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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.01.2011 Il Giordano è inquinato
Francesco Battistini enumera le cause, la principale è Israele, of course

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 gennaio 2011
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Se il fiume di Gesù finisce in secca»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/01/2011, a pag. 17, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Se il fiume di Gesù finisce in secca ".


Un battesimo nel fiume Giordano

Francesco Battistini scrive, inventando un probema che non c'è : " Dal 1948, il controllo di sorgenti, affluenti ed estuari sta sull’agenda d’ogni incontro di pace, esattamente come il diritto al ritorno dei palestinesi o quello all’esistenza degl’israeliani, la restituzione del Golan o lo status di Gerusalemme ". Gli unici problemi legati al fiume sono di tipo ambientale. Come scrive Battistini : " Al 54 per cento, il fiume è della Giordania; al 30, sotto la Siria; al 14, israeliano e palestinese; al due per cento, sta in Libano. ". Non si capisce, allora, per quale motivo, leggendo il pezzo, si abbia la percezione che la responsabilità di questo disastro sia Israele. Lo Stato che ha maggior controllo sul Giordano è la Giordania, col suo 54%. Si potrebbe iniziare a chiedersi se la causa dell'inquinamento non derivi da lì. Ma è più facile incolpare Israele. Accusa più, accusa meno...
Ecco il pezzo:

