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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.01.2011 Davide Frattini intervista uno dei terroristi dell'Achille Lauro
Abdellatif Fatayer, che riceve una pensione da Ramallah, rifiuta di svelare il ruolo di Abu Mazen nell'attentato

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 gennaio 2011
Pagina: 19
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Parla il dirottatore dell’Achille Lauro: Il sequestro della nave fu un errore»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/01/2011, a pag. 19, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "Parla il dirottatore dell’Achille Lauro: Il sequestro della nave fu un errore ".

La scelta del titolo è inappropriata. Di tutte le dichiarazioni fatte dal terrorista sarebbe quella la più importante? Se il sequestro della nave e l'assassinio di Leon Klinghoffer fosse stato un 'errore', non sarebbe dovuto avvenire.
Molto più interessante il rifiuto del terrorista intervistato (che continua a ricevere una pensione da Ramallah) a fornire dettagli che rivelino il ruolo di Abu Mazen nell'accaduto.
Ecco l'articolo:


Leon Klinghoffer, la nave Achille Lauro, i quattro terroristi palestinesi

La fotocopia sgualcita del passaporto palestinese dice quello che Ibrahim Abdellatif Fatayer non racconta. Con quale documento (e come) abbia lasciato l’Italia. È una piccola certezza nella biografia enigmatica di un fantasma che vorrebbe restare invisibile. Di lui non si è più saputo nulla dall’agosto di due anni fa, da quando ha lasciato il centro di permanenza temporanea di Ponte Galeria a Roma: clandestino e senza patria (il Libano dov’è nato non l’ha voluto indietro), ritenuto dal prefetto di Perugia (dove ha passato i tre anni di libertà vigilata, dopo i venti di carcere) ancora pericoloso e da espellere. Perché il 7 ottobre del 1985, anche lui tirò fuori il kalashnikov per prendere il controllo dell’Achille Lauro, innestando il caricatore dei proiettili e innescando una tumultuosa crisi diplomatica internazionale. Il suo passato è un pezzo di storia italiana, per mettere insieme i frammenti del presente bisogna partire dagli uffici del Fronte per la liberazione della Palestina, al quarto piano di un palazzone bianco, periferia residenziale di Ramallah. Da tre anni, Wasel Abu Youssef è il capo del movimento fondato da Abu Abbas, che il Dipartimento di Stato americano continua a considerare un’organizzazione terroristica e a elencare nella lista nera internazionale. Lo preoccupa un verdetto della Corte Suprema israeliana: un mese fa ha deciso — dopo aver studiato il caso per cinque anni — di respingere le posizioni degli avvocati palestinesi e di permettere a due sopravvissuti statunitensi di chiedere un risarcimento, anche se è passato un quarto di secolo. È lui a tenere i contatti con i dirottatori della nave da crociera, ad assicurarsi che venga pagata loro la «pensione» dall’Autorità di Ramallah. Ricorda con commozione, come un figlio troppo lontano, Maged Al Molky, condannato come esecutore materiale dell’assassinio di Leon Klinghoffer, il passeggero ebreo americano costretto su una sedia a rotelle, ucciso e gettato in mare: «È in Siria, non è facile entrare in contatto, lo controllano» . Conferma come Bassam Al Ashker, il più giovane del commando, sia vivo «a Bagdad» : fuggito dall’Italia nel 1991 dopo aver ottenuto la semilibertà ed essere stato affidato a un programma di recupero della Croce Rossa, riemerge in un rapporto dell’intelligence militare israeliana del 2002 (in Iraq recluta e addestra gli estremisti palestinesi da usare come truppe negli attentati della seconda intifada), viene dato per morto nel febbraio del 2004, rispunta (al telefono con la France Presse) tre anni fa, durante la battaglia nel campo profughi libanese di Nahr el-Bared. Con Fatayer parla spesso. Al cellulare, anche se il profugo ha paura di essere intercettato (vive in Algeria, secondo un amico conosciuto a Perugia e intervistato nel 2009 dal quotidiano La Stampa). Ibrahim non ha dimenticato l’italiano imparato in carcere, l’accento non è troppo marcato. Alla fine accetta di rispondere alle domande via fax, il fantasma si rivela attraverso una penna biro. Nel 1985, durante il sequestro, aveva vent’anni. Si è sposato in ottobre. «Troppo tardi, lo so. È colpa del tempo passato in prigione. Aspettiamo un figlio: se sarà maschio, lo chiamerò Mohammad, in memoria di Abu Abbas, che Allah abbia misericordia di lui» . Il leader del Fronte, condannato all’ergastolo in contumacia e considerato il mandante del dirottamento, è stato catturato in Iraq nel 2003 ed è morto d’infarto l’anno dopo, detenuto dagli americani. Nel 2000, Fatayer si è dissociato dalla lotta armata, ha chiesto la grazia, senza ottenerla. «Non ho mai smesso di lavorare per il Fronte. Ricevo un salario mensile dall’Autorità e dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina» . Dal carcere, aveva appoggiato la soluzione politica al conflitto israeliano palestinese, la scelta dei due Stati per due popoli. Adesso esprime posizioni oltranziste: «Sto aspettando di ritornare in Palestina, tutta la Palestina. Spero di vivere abbastanza per vedere Gerusalemme unita e capitale del nostro Stato. Quel giorno voglio pregare nella moschea di Al Aqsa» . Di come abbia lasciato l’Italia, rivela solo le ultime persone incontrate: «I vostri poliziotti» . A Perugia e a Roma ha amici con i quali è rimasto in contatto. È stato ospitato dalla Caritas, ha lavorato come pizzaiolo e in un ristorante arabo. Tifava Inter e c’era anche una fidanzata, non ne vuole parlare. «I sacerdoti e le associazioni umanitarie mi hanno aiutato. Sostengono la causa palestinese, siamo molto vicini» . Ripete che «l’uccisione di Klinghoffer è stata un errore. Io non ne sono responsabile. Sono addolorato per la morte di qualunque civile o innocente. Il dirottamento non era in programma. Gli imprevisti ci hanno costretto a cambiare il piano» . Il quarto uomo del commando, Hamed Maruf Al Assadi, risiederebbe sotto copertura in Italia, dopo aver collaborato con i magistrati: «È un traditore, ha emesso la sua condanna per sempre» . Nel 2004, l’Fbi ha chiesto di interrogare in cella Fatayer e Al Molki. Gli americani erano interessati soprattutto al ruolo di Abu Abbas, che era stato inviato da Yasser Arafat a trattare con il governo italiano: «Volevano ottenere informazioni utili agli interessi israeliani e non ho cooperato».

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