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Libero Rassegna Stampa
20.01.2011 Perchè non dobbiamo abbandonare l'Afghanistan
Commento di Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 20 gennaio 2011
Pagina: 21
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Combattere in Afghanistan evita stragi a casa nostra»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 20/01/2011, a pag. 21, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Combattere in Afghanistan evita stragi a casa nostra".


Carlo Panella

Nella stessa pagina, di fianco all'articolo di Panella, un pezzo di Luigi Santambrogio difende la tesi opposta, quella secondo cui sarebbe giusto abbandonare l'Afghanistan. Ma l'apice lo tocca Luigi Bonanate, in un articolo sull'UNITA' di oggi, in cui sostiene che è impossibile chiamare terroristi gli afghani che combattono contro le truppe occidentali. Perciò secondo Bonanate i talebani non sono terroristi...
Ecco il pezzo di Carlo Panella:

È giusto morire per Karzai? I dubbi sono leciti, perché quella dell’Af - ganistan sembra ormai una guerra senza fine e perché non si vedono risultati tangibili, ma soprattutto perché Karzai è a capo di un governo afgano non solo corrotto, ma anche incapace, che non sa allargare i consensi, e che semmai li diminuisce. Ma, nonostante questo, la risposta è semplice: sì, e giusto morire per Karzai, è giusto che il contingente italiano prosegua il suo impegno in Afghanistan a fianco dei contingenti alleati. Un sì che ha una motivazione semplice e altre più complesse. Quella semplice è che se non si muore – e non si vince – per l’Afghanistan, nel giro di poco tempo, o forse subito, qualcuno, molti, moriranno a causa di viale Jenner, per usare uno slogan. A causa cioè dell’immediato rafforzamento che – proprio a partire dai santuari afgani – si verificherà nell’infiltra - zione di terroristi nelle tante moschee in Italia, in Europa, in occidente che, come quella di viale Jenner – è provato, è agli atti – non solo non ergono muri contro l’attività dei terroristi, ma che, consciamente o inconsciamente, permettono loro di “nuotare come pesci nell’acqua”tra i propri fedeli. La catena sempre più impressionante di tentativi di attentati islamici dell’ultimo anno in occidente è stata quasi sempre opera di “terroristi fai da te”.
I BASISTI DEL TERRORE
Ma se non si continua il difficile tentativo di sconfiggere quel santuario del terrorismo islamista che è l’Afghani - stan, se si lascia che al Qaeda possa considerare indisturbata quel Paese come il proprio retroterra organizzativo in cui agire indisturbata, si prepara il terreno per uno, molti, mille “11 settembre”. La strategia iniziata da George W. Bush ha avuto non uno, ma molti meriti, ha conseguito non una, ma molte vittorie. Per quasi un decennio ha spostato il terreno dello scontro in Mesopotamia e in Afghanistan. Centinaia, migliaia di kamikaze sono andati a farsi esplodere (uccidendo al 95% inermi cittadini musulmani) nelle città irachene e afgane, e non più nelle strade e nelle stazioni di paesi dell’occidente. È un osservazione semplice, quasi banale, ma questo è successo. Ed è anche successo che alla fine–dopo un sanguinoso contributo di vite anche di soldati italiani – in Iraq si è impiantato un governo democratico, eletto dal popolo, con una Costituzione democratica. Ci sono ancora attentati, ci sono ancora morti – anche ieri –ma il processo di costruzione di un Iraq nuovo e libero è ormai saldo, progredisce, con effetti di straordinario miglioramento delle condizioni di vita degli iracheni e di progressivo isolamento di quei terroristi islamici che pure fino a pochi mesi fa riuscivano a riscuotere forti consensi nelle zone sunnite.
TRADITORI PAKISTANI
In Afghanistan, va detto, le cose non sono andate altrettanto bene per una ragione sempre più evidente: una parte dei Servizi pakistani (Isi) continua a fornire appoggio a quei talebani che si formarono nel 1996 proprio su loro impulso. Detto questo, è indispensabile ricordarechenel verticeNatodi Lisbona si è deciso di ritirare se non tutti, quantomeno la stragrande maggioranza dei contingenti stranieri dall’Af - ghanistan entro il 2014.Ègià stata definita quindi una exit strategy che si poggia sulla ragionevole certezza che tra tre anni il fenomeno talebano se non sarà estirpato del tutto, sarà comunque marginalizzato. È indispensabile dunque che l’Italia non rompa con gli alleati e si impegni con la stessa generosità – e grande capacità anche dal punto di vista militare – che ha sinora ha saputo dimostrare. Nonostante Karzai.

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