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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
14.01.2011 E se la rivoluzione tunisina contagiasse gli altri regimi arabi?
Per scongiurare questa ipotesi i loro leader corrono ai ripari. Commento di Rolla Scolari

Testata: Il Giornale
Data: 14 gennaio 2011
Pagina: 12
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «Ma il rischio contagio fa paura ai leader arabi»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/01/2011, a pag. 12, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo "Ma il rischio contagio fa paura ai leader arabi".


Hosni Mubarak, Muhammar Gheddafi, Abdallah II

La censura governati­va non basta più. Le notizie e le im­mag­ini del dissenso tunisino arriva­no ovunque nel mondo arabo attra­verso i social network- Twitter e Fa­cebook - e attraverso il megafono delle emittenti satellitari, come Al Ja­zeera e Al Arabiya. E dal Nord Africa al Medio Oriente i regimi arabi cor­rono ai ripari, temendo il contagio. In Tunisia la protesta politica con­tro-23 anni di regime autoritario e po­liziesco è stata innescata dal males­sere sociale ed economico. Ed è dal­l’economia che parte il tentativo di alcuni governi della regione d’evita­re un effetto domino. La Libia, il Ma­rocco e la Giordania nelle scorse ore hanno preso misure di controllo dei prezzi degli alimenti base.
Tripoli, dove regna incontestato da decenni il colonnello Muham­mar Gheddafi, ha cancellato alcune tasse e soppresso i diritti doganali su prodotti di prima necessità, tra cui cereali e latte per neonati. Anche il Marocco ha agito per mantenere stabile il prezzo del grano d’importa­zione. In Giordania è lo stesso re Ab­dallah II a chiedere al governo «mi­sure immediate» per «attenuare l’aumento dei prezzi» dei prodotti base. Il mese scorso, l’inflazione nel regno ha raggiunto il livello record del 6,1% e il malessere sociale è pal­p­abile e pronto a trasformarsi in rab­bia popolare. La settimana scorsa la polizia si è scontrata con la folla in protesta e venerdì sono in program­ma
nuove manifestazioni organiz­zate dai Fratelli musulmani. Come molti altri governi del Nord Africa, anche l’Egitto di Hosni Mubarak te­me l’aumento dei prezzi del grano. Il regime spende il 7% del Pil in sussi­di per alimenti e carburante. Il mini­stro del Commercio ha dovuto rassi­curare la popolazione, dando così voce alle preoccupazioni regionali: «Qui non esiste la possibilità di uno scenario alla tunisina». Il timore di un contagio va oltre il prezzo del pa­ne e il malessere sociale. Dal Nord Africa al Medio Oriente la frustrazio­ne politica accomuna molte popola­zioni. «Ogni governo della regione sta guardando con preoccupazione agli eventi in Tunisia - assicura Eric Goldstein, capo della sezione norda­fricana di Human Rights Watch. -Quando mai un regime arabo è sta­to rovesciato da una rivolta popola­re? ». E la Tunisia, che ha un livello economico e sociale migliore di molti altri paesi vicini,è ora sull’orlo della rottura. «Alcuni Stati, più o me­­no autoritari, pensano a come evita­re che i loro cittadini facciamo lo stesso».
L’Egitto,per esempio,come la Tu­nisia
e altri governi arabi, è un regi­me autoritario che invecchia. Il pro­blema della successione a Mubarak rappresenta un’incognita.L'opposi­zione interna è debole e disunita e le tensioni sociali sono in aumento, co­me dimostra il sanguinoso attenta­to di Capodanno a una chiesa copta di Alessandra. Le violenze tra musul­mani e cristiani, il 10% della popola­zione, sono cresciute drammatica­mente negli ultimi anni e il governo è finito sotto accusa per non aver sa­puto garantire la sicurezza, nono­stante le contestate leggi di emer­genza in vigore dal 1981. E ciò che accade in queste ore a Beirut, con il collasso del governo libanese, non fa che accrescere l’atmosfera d'in­stabilità che lega il Nord Africa al Me­dio Oriente.
Il dissenso tunisino è ormai una rivolta popolare dal sapore tutto po­litico. Assieme ai giovani in strada ci sono i professionisti di quella classe media stufa di un potere autocrati­co che limita le libertà personali e amplifica lo stato poliziesco. In as­senza di un’opposizione credibile sono gli avvocati, i medici, qualche giornalista, i sindacati e le associa­zioni dei lavoratori a contestare il po­tere, mettendo in pericolo lo status quo e allo scoperto le debolezze del regime. Tutto questo spaventa capi di Stato e di governo dei Paesi vicini, incapaci ormai di affrontare le ri­chieste di una popolazione giovane con aspirazioni sociali, economi­che e politiche sempre più ambizio­se.
Ma il contagio in realtà ha già avu­t­o un effetto: in Algeria, nazione abi­tuata alla protesta di piazza, il dis­se­nso tunisino ha propagato la con­testazione a gran parte del Paese. Lu­nedì in Marocco una manifestazio­ne in solidarietà con i vicini è stata cancellata dalle autorità. La Tunisia «è il più forte Stato poliziesco della regione - spiega Issandr El Amrani, analista - : se qui accade questo, si­gnifica che può accadere ovunque. Se tra un mese gli arabi dovessero vedere sugli schermi di Al Jazeera i tunisini marciare sul palazzo presi­denziale senza aiuti stranieri, senza insurrezioni islamica, la protesta avrebbe un impatto enorme sugli al­tri regimi regionali».

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