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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Giornale Rassegna Stampa
09.01.2011 La rivolta dei disperati non cambierà il Maghreb
Il commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 09 gennaio 2011
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La rivolta dei disperati non cambierà il Maghreb»

Sulla rivolta algerina pubblichiamo il commento di Fiamma Nirenstein, sul GIORNALE di oggi, 09/01/2011, a pag. 10, con il titolo " La rivolta dei disperati non cambierà il Maghreb ". Nella stessa pagina, una breve riporta il giudicio del Ministro degli esteri Fanco Frattini su Tahar Ben Jelloun, " irresponsabile". L'abbiamo letto con piacere, lo si poteva anche accompagnare ad altri, ben più severi. Per saperne di più su Bn Jelloun, vedere l'archivio di IC (andare in home page e scrivere il suo nome nella finestra 'cerca nel sito' in alto a sinistra).
Ecco l'articolo:


Fiamma Nirenstein      Franco Frattini        Tahar Ben Jelloun

Possiamo dunque aspet­tarci oggi una modernizza­zione del Maghreb sull’onda della rivolta del pane di que­sti giorni? I ragazzi in piazza desiderano una società più giusta e egualitaria, oppure presto grideranno che l’islam è la risposta, e se la prenderanno molto di più con gli Usa e l’Europa che con Ben Alì e Bouteflika? Il ri­flesso condizionato positivo è immediato in noi,figli d’Eu­ropa, quando una rivolta por­ta per distintivo un ragazzo di ventisei anni di nome Mohammed Bouaziz che si da fuoco perché la polizia gli sfascia un povero carretto di frutta, fonte della sua soprav­vivenza dopo essersi invano laureato. Per chi dobbiamo tenere, del resto,se l’altra vit­tima famosa ormai in carce­re, Ben Amor, è un rapper di 22 anni che canta «Presiden­te il tuo popolo muore» men­tre il numero dei morti, in Tu­nisia sale di ora in ora e si al­larga la rivolta, e il pane au­menta del 30 per cento?
Fino a pochi giorni fa non sa­pevamo bene che cosa stava succedendo in Tunisia, dato che il governo di Ben Alì, il presidente che aveva manda­to a casa Habib Bourghiba, aveva messo il silenziatore al­la pia­zza e al crescere della re­pressione contro i giovani in blue jeans e sneakers, ai mor­ti teen agers, al fatto che, via via, tutta la società tunisina è scesa in piazza, che persino il 95 per cento degli avvocati ha scioperato, che gli hacker, dalla autocrazia araba al cy­berspace, hanno messo fuori uso tutti o quasi i siti governa­tivi, che i sintomi del fatto la gente non ne può più sono diffusi per ogni dove.
Poi i riflettori si sono accesi: è scoppiata l’Algeria, ed essa ha enormi, potentissimi rife­rimenti spettacolari nella no­stra mente, la casbah candi­d­a nascondiglio storico di co­munisti e islamisti, la rivolta anticoloniale, il film di Gillo Pontecorvo “La rivolta di Al­geri”, l’origine pied noir di Al­bert Camus, e poi l’orrore contemporaneo: la mattan­za iniziata nel 1988 con la più feroce aggressione integrali­sta islamica che si sia mai vi­sta, una guerra che ha fatto fra i 150mila e i 200mila morti estendendosi dallo scontro fra il Fis e i militari all’eccidio della popolazione. E adesso l’Algeria, insieme alla Tuni­sia, è di nuovo teatro di vio­lenza a causa di una “rivolta del pane” causata solo occa­sionalmente dall’aumento incongruo del prezzo dei ge­neri primi, ma, ognuno lo ca­pisce, sostanzialmente dalla prepotenza classica del go­verno “moderato” arabo, dal fatto che il 75 per cento della popolazione ha meno di trent’anni, che i giovani sono uno strabordante mare in ebollizione, che la gran parte di loro vaga senza prospetti­ve in una società in cui anco­ra si vive in tre, quattro fami­glie in una casa e le politiche di controllo delle nascite so­no fallite. L’Algeria che conta tiene rinchiusa in cassaforti sociali dorate la forte produ­zione energetica del Paese, i cui proventi sono destinati solo a gruppi sociali ristretti, usa i cinesi invece della forza lavoro locale, non ha saputo sfruttare le infrastrutture ere­ditate nel ‘63. Insomma, del­la gente non si è occupata af­fatto e questa incuria può sol­lecitare l’astuta e potente re­te islamista sempre in aggua­to.
Questa marea soprattutto di giovani infuriati e disposti a morire è certo un movimen­to sociale di modernizzazio­ne, ma proprio per l’egoismo laico il dogma islamista può travolgere la loro sete di giu­stizia. Nel passato, ci siamo immedesimati con tutto quello che ci sembrava una rivolta a favore dei poveri: ma è stata maestra la rivolu­zione iraniana, in cui i tratti sociali erano innegabili e for­tissimi, e di cui in molti si in­namorarono, ma che poi ha dato vita a un potere integrali­sta religioso, imperialista e violatore di tutti i diritti uma­ni. Adesso quindi si impone la cautela e anche l’impegno
per aiutare davvero la gente in rivolta per il pane e per la grande chimera del mondo arabo,la democrazia. «C’è di buono che non esiste più il su­­bstrato islamista del mondo giovanile, si è scollato il rap­porto sociale fra masse fana­tizz­ate e la gente quando l’af­fermarsi di Al Qaida ha trasci­nato i giovani borghesi nelle sue file. I ragazzi poveri non fanno parte di questa vicen­da », dice Khaled Fuad Allam, sociologo dell’Università di Trieste e commentatore alge­rino. Insomma, sono finiti i tempi in cui, racconta, quan­do studiava all’università di Orano, venivano tolti persi­no le forchette e i coltelli di plastica per evitare gli scon­tri fra giovani laici e religiosi. E poi, siamo chiari, c’è anche stata una decimazione fisica paurosa di islamisti a seguito della guerra di massa che per tanti anni hanno insanguina­to l’Algeria.
Insomma, ancora l’islami­smo non è qui, non è presen­te in massa, ma già si insinua a cercare nelle università e nelle moschee per guidare i giovani arrabbiati proprio co­me in Egitto, in Giordania, in Arabia Saudita. Perché “Pae­se arabo moderato” non vuol dire onesto, rispettoso dei di­­ritti, e bravo nel governare il proprio popolo, e noi tendia­mo invece ad accontentarci di quell’aggettivo. Proviamo a dire la parola “democrati­co”, magari funziona contro
gli estremisti islamici.

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