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Il Manifesto Rassegna Stampa
12.01.2011 La guerra del quotidiano di Rocca Cannuccia contro Israele
Michele Giorgio e Manlio Dinucci in prima linea

Testata: Il Manifesto
Data: 12 gennaio 2011
Pagina: 9
Autore: Manlio Dinucci - Michele Giorgio
Titolo: «Assedio israeliano al Bacino di Levante - Quell’energia ci serve, Tel Aviv rispetti l’Onu»

Riportiamo dal MANIFESTO, quotidiano di Rocca Cannuccia, di oggi, 12/01/2011, a pag. 9, l'articolo di Manlio Dinucci dal titolo "  Assedio israeliano al Bacino di Levante", l'intervista di Michele Giorgio a Georges Corm, economista libanese dal titolo " Quell’energia ci serve, Tel Aviv rispetti l’Onu".


Il quotidiano di Rocca Cannuccia non riesce ad accettare che Israele possieda il più grande giacimento di gas e che non intenda condividerlo con il Libano. Non è ben chiaro per quale motivo dovrebbe farlo, dal momento che il giacimento si trova nelle acque di fronte a Israele, come risulta evidente dall'immagine.
Inquietanti le dichiarazioni di Georges Corm : "
Fare una guerra per il controllo di questo gas sarebbe folle, ma l’esperienza ci insegna che quando Israele vuole andare in guerra, non ha difficoltà a trovare o a creare i pretesti e le motivazioni ". Come quella volta che Israele ha abbattuto un albero sul suo suolo al confine col Libano e l'esercito libanese ha sparato, sostenendo che l'albero fosse sul territorio libanese? Se non fosse stato per Israele che scelse di adottare un basso profilo e considerare l'episodio come 'incidente', la guerra sarebbe scoppiata.
Ma è evidente che non è Israele a cercare la rissa, Hezbollah si sta riarmando da anni, grazie a Siria e Iran e sotto lo sguardo distratto dell'Unifil. Quando il riarmo sarà completato ci sarà da aspettarsi un conflitto.
Ecco i pezzi:

Manlio Dinucci : "  Assedio israeliano al Bacino di Levante"

Alla fine del 2012 Israele comincerà a pompare gas dal giacimento offshore «Tamar », affidato a un consorzio internazionale capeggiato dalla statunitense Noble Energy. Essa porterà questo mese una seconda piattaforma di trivellazione (la Pride North America) per estendere le prospezioni nel Bacino di levante. In quest’area del Mediterraneo orientale – stima l’agenzia governativa statunitense U.S. Geological Survey – vi sono riserve di gas per 3500 miliardi di metri cubi, e riserve di petrolio per 1,7 miliardi di barili. Si prospettano quindi grandi affari: in un anno, l’indice energetico della Borsa di Tel Aviv è aumentato del 1.700%. C’è però un problema: le riserve energetiche del Bacino di levante appartengono solo in parte a Israele. I giacimenti di gas «Tamar » e «Leviatano» si trovano a circa 100 km dalle coste, fuori dalle acque territoriali israeliane che si estendono a 22 km. Tuttavia, in base alla Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, Israele può sfruttare le riserve offshore di gas e petrolio in un’area fino a 370 km dalla costa. Lo stesso però vale per gli altri paesi rivieraschi. Determinante, quindi, è definire le rispettive zone. Nelle acque libanesi, stima la compagnia norvegese Petroleum Geo-Services, vi sono grossi giacimenti di gas e petrolio. A tale proposito, il ministro degli esteri Ali Shami ha chiesto il 4 gennaio al Segretario generale delle Nazioni unite di impedire che esse vengano sfruttate da Israele. La risposta non si è fatta attendere: il giorno dopo, il portavoce Onu Martin Nesirsky ha respinto la richiesta, dichiarando che le Nazioni unite non sono preparate per intervenire nella disputa. Stessa risposta da parte dell’Unifil (United Nations Interim Force in Lebanon): il portavoce Andrea Tenenti ha dichiarato al quotidiano ibanese The Daily Star (6 gennaio) che «un confine marittimo non è mai stato stabilito» e che «la linea di boe nell’area di Naqoura, non riconosciuta dal governo libanese, è stata installata unilateralmente da Israele». Successivamente, il coordinatore speciale per il Libano, Michael Williams, ha diplomaticamente dichiarato che «potrebbe esservi un ruolo per le Nazioni unite, ma dobbiamo discuterne con i nostri giuristi a New York» (The Daily Star, 11 gennaio). In realtà, quindi, l’Onu lascia mano libera a Israele il cui governo ha avvertito che non esiterà a usare la forza per proteggere i «propri» giacimenti. Poiché il parlamento libanese ha approvato una legge sull’esplorazione delle riserve energetiche offshore e agli inizi del 2012 concederà le prime licenze, si apre un contenzioso che facilmente può portare a una nuova guerra israeliana contro il Libano. Che cosa intende fare l’Italia, che svolge un ruolo di primo piano nell’Unifil anche con una componente navale? Aspetterà che le navi da guerra israeliane bombardino le coste libanesi, come già fecero nel 2006, per impadronirsi delle riserve offshore del Libano? Ancora più difficile è che i palestinesi riescano a sfruttare le riserve energetiche dei loro Territori. Dalla carta redatta dalla U.S. Geological Survey risulta che la maggior parte dei giacimenti di gas si trova nelle acque costiere e nel territorio di Gaza. L’Autorità palestinese ne ha affidato lo sfruttamento principalmente alla compagnia British Gas, che ha perforato due pozzi, «Gaza Marine-1» e «Gaza Marine-2». Essi non sono però mai entrati in funzione. Il governo israeliano ha prima respinto tutte le proposte, presentate dall’Autorità palestinese e dalla British Gas, di esportare il gas in Israele ed Egitto. Quindi ha aperto una trattativa diretta con la compagnia britannica, che detiene la maggior parte dei diritti di sfruttamento, per arrivare a un accordo che escluda i palestinesi. Non a caso la trattativa è stata avviata nel giugno 2008, lo stesso mese in cui iniziava (secondo quanto ammesso dalle stesse fonti militari israeliane) la preparazione dell’operazione «Piombo fuso » lanciata contro Gaza nel dicembre 2008. Il successivo embargo, compreso il blocco navale, ha di fatto espropriato i palestinesi del diritto di sfruttare le proprie riserve energetiche, di cui Israele vuole impadronirsi in un modo o nell’altro. Il piano prevede di collegare, attraverso un gasdotto sottomarino, i pozzi palestinesi di Gaza al porto israeliano di Ashqelon, dove dal 2012 arriverà anche il gas dal giacimento «Tamar». A una decina di chilometri, a sud, c’è Gaza dove le autorità israeliane fanno passare col contagocce il combustibile per la centrale elettrica, provocando continui blackout che, lasciando senza energia ospedali e impianti di depurazione, aumentano le vittime dell’embargo.

