesse non può che essere smantellato. Anche la violenza terrorista deve essere perdonata. E’ sempre difficile l’accostamento fra l’antisionismo e l’antisemitismo, ma Battista convince quando spiega che “trasformare l’ebreo nel malvagio ‘sionista’ non lo sottrae alla perversione morale di un marchio infamante, anzi carica tutta la vicenda ebraica di quello stesso marchio infamante”. Dell’ossessione magistralmente narrata da Battista è pavimentata la strada della liquidazione dell’unico stato la cui esistenza non è mai stata scontata.

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