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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
17.01.2011 Proprietà privata dell'uomo, ecco la donna vista dall'islam
Gian Antonio Stella recensisce 'Hina. Questa è la mia vita' di Giommaria Monti, Marco Ventura

Testata: Corriere della Sera
Data: 17 gennaio 2011
Pagina: 33
Autore: Gian Antonio Stella
Titolo: «Hina, storia senza rimorso. 'Sbagliava, l’ho uccisa'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/01/2011, a pag. 33, l'articolo di Gian Antonio Stella dal titolo "Hina, storia senza rimorso. «Sbagliava, l’ho uccisa»". 

Il commento finale di Gian Antonio Stella sul rapporto tra Hina Saleem e il suo padre assassino è molto efficace " Proprietà privata ".
Il padre di Hina non ha dimostrato nessun rimorso per quello che ha fatto, si sente 'giustificato', non voleva uccidere la figlia (perchè l'ha fatto, allora?), ma la pena inflittagli è troppo grande, la vita di sua figlia gli apparteneva e poteva fare ciò che voleva di lei, compreso sgozzarla perchè disapprovava le sue idee troppo occidentali.
E questo ha molto a che vedere con la religione. La donna è considerata come un oggetto di proprietà del maschio, non ha diritto di esprimere opinioni, nè di avere una vita propria secondo lo stile che desidera.
Ecco il pezzo:


Hina Saleem
Giommaria Monti, Marco Ventura  Hina. Questa è la mia vita (Piemme, pp. 308, e 16)

