Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/01/2011, a pag. 43, la risposta di Sergio Romano dal titolo " Lo Stato sionista e il nazionalismo arabo".
Sergio Romano condivide la tesi di Vittorio Messori secondo la quale sarebbe il sionismo la ragione principale delle violenze islamiche contro l'Occidente (http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=110&id=37990) e tenta di dare una giustificazione storica alla sua tesi assurda : " ecco apparire nel mezzo del mondo arabo uno Stato composto prevalentemente da immigrati europei. Sono vittime dell’antisemitismo europeo, ma vengono a occupare una parte della Grande Siria in cui la comunità ebraica è stata per molti secoli soltanto una delle molte minoranze religiose della regione.". Il territorio su cui è nato Israele non fa parte di nessuna 'Grande Siria'. Prima c'era l'impero ottomano e, una volta crollato, la Palestina è diventata mandato inglese. Della fantomatica 'Grande Siria', nessuna traccia.
In ogni caso, i cittadini israeliani non provengono esclusivamente dall'Occidente e non hanno nulla a che vedere con il colonialismo europeo.
Romano scrive : "E vogliono una patria sulla base di un titolo di proprietà che risale all’Antico Testamento. È davvero sorprendente che agli occhi degli Stati arabi della regione la Palestina fosse nel 1948, con una espressione desunta ancora una volta dal linguaggio politico occidentale, una «terra irredenta» ?". Dove ora c'è Israele non è mai esistito uno Stato palestinese, perciò è impossibile per gli Stati arabi limitrofi definire quella regione 'terra irredenta'.
Ma Romano proprio questo fa, cerca di fornire delle giustificazioni di stampo pseudo storico-psicologico all'odio degli Stati musulmani. Una motivazione c'è, ma è solo religiosa. Il Corano impone di eliminare ebrei e crociati. Ora che gli Stati musulmani sono praticamente judenrein, è arrivato il momento di concentrarsi sui cristiani.
Ecco l'articolo:

Sergio Romano
L’articolo di Messori è stato istruttivo, interessante e condivisibile, almeno per la parte della ricostruzione storica. Quello, invece, che mi lascia perplesso è l’attribuzione alla costituzione dello stato d’Israele di ogni responsabilità per questa sorta di rivendicazione islamica di un ruolo antioccidentale. Spiace anzitutto che l’autore abbia usato l’espressione di «intrusione violenta del sionismo» quando si è trattato invece di un processo di lunga durata, avallato dal voto dell’assemblea delle Nazioni Unite, che vide favorevoli i Paesi occidentali, da un lato, e l’Unione Sovietica e i suoi alleati dall’altro: la possibilità di un avvio pacifico della sistemazione della Palestina fu impedita dalla violenta intransigenza dei Paesi arabi, specie quelli confinanti, che pretendevano spartirsi quella provincia dell’ex Impero ottomano; la spirale delle successive violenze e ritorsioni ha purtroppo portato all’incancrenita situazione attuale.
Franco Accordino
Messina
Caro Accordino, L e società occidentali conoscono abbastanza bene la storia del sionismo. Lo considerano un movimento risorgimentale, nello spirito di quelli che infiammarono gli animi di tanti popoli europei fra l’Ottocento e il Novecento. Conoscono il dramma del popolo ebraico durante la Seconda guerra mondiale. Conservano nella loro coscienza un sentimento di profondo disagio per vicende che accaddero nei loro Paesi, spesso sotto i loro occhi. E provano quindi una sorta di naturale simpatia per lo Stato di Israele. Conoscono male, invece, la storia dei popoli arabi e non si accorgono che fra di essa e l’ideologia sionista esistono alcune analogie. Anche gli arabi hanno vissuto una lunga fase risorgimentale. Sono stati per alcuni secoli sudditi dell’Impero ottomano e per qualche generazione, dall’Ottocento in poi, sudditi degli imperi coloniali che gli Stati occidentali hanno creato in Africa e in Asia. Il loro risveglio nazionale comincia in Egitto agli inizi dell’Ottocento e si manifesta gradualmente in tutti i Paesi della regione. Il padrone da cui liberarsi è sempre uno Stato occidentale, ma l’ideologia liberatrice è quella che i giovani intellettuali arabi hanno appreso nelle scuole e nelle università dei Paesi da cui sono stati conquistati e occupati. Il loro nazionalismo è modellato su quello delle nazioni europee. Il loro panarabismo ricalca il panslavismo, il panellenismo, il pangermanesimo. Quando i vilayet ottomani diventano Stati semi-indipendenti alla fine della prima guerra mondiale, il modello costituzionale monarchia o repubblica — è importato dall’Occidente. Piaccia o no quasi tutti gli Stati arabi (l’eccezione è rappresentata dall’Arabia Saudita) sono figli e nipoti della cultura occidentale. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il completamento del processo risorgimentale sembra a portata di mano. Ma ecco apparire nel mezzo del mondo arabo uno Stato composto prevalentemente da immigrati europei. Sono vittime dell’antisemitismo europeo, ma vengono a occupare una parte della Grande Siria in cui la comunità ebraica è stata per molti secoli soltanto una delle molte minoranze religiose della regione. E vogliono una patria sulla base di un titolo di proprietà che risale all’Antico Testamento. È davvero sorprendente che agli occhi degli Stati arabi della regione la Palestina fosse nel 1948, con una espressione desunta ancora una volta dal linguaggio politico occidentale, una «terra irredenta» ? Lo Stato d’Israele ha conquistato il diritto all’esistenza, ma chi giudica queste vicende dall’Europa dovrebbe cercare di capire anche le ragioni dell’altro.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante