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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Eliette Abécassis, Sefardita 10/01/2011

Sefardita                                          Eliette Abécassis
Traduzione di Ester Borgese
Tropea                                             Euro 18,00

Un libro intenso, capace di trasmettere emozioni profonde e di conciliare le esigenze sia di appassionati di narrativa sia di studiosi di storia: è l’ultima opera di Eliette Abécassis che la casa editrice Tropea ha pubblicato in questi giorni con il titolo “Sefardita”.
Una storia con un nucleo autobiografico in quanto Esther, la protagonista, è un’ebrea nata a Strasburgo di origini marocchine come l’autrice, docente di filosofia a Caen, che il pubblico italiano ha conosciuto nel 1996 con l’uscita del suo primo romanzo “Qumran”, frutto di ricerche e studi accurati, tradotto in diciotto lingue.
Dopo “L’oro e la cenere, storia misteriosa dell’assassinio di un teologo berlinese, con il romanzo “La ripudiata”, ispirato alla sceneggiatura da lei scritta per il film Kadosh del regista israeliano Amos Gitai, è finalista al Gran Prix du roman dell’Académie Française. Nel 2001 ne “Il Tesoro del tempio” racconta il seguito di Qumran nel quale i protagonisti si ritrovano per indagare sul segreto del Tempio di Gerusalemme, la città dove proprio in quello stesso anno Abècassis si sposa.
Dopo storie di avventure e di suspense le opere successive della scrittrice marocchina si volgono ad aspetti più personali e psicologici come “Mio padre”, romanzo sconvolgente che narra la rimessa in causa di una relazione fra padre e figlia e “Clandestino” che entra a far parte nel 2003 della selezione dei dodici titoli del premio Goncourt.
Sefardita è la sintesi di tutti i suoi precedenti romanzi, il risultato di una lunga maturazione, di studi, viaggi e interviste che hanno portato l’autrice a documentare la vita degli ebrei sefarditi in Marocco, Spagna, Israele dando vita ad una saga familiare, oltre che ad un romanzo storico di respiro corale sull’epopea del popolo sefardita.
Esther è una giovane donna moderna che vive in modo conflittuale le molteplici identità che la abitano (“Era francese, certo, alsaziana ed ebrea”) e solo nel corso degli anni riuscirà a capirne il significato fino in fondo.
Le sue origini marocchine, radicate nel passato, riaffiorano nuovamente quando innamoratasi di Charles Tolédano decide di sposarlo e organizza la cerimonia a Tel Aviv, nello stato ebraico che è la patria dei suoi antenati.
Il viaggio di Esther verso la realizzazione del suo sogno d’amore si affianca alla storia degli Ebrei cacciati prima dalla Palestina di Tito poi dalla Spagna cattolica per trovare rifugio in Francia o in Olanda oppure nel Maghreb musulmano, all’epoca più tollerante rispetto all’Europa cristiana. E la grande Storia si infiltra attraverso un flusso di ricordi e tradizioni familiari nel racconto di questa giovane donna che vuole inserirsi nel contesto di una società dinamica e moderna come quella francese, ma si sente anche soverchiata dall’eredità dei sefarditi dalla quale non si può fuggire con un semplice atto di volontà: troppe implicazioni e vincoli familiari, morali, etici e religiosi la trattengono in un ruolo dal quale vorrebbe affrancarsi.
E’ alla vigilia delle nozze a Tel Aviv che Esther vestita di porpora come la nonna Sol e tutte le spose sefardite (“L’abito perpetuava il fasto castigliano e Andaluso del Rinascimento”) si trova a fare i conti con gli oscuri segreti e i rancori mai sopiti che albergano fra le due famiglie: quella dei Tolèdano, cui appartiene Charles, originaria di Meknès e quella dei Vital proveniente da Mogador.
E a questo punto il lettore sale, quasi come un protagonista del racconto, tale è la capacità di coinvolgimento della scrittrice su un palcoscenico che si trasforma in un caleidoscopio di colori, sapori, luci e fragranze misteriose abitato da personaggi mirabilmente ritratti le cui storie si inanellano una sull’altra, si diramano come le braccia di un grande albero e in ognuna di esse l’autrice spende la sua maestria affabulatrice.