QASR EL-YAHUD (Cisgiordania) — («Giovanni battezzava a Ennòn vicino a Salìm, perché c'era là molta acqua…» . Gv 3, 23-24). Soffia un’aria tiepida, dove soffiò lo Spirito. E non c'è una voce nel deserto. E ci sono più soldati che fedeli. Più sassi, più sacchetti di cellophane che acqua. Quel che tramandano per l’esatto luogo del battesimo di Gesù è un arido tratto di Giordano che somiglia a certi latifondi tutti rovi e randagi. Non lontano dai vecchi campi minati. Una jeep di pattuglia: «Dove va? Non sa che serve il permesso?» . L’evangelica Ennòn sta in area C, a ridosso del confine con la Giordania. Un luogo di pellegrinaggio sotto amministrazione militare. Oggi, dopo 42 anni, il sito sarà totalmente riaperto al pubblico. Un po’ di più, un po’ più a lungo. Ci sarà una cerimonia, in occasione dell’Epifania ortodossa, e s’aspettano ventimila pellegrini russi. Il vicepremier israeliano Silvan Shalom ci spera: ogni anno ci sono 800 mila cristiani che chiedono d’immergere almeno un dito proprio lì, dove dicono si bagnò Nostro Signore. E che spesso rimpatriano delusi: senza un permesso delle autorità israeliane, senz’appuntamento, le comitive finora s’accontentavano di posteggiare i pullman su rive apocrife. Stavolta, saranno più contente: «E’ un esperimento— è cauto Shalom— vediamo se dura» . Soprattutto, vediamo se dura l’acqua. Torbide, calde, salate acque. Nell'Anno del Signore 2011, il Giordano o muore o risorge. L’hanno previsto gli scienziati, qualche mese fa. Lo gridano gli ambientalisti. Lo dicono gli occhi. Nel 2007, fu dichiarato uno dei cento posti del mondo che rischiano di scomparire. Questo sarà l'anno della verità, perché il fiume che la Bibbia descrive «traboccante» è ormai un rigagnolo esausto e salmastro. Agli sgoccioli. Il «giardino di Dio» narrato dalla Genesi, cantato in decine di gospel, ha perso il 95 per cento delle acque utilizzabili e oggi anche il Giacobbe del Vecchio Testamento potrebbe attraversarlo in molti punti, quasi senza bagnarsi. Il Giordano è inquinato, puzzolente, privo di vita. Le lontre e le nutrie sono tutte morte. Sgorgano i liquami. E le cartoline di metà del Novecento, le prime a colori che ce lo tramandavano ancora verde, fresco, lungo molte rive sono da museo: l'alveo aveva una portata d’un miliardo e 300 milioni di metri cubi d’acqua l’anno, ora non supera i cento milioni. «L’apertura del sito di Qasr El-Yahud è una buona notizia, se sarà definitiva, ma non cambia le cose — dice Mira Edelstein, della sezione israeliana degli Amici della Terra —. Abbiamo lanciato l’allarme 2011, perché potrebbe essere davvero l’anno dell’agonia. Il governo israeliano sta costruendo un depuratore, dopo tanto tempo. Da un lato è un bene: basta con gli scarichi fuorilegge. Dall'altro è un rischio: quando l'impianto entrerà in funzione, le acque depurate non saranno restituite al Giordano, ma verranno portate via e usate altrove» . Là dove scorreva il fiume, ci sono le impronte dei suoi assassini. Che da un secolo lo depredano senza pietà, l’un contro l’altro armati. Al 54 per cento, il fiume è della Giordania; al 30, sotto la Siria; al 14, israeliano e palestinese; al due per cento, sta in Libano. E se il diritto internazionale sancisce l’eguale diritto chi s’affaccia sullo stesso corso d’acqua, fra Paesi così nemici la legge è solo un’opinione: ognuno arraffa quel che può. E chi controlla l’Alto Giordano — dall’Hermon al lago di Tiberiade, più rigoglioso e meno salato prima che arrivi al deserto del Mar Morto — ha pure il potere di svuotarlo, di bloccarlo, di deviarlo fregando chi sta in basso. I giordani, da decenni in perenne siccità, sono disperati. Ad Amman, i rubinetti danno acqua una volta la settimana e chi ha i soldi si rivolge ai privati: pozzi scavati in profondità, senza troppe regole, autobotti strapagate che fanno code di ore per approvvigionarsi e non sempre tornano piene nella capitale. E’ uno dei Paesi al mondo con la più bassa disponibilità idrica pro capite, da qualche tempo s’è cominciato a trivellare le falde non rinnovabili: «Non abbiamo risorse, il futuro non promette niente di buono» ha dichiarato alla Bbc il ministro giordano per l’Acqua, Raed Abu Said. Dal 1948, il controllo di sorgenti, affluenti ed estuari sta sull’agenda d’ogni incontro di pace, esattamente come il diritto al ritorno dei palestinesi o quello all’esistenza degl’israeliani, la restituzione del Golan o lo status di Gerusalemme. Raccontano che Rabin e re Hussein, seduti a trattare la storica pace del 1994, fu sull’alleanza per l’acqua che si trovarono subito d’accordo. Ma si sa come va il Medioriente: oggi, sono tutti contro tutti. Di nuovo. Il regno hashemita si sente ostaggio dei siriani, che controllano il grande affluente Yarmuk. I siriani dicono che la colpa è dei turchi, perché lo Yarmuk dipende dall’Eufrate. L'Autorità palestinese, ogni giorno in rissa coi coloni ebrei che irrigano, accusa Israele di vampirizzare l’ 80 per cento delle risorse comuni. Gl’israeliani, messi sotto accusa anche per il sistema idrico che impoverisce e altera l’equilibrio del già impoverito Mar Morto, a loro volta scaricano sulla Siria che tiene i rubinetti d’un terzo delle loro risorse: «Damasco ha grandi responsabilità in questa tensione— spiega Moshe Sharon, idrologo della Hebrew University —. Hanno costruito decine di barriere sullo Yarmuk. E in passato hanno deviato molte volte il normale corso dell’Alto Giordano. Per non dire di tutto quel che prelevano. Per salvare il fiume, bisognerebbe agire in fretta: incanalare acqua fresca dal lago di Tiberiade, pompare le acque sporche… Ma senza cooperazione fra i governi, ogni soluzione è complicata» . D’ipotesi diplomatiche, è piena la storia dell’ultimo secolo: il piano Lowdermilk, il piano Johnston o il piano Eisenhower, che già dagli anni Trenta sognavano un’autorità comune e sovranazionale per tutta la Rift Valley giordana; e poi le conferenze di Vienna, di Pechino, nell’Oman… Anche di volonterosi progetti, dagli anni Ottanta, sono pieni gli uffici studi: una lunga pipeline che vada a pescare e desalinizzi i pozzi vicini al Mar Rosso (ma i sauditi si sono a lungo opposti); un canale, sempre dal Mar Rosso, che immetta acque nell'agonizzante Mar Morto che evapora d'un metro all'anno (ma gli ecologisti temono disastri nell’ecosistema di due ambienti così diversi); limitare l'uso agricolo, che ruba il 70 per cento delle risorse e dà risultati economici trascurabili (ma si rischiano rivolte); riparare la rete degli acquedotti, vecchia e mal tenuta, che solo in Giordania disperde nel terreno il 40 per cento dell'acqua… «Tutti i Paesi dovrebbero comportarsi in modo più responsabile — commenta Mira Edelstein —. Ma soprattutto dovrebbe farlo Israele, che usa la metà delle risorse. L'hanno intimato anche gli Stati Uniti e l'Unione Europea. Qualcosa si sta muovendo: ci sono delegazioni israeliane, giordane e siriane che s'incontrano. Se non s’incontrano anche i leader, però, non ci saranno mai risultati» . Nel Libro dei Re, il Giordano lo chiamano «il fiume dei miracoli» . E i miracoli, è noto, guariscono solo chi ci crede.

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