Il regime iraniano si prepara a difendere il nucleare dagli attacchi informatici Cronaca di Marco Pedersini
Testata: Il Foglio Data: 21 gennaio 2011 Pagina: 1 Autore: Marco Pedersini Titolo: «Per proteggere le centrali l'Iran usa un esercito di guardiani informatici»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 21/01/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Marco Pedersini dal titolo " Per proteggere le centrali l’Iran usa un esercito di guardiani informatici ".
Mahmoud Ahmadinejad
Roma. Entro la fine del mese, le Guardie della Rivoluzione potranno contare su un corpo pronto alla guerra cibernetica. Il pericolo di un virus informatico è il più imminente per il regime dell’Iran e per il suo programma atomico. “I reati tradizionali si sono trasformati e c’è bisogno di unità moderne che sappiano gestire queste nuove realtà”, dice il numero due della polizia, Ahmad Reza Radan: già nelle proteste seguite alle ultime elezioni presidenziali, ricorda l’ufficiale, “i rivoltosi si sono serviti di Internet”. Stando alle parole dei vertici militari, la nuova polizia cibernetica avrebbe soltanto il compito di contenere l’opposizione, sabotando ogni tentativo di propaganda contro la fazione del presidente Mahmoud Ahmadinejad. Negli ultimi mesi ci sono stati numerosi attacchi informatici contro i siti dell’opposizione, così come contro il social network Twitter – sfruttato abilmente dal movimento dell’Onda verde durante la rivolta del 2009 –, contro il motore di ricerca cinese Baidu e il portale di Farsi 1, il canale televisivo di proprietà di Rupert Murdoch popolarissimo (e inviso al regime) per la versione iraniana di serie come “Beautiful” e “24”. Gli hacker del governo hanno colpito anche bersagli insoliti, come la versione europea del blog di nuove tecnologie TechCrunch e la pagina internet della comunità locale di Hillsboro Beach, in Florida, su cui è comparsa all’improvviso un’enorme bandiera iraniana. E’ molto probabile, però, che l’iter per la creazione della nuova polizia cibernetica sia stato accelerato dal contagio del virus informatico Stuxnet, che ha colpito le centrifughe delle centrali atomiche iraniane lo scorso autunno. Il neo ministro degli Esteri di Teheran, già capo del programma atomico nazionale, Ali Akbar Salehi, aveva prima negato l’attacco, per poi dichiarare che il virus era stato scoperto prima che potesse danneggiare gli impianti. “I nemici non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi”, aveva annunciato Salehi, spiegando che i ritardi accusati dal programma nucleare di Teheran e la temporanea sospensione delle attività nelle centrali – registrata dalle Nazioni Unite nel mese di novembre – non erano dovuti ad altro che a “una piccola perdita in una piscina vicino al reattore”. “Non c’è più tempo, dobbiamo avere una polizia informatica che controlli tutto l’Iran”, ha detto la scorsa settimana il generale iraniano Ismail Ahmadi Moghaddam, tradendo un’impazienza diffusa tra i pasdaran. I danni inflitti dal virus Stuxnet, sommati all’efficacia delle sanzioni commerciali, avrebbero spostato al 2015 il termine entro cui l’Iran potrà realisticamente disporre di un ordigno nucleare. Secondo il New York Times, il virus è il frutto di una collaborazione tra l’intelligence americana e quella israeliana, che l’avrebbe testato nella centrale nucleare di Dimona, nel deserto del Negev, dove sono in uso delle centrifughe identiche a quelle con cui l’Iran arricchisce l’uranio. “Per testare il virus, devi conoscere le macchine – ha detto una fonte d’intelligence riportata dal quotidiano – Stuxnet ha funzionato così bene perché Israele ha potuto collaudarlo”. Alla conferenza annuale di sicurezza informatica Blackhat DC, alcuni esperti di programmazione hanno analizzato il virus, trovandolo un prodotto rozzo, amatoriale, ma molto efficace. “Spero proprio che non sia stato scritto negli Stati Uniti – ha detto il noto consulente di sicurezza informatica Nate Lawson – Vorrei poter pensare che i nostri migliori programmatori sappiano almeno quello che i ragazzini bulgari facevano nei primi anni Novanta”. Secondo il suo collega Tom Parker, è molto probabile che Stuxnet sia frutto della collaborazione di due gruppi, di cui uno “non occidentale”. Nonostante gli errori di programmazione, Stuxnet è stato in grado di infettare i computer degli impianti nucleari iraniani, facendo lavorare a singhiozzo le centrifughe fino a danneggiarle gravemente, grazie ai bruschi cambi di velocità, il tutto nascondendosi dai sensori del sistema centrale, che ingannava simulando un andamento corretto dei macchinari. Visti i danni, la Repubblica islamica ha scelto di investire risorse consistenti nel nuovo programma informatico. Ieri Teheran ha fatto sapere che un bombardamento israeliano “non fermerebbe” il programma atomico dell’Iran. Ma il regime non può dire lo stesso degli attacchi informatici. Il Pentagono ha già un corpo di specialisti che ha raggiungo la “massima capacità operativa” all’inizio di novembre. La Cina ha una polizia cibernetica dall’efficienza proverbiale che si dedica alla repressione all’interno dei confini nazionali. L’Iran, dopo gli screzi con Twitter e Facebook, ha scelto una strategia meno vistosa: da mercoledì ha concesso a Google di usare alcune funzioni (Google Earth, Picasa, il browser Chrome) in attesa che arrivi la nuova polizia informatica.
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