«Io in Pakistan sarei stato condannato, ma non a trent’anni. A trenta non è giusto. Ho ucciso mia figlia, ma questa è "mia"figlia» . Cinque anni dopo avere sgozzato Hina da orecchio a orecchio, come un capretto, Muhammad Saleem non è per niente convinto d’aver fatto una cosa mostruosa. E non si dà pace. Non si dà pace perché lì in galera non può assolvere il suo dovere di capofamiglia con la moglie e i bambini piccoli. Perché ha coinvolto nel delitto Zahid e Khalid, i fratellastri che aveva preso come mariti per le altre figlie. Perché non si perdona di essere venuto via dal suo Paese per trovare un lavoro in una fonderia bresciana: «In Pakistan non sarebbe successo, perché non c’è discoteca, non c’è la donna libera, non come qua, non così» . Nossignore: «Una libertà così non va bene, troppa libertà per la donna. Anche per l’uomo» . Il rimorso, però, no. Questa è la certezza, sconvolgente, che dà la lettura della sua prima intervista. Concessa nel carcere di Ivrea a Giommaria Monti e Marco Ventura. Due giornalisti dai percorsi diversi, il primo a lungo collaboratore di Michele Santoro, il secondo inviato del «Giornale» e successivamente nello staff di Palazzo Chigi, uniti dalla voglia di capire che cosa accadde quell’ 11 agosto 2006 a Zanano di Sarezzo, nella bassa Val Trompia. E autori del libro Hina. Questa è la mia vita (Piemme, pp. 308, e 16) che, in libreria da domani, ricostruisce «come» lo scontro frontale fra due mondi inconciliabili, «quello cristallizzato del padre e quello magmatico della figlia adolescente in una società come quella bresciana dove tutti lavorano e gli "estra"producono una ricchezza calcolata in quattro miliardi di euro l’anno» , sfociò in un omicidio terribile che scosse l’Italia. È un detenuto modello, Muhammad: «Sembra l’uomo più pacifico del mondo, incapace di fare del male. Sembra l’incarnazione del padre buono e severo per il quale esistono solo il lavoro, la famiglia e la moschea» . Esattamente come lo ricorda il maresciallo dei carabinieri Antonio Indennitate: «Mai uno scatto d’ira o una parola fuori posto. Un capofamiglia, una persona rispettata. Era uno che nella comunità pachistana riscuoteva molto rispetto e molta stima» . Uno «autorevole» . Al punto che la vicina di casa che la sera del delitto vide i generi di Saleem scavare nell’orto come se dovessero seppellire una bestia, ricorderà che lui non scavava: dirigeva. In realtà, scrivono Monti e Ventura, Muhammad Saleem «è due volte prigioniero: del carcere e della sua tradizione» . E se vogliamo pure del ruolo che, su consiglio degli avvocati, si è cucito addosso. All’inizio, quando si presentò ai carabinieri del paese, disse: «Maresciallo Antonio, ora sono in pace con me stesso, ho ritrovato la mia tranquillità» . Ora no. Continua a ripetere che era accecato «dalla vergogna» : «Non volevo ucciderla. Non volevo ucciderla» . E spiega che no, per carità, lui non ha «mai picchiato i bambini» . Neanche Hina? «Non l’ho mai picchiata» . Il bastone? «Non c’era nessun bastone» . Come poteva? «Io sono un bravo padre» . La figlia aveva paura di lui? «Non capisco» . E giura: «Mai, mai ho sbagliato con Hina. Mai. Io non volevo che mia figlia fosse troppo libera, che si drogasse...» . Dice che gli hanno dato trent’anni («mi piace di più la condanna a morte» ) perché tante persone «odiano i musulmani, vogliono togliergli la libertà, non so perché, forse perché c’è il terrorismo» . Anche se, assicura, la religione «non c’entra» . Dice che quel giorno è successo tutto per sbaglio, che litigarono perché la figlia «voleva mille euro» , che fu lei a tirar fuori il coltello e che lui glielo strappò e poi tutto è confuso nella sua memoria. Ma al processo, ricordano Monti e Ventura, il pm Paolo Guidi ammonì: «Le è stato impedito per sempre di parlare e di vivere, ma il suo corpo parla e dice l’ultima parola. Un corpo martoriato da più persone che l’hanno aggredita col solo e unico scopo di ucciderla» . L’autopsia non lasciò dubbi: «Nove ferite al collo, sette al volto, otto all’arto superiore destro, due all’arto superiore sinistro e due alla superficie anteriore del torace» . Più di ogni altra cosa, parlava «una tipica lesione da "sgozzamento"o "scannamento"» . Lui sospira: «Tutta la vita sempre ho rigato dritto, non ho rubato, mai fregato. Questa Italia ci ha rovinato, ha rovinato tutto, ha ammazzato tutta la mia famiglia. Senza padre e senza marito, sono morti anche loro» . Quando la moglie Bushra va a trovarlo, dice, non parlano «mai di Hina perché fa male, fa sempre male» . L’orrore, il sangue, la riprovazione morale, il processo, la condanna, la detenzione, il confronto con gli altri detenuti non hanno spostato di un millimetro la sua visione del mondo, della vita, dei valori. Imbullonata al Pakistan, al rigido e rassicurante piccolo mondo antico di Gujrat, alla religione, che con bizzarro strafalcione chiama «regione» : «Io non la mandavo in piscina, è vero. In piscina non ci andava perché per la nostra regione non si può» . Fine. Certo, fu «giusto mandarla a scuola, però la scuola le ha cambiato la vita. Voleva vivere come le sue amiche, questa è la verità. Io non volevo e lei voleva» . Maledetta scuola: «Prima era molto, ma molto brava» , ma «quando ha cominciato le superiori ha cambiato cervello» . Aveva tutto chiaro, lui: «Ho scelto io i mariti delle mie figlie. Glieli ho presentati io. Anche io e Bushra ci siamo sposati così, e prima di noi i nostri genitori» . Perché cambiare? Anche a Hina aveva pensato: «Avevamo scelto un cugino» . Lei disse no. E forse anche quella volta buttò in faccia a suo padre quella frase che Muhammad non poteva capire e che dà il titolo al libro: «Questa è la mia vita» . Dice che non sa perché ha voluto seppellirla nell’orto: «Nella mia mente c’era solo che mia figlia era tornata a casa. Quando è morta pensavo solo a questo, ad averla vicina, a casa mia (...) pensavo solo: ecco, è tornata, è di nuovo a casa» . Proprietà privata.

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