Michele Giorgio : "  Quell’energia ci serve, Tel Aviv rispetti l’Onu"


Georges Corm

Cresce giorno dopo giorno l’intensità dello scontro diplomatico tra Libano e Israele sul controllo delle riserve di gas nel Mediterraneo orientale. Due giorni fa ilministro degli esteri libanese Ali Shami ha avvertito che nessuna compagnia internazionale sarà autorizzata a operare nelle acque davanti alle coste dei due paesi (formalmente in stato di guerra) sino a quando non verranno delimitate le rispettive acque territoriali. Shami ha accusato Israele di operare in acque territoriali libanesi. Da parte sua il governo israeliano ripete che le riserve di gas sottomarino, già denominate «Leviatano» e «Tamar», si trovano all’interno delle acque di competenza economica del paese e ha dato alla compagnia texana Noble Energy l’incarico di continuare le esplorazioni. La vicenda rischia di provocare una crisi aperta, dalle conseguenze imprevedibili. Ne abbiamo parlato con Georges Corm, economista e storico libanese, consulente di diversi organismi internazionali e docente all’Università Saint-Joseph di Beirut.
Che idea si è fatto di questa disputa?
C’è una grande eccitazione in Libano, Israele e persino a Cipro per queste riserve di gas naturale nel Mediterraneo orientale. La stampa ne parla da settimane, ma fino a oggi non c’è alcuna certezza dell’esistenza di questa ingente fonte di energia. Ricordo che se ne parlò tanto anche negli anni ’60 e poi non se ne fece nulla. Certo, quel gas, o una parte di esso, farebbe molto comodo al mio paese che è largamente dipendente dall’importazione di energia e materie prime. L’utilizzo di risorse energetiche è fondamentale per lo sviluppo economico,ma siamo ancora lontani dalla certezza di trovare enormi quantità di gas sotto il Mediterraneo orientale. Sul piano politico è necessario definire le acque territoriali di Israele e del Libano per poter situare con precisione le riserve di gas sottomarino che eventualmente verranno scoperte ma i due paesi sono in stato di guerra e, quindi, non credo che la cosa sia fattibile in tempi brevi. Le Nazioni Unite peraltro si sono dichiarate incompetenti nella questione delle acque territoriali. L’Onu fa sapere che la risoluzione 1701 che mise fine nel 2006 all’offensiva militare israeliana nel Libano del sud e ai lanci di razzi da parte di Hezbollah, non contempla il raggiungimento di un accordo sulle acque territoriali tra Libano e Israele.
Le Nazioni Unite si terranno alla larga da una vicenda che potrebbe avere risvolti pericolosi?
Non è detto. Ho appreso che il Coordinatore speciale dell’Onu in Libano (Michael Willams, ndr) ha parlato di una prossima discussione al Palazzo di Vetro proprio sulla questione delle acque territoriali, anche se l’esito si prevede incerto. Tuttavia occorre sottolineare che oltre alla questione delle riserve di gas, le istituzioni internazionali devono lavorare seriamente per ristabilire la legalità in questa regione. Israele impone la sua forza e fa il bello e cattivo tempo infrangendo risoluzioni e convenzioni internazionali e questo vale per i territori palestinesi che dopo oltre 43 anni sono ancora sotto occupazione e anche per le Alture del Golan che appartengono alla Siria, senza dimenticare le violazioni sistematiche della sovranità territoriale libanese da parte delle forze armate israeliane, a cominciare dall’aviazione. Il discorso della legalità in questa regione è ampio e non deve limitarsi a risolvere la disputa su riserve di gas ancora da scoprire, che è soltanto la più recente delle questioni aperte.
Israele dice che il gas è suo, il Libano smentisce, alza la voce e chiede l’intervento Onu. Questa vicenda può scatenare il conflitto tra soldati israeliani e combattenti Hezbollah, del quale si parla da tempo?
Fare una guerra per il controllo di questo gas sarebbe folle, ma l’esperienza ci insegna che quando Israele vuole andare in guerra, non ha difficoltà a trovare o a creare i pretesti e le motivazioni. Tuttavia non credo che questa disputa ci farà precipitare nel baratro di un nuovo conflitto armato anche se, in tutta onestà, non mi sento di poterlo escludere del tutto.

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