L'intifada degli affamati
di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Giovanni Quer)
Mordechai Kedar
La maggior parte degli Stati arabi è costituita da dittature a diversi livelli di ferocia. Tranne il Libano (fino ad ora) non c'è un solo Stato arabo in cui vi sia uno stato di diritto e un regime legittimo basato sul principio di cambio elettorale. Solitamente i Presidenti dello Stato siedono sulla loro poltrona per lunghi periodi, senza termini di mandato, fino al loro ultimo respiro, momento in cui il potere passa al figlio o nelle mani di un amico. Così si consolida il potere, sviluppando una fitta rete di parenti e affiliati che vivono erodendo le proprietà del popolo, sfruttando l'economia del Paese per i loro interessi personali e famigliari, ed emarginando le masse alla periferia economica e politica. I proventi sono depositati dagli affaristi corrotti in conti segreti in Svizzera, a Vaduz e alle Isole Cayman e non vengono investiti nel Paese per lo sviluppo industriale e la creazione di posti di lavoro. Per questo non creano occupazione. Gli studenti che terminano gli studi per una professione accademica non trovano un'occupazione degna della loro preparazione e sono spinti ad emigrare o a dedicarsi ad altre occupazioni non accademiche come il commercio e lavori manuali. Questa situazione li riempie di rabbia, poiché hanno investito per anni negli studi, denaro, tempo e fatica, per ottenre un lavoro di un certo livello e con una adeguata remunerazione, mentre invece si ritrovano ad essere semplici lavoratori che guadagnano come chi è senza titoli di studio.
Il popolo vede, capisce, e sa molto bene chi è il responsabile dei suoi problemi economici, della miseria, delle malattie, dell'ignoranza, della violenza e dell'emarginazione di cui soffrono milioni di arabi. In Tunisia la situazioine è particolarmente grave, poiché il presidente Zin Elabdin Ben Ali era circondato da un grupo di miliardari che hanno spremuto le risorse del Paese causando una disoccupazione che ha raggiunto il 30% se non di più. Il Presidente è stato eletto con più del 90% dei voti, e tutti sono convinti che ci siano stati brogli. Molti giovani tunisini sono convinti di non avere un futuro, mentre sono invece sicuri che il piccolo gruppo di persone vicine al potere ne avrà uno tranquillo e garantito. La rabbia di questi giovani è aumentata negli ultimi anni a causa della politica dal pungo di ferro che hanno adottato i paesi europei riguardo all'immigrazione, che ha diminiuito le prospettive di miglioramento per chi era senza lavoro. La Grecia ha costruito una barriera di separazione al confine con la vicina Turchia, per impedire l'infiltrazione di "lavoratori" stranieri, in particolare musulmani, dalla Turchia verso il territorio europeo.
Un mese fa un giovane laureato tunisino,Muhamad Buazizi, si è dato fuoco, per il divieto impostogli da un poliziotto locale di vendere verdure, l'unica attività che gli permetteva di vivere. In segno di protesta il giovane si è dato fuoco ed è morto dopo pochi giorni. Gli abitanti della città Sidi Buzid sono usciti dalle loro case per dimostrazioni di massa in protesta contro il regime, dimostrazioni che sono esplose anche in altre città e sono dilagate in tutto il Paese, trasformandosi in dimostrazioni sempre più violente a ogni scontro con la polizia e i suoi simboli ,stazioni di polizia, uffici pubblici. La minaccia personale contro il presidente è aumentata e quando ha percepito il pericolo di un linciaggio, è salito sul suo aereo che lo ha portato in Arabia Saudita dopo che la Francia si è rifiutata di concederli rifugio.
Le masse ebbre di vittoria hanno continuato a rivolgere la propria rabbia contro i simboli del regime, e l'esercito non ha quasi mai sparato sulla folla. Ciononostante sono morte in questi episodi di violenza cento persone nell'ultima settimana, in parte per via dei disordini, in parte per regolamenti di conti tra persone che hanno sfruttato gli eventi ormai fuori controllo. Si è assistito ad una situaizone simile in Iraq dopo la caduta di Saddam nell'aprile del 2003: all'inizio la gente ballava nelle strade, ma poi sono iniziati episodi di crimine e violenza, vendette private, e una preoccupante violenza contro le donne, fenomeni pressoché inesistenti sotto il regime di terrore di Saddam.
Oltre a "rivoluzione dei gelsomini", l'evento è stato definito "L'intifada degli affamti", con un diretto richiamo all'intifada palestinese, identificando il regime con una occupazione straniera, che ha gestito il potere con la forza opprimendo il popolo, che alla fine si è ribellato.
Cosa riserva il futuro?
Dopo la rivolta popolare in Tunisia sorgono due domande: la prima è cosa accadrà dello Stato, la seconda quale reazione ci sarà negli altri Stat arabi.
A livello locale è già accaduto che politici di lunga data abbiano mantenuto stabile la situazione politica, e potrebbe accadere di nuovo, perché il sistema amministrativo non è stato disintegrato, e, ancor più importante, le forze di sicurezza non sono allo sbando, al contrario di quanto è accaduto in Iraq nel 2003. In Tunisia non bisogna ricostruire l'apparato istituzionale, mentre ci sarà bisogno di ripulirlo dagli elementi corrotti. Può essere che si ricostruisca la rete di potere di coloro che erano vicini al passato regime, ma per ora la Tunisia respira un'aria nuova, un nuovo inizio. Un intellettuale e oppositore politico conosciuto, Munsaf Elmrkuzi, che ha vissuto in esilio, è ritornato in Tunisia e ha costituito un partito nuovo con un programma riformatore.
La domanda sul futuro della Tunisia è legata allo status dell'Islam politico. Nel Paese è attivo il movimento El-nahda (rinascita), la sezione locale dei Fratelli Musulmani. Questo movimento vuole introdurre la sharia, e per questo è stato messo fuori legge. Ne è a capo Rashd el'ghanushi, esiliato a Londra vent'anni fa, e se tornerà in Tunisia potrá mettersi alla guida del movimento entrando in politica e impadronisi del potere. Sarebbe in sostanza quanto avvenuto in Iran, dove, dopo la cacciata dello Shah, è ritornato Khomeini dall'esilio in Francia, istituendo il regime degli Ayatollah.
Se il sistema politico riuscirà a liberarsi dei fedeli del presidente Ben Ali, acquisirà legittimazione pubblica e placherà la rabbia delle masse. Se il sistema sarà invece ancora corrotto, il popolo, per la maggioranza laico, potrebbe forse rivolgersi all'opzione religiosa, che sarebbe l'unica capace di cambiare il potere e ripulirlo dai corrotti. Pertanto il futuro della Tunisia è legato alla capacità del sistema politico di costituire un'elite di governo che abbia dala sua parte la legittimazione del popolo.
Terremoto
La domanda più preoccupante riguarda ciò che potrebbe accadere negli altri Paesi arabi. In Algeria già ci sono state manifestazioni nelle ultime settimane, sotto l'influenza di quanto accaduto in Tunisia. Ancor più peoccupante è la questione dell'Egitto, che sta attraversando una fase di cambiamento del potere dopo le presidenziali, sul cui sfondo vi è la volontà di Mubarak di passare il potere al figlio, cui si oppongono sia gli intelelttuali sia le masse, che si identificano con i Fratelli Musulmani. In Egitto, qualche giorno fa, c'è già stato l' episodio di un uomo che si è dato fuoco, esattamente come successo in Tunisia, ma le forze di sicurezza sono intervenute in varie città per controllare i primi segni di rivolta. Sarà utile ricordare che anche Mubarak è in carica da trent'anni.
I media arabi sostengono che quanto accaduto in Tunisia avrà un effetto domino, con le masse che cacceranno i presidenti e le forze di sicurezza dai loro paesi. In molti hanno smesso di aver paura di dire le cose come stanno, e ritengono il caso tunisino un miracolo, perché i tunisini sono riusciti con la sola forza della disperazione a modificare la loro storia, è la prima volta nella storia araba moderna in cui le masse sono riuscite a cacciare un presidente.
Le forze di sicurezza in Giordania sono in stato di massima allerta, e anche in Iraq si alzano voci che istigano le masse a cacciare il nuovo governo, perché i suoi ministri sono tutti corrotti. E' certo che i presidenti degli stati arabi non stanno vivendo giorni sereni, la maggior parte di loro ha ragione a pensare che quanto accaduto in Tunisia può accadere anche da loro. Questo fine settimana si riuniranno a Sharm el Sheikh per trovare una soluzione all'ondata di richieste di cambiamento che può riversarsi su di loro e sui loro regimi.
Dal suo punto di vista di Israele questo fenomeno ha in sé un pericolo e un'opportunità. Il pericolo è costituito dalla possibilità che le forze islamiste sfruttino il cambiamento di regime per prendere il potere , mentre l'opportunità è costituita dalle nuove élites che potrebbero risolvere i problemi interni lasciando Israele vivere in pace. Le masse del mondo arabo non credono che Israele sia l'origine di tutti i loro problemi, e i palestinesi interessano ai poveri arabi affamati molto meno di quanto crediamo. In primis israele deve astenersi dall'esprimere la propria opinione sugli accadimenti nelle società arabe, per dare corso naturale alle cose, senza interferenze esterne. Ogni parola pronunicata da un politico israeliano su quanto avviene in Tunisia o in altri Paesi , sarà solo un danno, poiché ci sarà chi incolperà Israele per quanto avviene, e chi incolperà chi collabora con Israele di tradimento della nazione araba o dell'unità islamica.
Mordechai Kedar, lettore al Dipartimento di Arabistica e ricercatore presso il Dipartimento di Strategia dell' Istituto Begin-Sadat, Università di Bar-Ilan