Le citazioni che Barbara Spinelli fa del Corano non sono sempre corrette sotto il profilo della traduzione. Si sa: tradurre è un po' tradire. Io seguo la traduzione del Bausani (ed. Ulrico Hoepli) che, a detta degli stessi arabi, è la traduzione in lingua italiana più fedele all'originale. Chi ha letto il Corano sa che è un libro non facile, specialmente per noi di cultura europea. Soprattutto non va affrontato come noi siamo abituati, cioè leggendolo e interpretandolo. Il Corano si legge, ma non si interpreta (almeno nella tradizione islamica consolidata tuttora corrente e maggioritaria). Inoltre, nel Corano si può leggere un'affermazione condivisibile in una sura, salvo a leggerne una diametralmente opposta in un'altra. Da dove nascono queste contraddizioni insite nel testo? Nascono dal fatto che il Corano non è un libro scritto di getto (come non lo è la Bibbia, del resto), ma riporta il pensiero del rasùl così come l'hanno udito e ricordato, dopo la sua morte, i suoi più vicini seguaci. Le prime sure, quelle meccane, sono accoglienti, mansuete, talvolta anche liriche, in buona parte condivisibili pure dagli ebrei e dai cristiani. Le seconde, quelle medinesi, sono concrete, rigide, aspre, severe, talvolta spietate e contraddicono sovente ciò che è scritto in quelle meccane. Questo è dovuto al mutare dei tempi e delle situazioni che ha comportato un mutamento di strategia nel diffondere la fede. Se non si conoscono la vita di Muhàmmad e il contesto storico in cui il Corano è stato scritto e se si ignorano gli adìth, i detti del rasùl (anch'essi riflettenti situazioni differenti, talvolta drammatiche della vita di Muhàmmad), si rischia di prendere cantonate solenni. Inoltre, c'è un particolare importante di cui occorre tenere conto. Non esiste un islàm moderato e un islàm fanatico. Esiste l'islàm che è unico, unitario, coeso. Ci possono essere musulmani più inclini a privilegiare gli aspetti intransigenti, puristi e intolleranti della dottrina e altri più inclini a privilegiarne gli aspetti più malleabili, aperti e tolleranti. Ma i primi non possono dire che i secondi sono fuori della tradizione e neppure i secondi dei primi. Perciò, non ci si può attendere una sconfessione aperta da parte dei mufti cosiddetti moderati nei confronti dell'islàm fanatico, perché è pur sempre islàm e tutti i musulmani sono pur sempre fratelli, anche se, in fatto di pratica di vita islamica, la pensano diversamente ma non senza fondamento. L'islàm è contrario agli anatemi? La Spinelli ha mai sentito parlare della fatwa? La gentilezza ha vasto spazio nel Corano? Condivido la necessità che l'Occidente si impegni, una buona volta, a conoscere meglio l'islàm e viceversa. Facendo ciò si eviterebbero equivoci, luoghi comuni, falsi stereotipi. Così come cristiani ed ebrei e musulmani ed ebrei dovrebbero impegnarsi a conoscersi reciprocamente per quello che sono realmente per il medesimo motivo. Solo quando ci si conosce si può dialogare, altrimenti è un dialogo fra sordi che non si comprenderanno mai. Peraltro, la conoscenza reciproca non può derivare solo da un libro sacro, né da una sua interpretazione indulgente. La conoscenza si basa sull'evidenza dei comportamenti o, usando un altro termine, dell'etica. Incontestabilmente, oggi l'islàm emergente si appoggia, legittimamente, su una interpretazione letterale di quelle parti del Corano che incitano alla violenza contro i non musulmani. Un incitamento che attecchisce nei Paesi islamici, ma anche fuori di essi. Ciò che è per noi inaccettabile per essi fa parte della tradizione. Io seguo una massima sempre valida: mostrami le tue opere e comprenderò la tua fede. Maurizio Del Maschio |