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L'intifada degli affamati La maggior parte degli Stati arabi è costituita da dittature a diversi livelli di ferocia. Tranne il Libano (fino ad ora) non c'è un solo Stato arabo in cui vi sia uno stato di diritto e un regime legittimo basato sul principio di cambio elettorale. Solitamente i Presidenti dello Stato siedono sulla loro poltrona per lunghi periodi, senza termini di mandato, fino al loro ultimo respiro, momento in cui il potere passa al figlio o nelle mani di un amico. Così si consolida il potere, sviluppando una fitta rete di parenti e affiliati che vivono erodendo le proprietà del popolo, sfruttando l'economia del Paese per i loro interessi personali e famigliari, ed emarginando le masse alla periferia economica e politica. I proventi sono depositati dagli affaristi corrotti in conti segreti in Svizzera, a Vaduz e alle Isole Cayman e non vengono investiti nel Paese per lo sviluppo industriale e la creazione di posti di lavoro. Per questo non creano occupazione. Gli studenti che terminano gli studi per una professione accademica non trovano un'occupazione degna della loro preparazione e sono spinti ad emigrare o a dedicarsi ad altre occupazioni non accademiche come il commercio e lavori manuali. Questa situazione li riempie di rabbia, poiché hanno investito per anni negli studi, denaro, tempo e fatica, per ottenre un lavoro di un certo livello e con una adeguata remunerazione, mentre invece si ritrovano ad essere semplici lavoratori che guadagnano come chi è senza titoli di studio. Il popolo vede, capisce, e sa molto bene chi è il responsabile dei suoi problemi economici, della miseria, delle malattie, dell'ignoranza, della violenza e dell'emarginazione di cui soffrono milioni di arabi. In Tunisia la situazioine è particolarmente grave, poiché il presidente Zin Elabdin Ben Ali era circondato da un grupo di miliardari che hanno spremuto le risorse del Paese causando una disoccupazione che ha raggiunto il 30% se non di più. Il Presidente è stato eletto con più del 90% dei voti, e tutti sono convinti che ci siano stati brogli. Molti giovani tunisini sono convinti di non avere un futuro, mentre sono invece sicuri che il piccolo gruppo di persone vicine al potere ne avrà uno tranquillo e garantito. La rabbia di questi giovani è aumentata negli ultimi anni a causa della politica dal pungo di ferro che hanno adottato i paesi europei riguardo all'immigrazione, che ha diminiuito le prospettive di miglioramento per chi era senza lavoro. La Grecia ha costruito una barriera di separazione al confine con la vicina Turchia, per impedire l'infiltrazione di "lavoratori" stranieri, in particolare musulmani, dalla Turchia verso il territorio europeo. Le masse ebbre di vittoria hanno continuato a rivolgere la propria rabbia contro i simboli del regime, e l'esercito non ha quasi mai sparato sulla folla. Ciononostante sono morte in questi episodi di violenza cento persone nell'ultima settimana, in parte per via dei disordini, in parte per regolamenti di conti tra persone che hanno sfruttato gli eventi ormai fuori controllo. Si è assistito ad una situaizone simile in Iraq dopo la caduta di Saddam nell'aprile del 2003: all'inizio la gente ballava nelle strade, ma poi sono iniziati episodi di crimine e violenza, vendette private, e una preoccupante violenza contro le donne, fenomeni pressoché inesistenti sotto il regime di terrore di Saddam. Oltre a "rivoluzione dei gelsomini", l'evento è stato definito "L'intifada degli affamti", con un diretto richiamo all'intifada palestinese, identificando il regime con una occupazione straniera, che ha gestito il potere con la forza opprimendo il popolo, che alla fine si è ribellato. Cosa riserva il futuro? Dopo la rivolta popolare in Tunisia sorgono due domande: la prima è cosa accadrà dello Stato, la seconda quale reazione ci sarà negli altri Stat arabi. La domanda sul futuro della Tunisia è legata allo status dell'Islam politico. Nel Paese è attivo il movimento El-nahda (rinascita), la sezione locale dei Fratelli Musulmani. Questo movimento vuole introdurre la sharia, e per questo è stato messo fuori legge. Ne è a capo Rashd el'ghanushi, esiliato a Londra vent'anni fa, e se tornerà in Tunisia potrá mettersi alla guida del movimento entrando in politica e impadronisi del potere. Sarebbe in sostanza quanto avvenuto in Iran, dove, dopo la cacciata dello Shah, è ritornato Khomeini dall'esilio in Francia, istituendo il regime degli Ayatollah. Se il sistema politico riuscirà a liberarsi dei fedeli del presidente Ben Ali, acquisirà legittimazione pubblica e placherà la rabbia delle masse. Se il sistema sarà invece ancora corrotto, il popolo, per la maggioranza laico, potrebbe forse rivolgersi all'opzione religiosa, che sarebbe l'unica capace di cambiare il potere e ripulirlo dai corrotti. Pertanto il futuro della Tunisia è legato alla capacità del sistema politico di costituire un'elite di governo che abbia dala sua parte la legittimazione del popolo. Terremoto La domanda più preoccupante riguarda ciò che potrebbe accadere negli altri Paesi arabi. In Algeria già ci sono state manifestazioni nelle ultime settimane, sotto l'influenza di quanto accaduto in Tunisia. Ancor più peoccupante è la questione dell'Egitto, che sta attraversando una fase di cambiamento del potere dopo le presidenziali, sul cui sfondo vi è la volontà di Mubarak di passare il potere al figlio, cui si oppongono sia gli intelelttuali sia le masse, che si identificano con i Fratelli Musulmani. In Egitto, qualche giorno fa, c'è già stato l' episodio di un uomo che si è dato fuoco, esattamente come successo in Tunisia, ma le forze di sicurezza sono intervenute in varie città per controllare i primi segni di rivolta. Sarà utile ricordare che anche Mubarak è in carica da trent'anni. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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