Struggente è la storia di nonna Sol, moglie di Sidney Hatchewel, che “si muoveva quasi piegata in due dall’età, parlava per metà arabo e metà francese” che, colpita dal malocchio “quell’insieme di relazioni umane, intessute d’odio, d’invidia e di ipocrisia” per allontanare il quale si preparavano fetidi intrugli, non potè sposare l’uomo al quale era destinata fin da bambina, Jacob Tolédano, il nonno del futuro sposo di Esther. E anche per lei non c’è scampo alla pozione magica, così amara da bruciarle la gola, ma che la preserva dal malefico influsso dei jinn!
Suzanne Vital, la mamma di Esther, - che non si rassegna a perdere la figlia dopo che anche la sorella Myriam si è sposata andando ad abitare all’altro capo del mondo per sfuggire all’invadenza dei genitori - insieme a Yvonne secondogenita dopo Suzanne, rimasta a vivere in Marocco, a Colette, madre di tre figli che vive in Israele e a Rachel, la più curata “con la piega perfettamente liscia e un po’ gonfia all’americana”, rappresentano per Esther un universo femminile schiacciato dal peso delle tradizioni e le restituiscono l’immagine di una donna sottomessa, chiusa in cucina, dedita all’uomo e ai figli, un ruolo al quale guarda con orrore e dal quale vuole affrancarsi a tutti i costi (“Come avevano fatto a subire quella dominazione tutte le donne sefardite, senza neanche venire sfiorate dall’onda femminista?”)
La riscoperta delle proprie origini, un percorso che avviene in modo graduale per Esther e che la rende più forte e determinata, passa anche attraverso l’incontro con altri personaggi indimenticabili: il nonno Sidney - che le racconta del suo amore per la ballerina inglese conosciuta a Londra durante la sua giovinezza e che aveva dovuto abbandonare per seguire la ferrea volontà della madre - non esita a confessare alla nipote che “…credi a un vecchio mogadoriano, ciò che conta è l’amore che si prova nel momento in cui lo si prova…E anche se l’amore non dura, dà senso alla vita fa sì che valga la pena di essere vissuta…”
Un misterioso segreto si cela dietro il dono generoso che il padre di Esther, Moïse Vital, offre al futuro genero poco prima della cerimonia: un amuleto “spigoloso, argentato, su cui erano scritti alcuni segni cabalistici” che generazioni e generazioni di sefarditi si sono donati, di epoca in epoca e che rappresenta il “segreto dei sefarditi”. Nel momento in cui la luce scompare anche l’amuleto non si trova più e Moïse decide di perquisire tutti i presenti, fra cui l’amico sionista Isaac Bouzaglo, la figlia Myriam e ovviamente Charles: quest’ultimo però indignato si rifiuta pur sapendo di venire considerato colpevole. Ma anche il promesso sposo, quell’uomo affascinante che emana gentilezza e bontà, la cui arma sta nel sorriso, un sorriso di gioia e bontà, quel giovane del quale Esther si è perdutamente innamorata al punto da restargli accanto lasciando che la sua famiglia si allontani dalla festa dopo la sparizione dell’amuleto, anche lui nasconde un segreto…
La trama offre ancora molti momenti di suspense e di mistero che preferiamo non svelare al lettore, in un libro che si legge d’un fiato ma che ti lascia con il piacere di ritornare su alcuni capitoli per gustarne nuovamente le emozioni e ripercorrere i momenti salienti di un viaggio sia privato, quello di Esther alla ricerca delle proprie origini, sia collettivo nella storia del popolo sefardita.
Il ritratto delle famiglie Tolédano e Vital offre all’autrice lo spunto per delineare un mondo che rischia di scomparire perché scrive Abécassis “la nostra è una memoria orale che si sta lentamente perdendo. Ho immaginato questo romanzo come un prezioso scrigno delle loro storie”.
Sefardita è un libro affascinante e di piacevole lettura che suscita molti interrogativi di cui ci rendiamo conto appieno solo al termine, scoprendoci con la testa piena di idee, sollecitazioni e voglia di imparare ancora.

Giorgia Greco


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