Sul CORRIERE della SERA, sempre molto corretto quando scrive di Shoà, a differenza di quando pubblica su Israele e sionismo, una corrispondenza da Parigi di Stefano Montefiori, a pag.19, dal titolo " L'accusa di Jardin il 'rinnegato', mio nonno complice della Shoà".


Il libro nell'edizione francese (in it. uscirà da Bompiani)- il Vel d'Hiver, dove furono rinchiusi gli ebrei parigini durante la razzia del luglio 1942 per essere poi deportati.
Lo scrittore Alexandre Jardin aveva affrontato la figura del nonno già in un capitolo di Una famiglia particolare, il suo fortunato libro di cinque anni fa. Ma lì le pagine sull’imbarazzante Jean Jardin, capo di gabinetto del premier Laval nel regime collaborazionista di Vichy, venivano sommerse dai racconti festosi sui triangoli amorosi dei genitori e sulla voracità sessuale della nonna, sul pappagallo del Gabon addestrato a imitare Paul Morand e sulla scimmia eroinomane Zaza, cui i Jardin dedicarono solenni esequie in mare, alla presenza degli amici Serge Gainsbourg e Pierre Assouline. Oggi la festa è finita. La famiglia Jardin non è più solo «particolare» . È una famiglia che per decenni ha praticato l’eccentricità e il rifiuto della realtà non tanto perché la normalità fosse noiosa, quanto perché bisognava scapparne e fare finta di non conoscerne l ’ o r r o r e . Alexandre Jardin pubblica oggi Des gens très bien, il suo implacabile atto d’accusa contro il nonno Jean — che da una posizione di enorme potere chiuse gli occhi davanti alle retate degli ebrei— e contro il padre Pascal, che dedicò a quel genitore colpevole quattro libri pieni di ammirazione e (pur tormentato) affetto. In Francia, l’attacco senza appello di Alexandre Jardin ai suoi famigliari non è solo un fatto privato. Se il nonno Jean non è più il personaggio affascinante che negli anni bui cercò di tenere in piedi lo Stato, ma un opportunista consapevolmente complice dell’olocausto, allora tante famiglie francesi sono state ugualmente colpevoli. «Per questo ora sono io sotto accusa — dice Alexandre —. Dicono che non ho le prove della complicità diretta di mio nonno, ma è una difesa affannosa e immotivata, che nasconde il bisogno di chiudere gli occhi, ancora una volta, come è sempre stato fatto in Francia dal 1945, quando ci siamo inventati resistenti e gollisti. C’era la Guerra fredda, un Paese distrutto da ricostruire, bisognava andare avanti. Ora potremmo guardare con più sincerità al nostro passato, ma nessuno ne ha il coraggio» . Des gens très bien (Persone perbene) esce a Parigi mercoledì prossimo per Grasset (in Italia sarà pubblicato da Bompiani), ma sta già scatenando infinite polemiche. Il più severo è stato Le Figaro, dove François Hauter ha ironizzato sui guasti del passato lamentati da Jardin e se l’è presa con un presunto vittimismo dell’autore: «È proprio vero che nel 2011 se non si è vittime di qualcosa, anche se si è cresciuti tra il XVI arrondissement di Parigi, Saint-Tropez, l’École alsacienne e Sciences Po (tutti luoghi privilegiati, ndr), non si è nessuno» . Come se Jardin dovesse essere solo riconoscente per la vita agiata che la sua famiglia e la Francia gli hanno garantito, e non avesse il diritto di domandarsi qual è stato il prezzo da pagare. Ma perché ha aspettato tanto? Perché solo oggi il cambio di registro? «Non è facile rinnegare la propria famiglia. Oggi ho 45 anni, l’età che aveva mio padre quando è morto. Ho sempre sentito che al fondo delle nostre stranezze c’era l’indicibile, il silenzio, la cecità. Ora è il momento di rompere il tabù, personale e collettivo. Mio nonno Jean, capo di gabinetto del primo ministro antisemita Pierre Laval dal maggio 1942 a ottobre 1943, era il braccio destro del capo del governo petainista, la posizione operativa più importante. Fu oggettivamente corresponsabile della retata del Vel d’Hiv del 16 luglio 1942: 13 mila uomini, donne e bambini ebrei catturati e mandati a morire sui treni francesi ad Auschwitz. Nella sua posizione non poteva non sapere. E non si è mai scusato, non si è mai interrogato su nulla. Come lui, migliaia di francesi in posizioni di responsabilità. Per per questo ora tanta stampa di quell’area politica mi attacca. Nessuno, ancora oggi, vuole fare i conti con quella che è stata davvero la Francia collaborazionista di Pétain» . Alexandre Jardin dice di avere voluto «purificare il mio dna» , di avere scritto questo libro «per rifiutare un’eredità come la si rifiuta dal notaio» ; un passo che a quanto pare molti non sono ancora pronti a compiere.
Lo scrittore Alexandre Jardin aveva affrontato la figura del nonno già in un capitolo di Una famiglia particolare, il suo fortunato libro di cinque anni fa. Ma lì le pagine sull’imbarazzante Jean Jardin, capo di gabinetto del premier Laval nel regime collaborazionista di Vichy, venivano sommerse dai racconti festosi sui triangoli amorosi dei genitori e sulla voracità sessuale della nonna, sul pappagallo del Gabon addestrato a imitare Paul Morand e sulla scimmia eroinomane Zaza, cui i Jardin dedicarono solenni esequie in mare, alla presenza degli amici Serge Gainsbourg e Pierre Assouline. Oggi la festa è finita. La famiglia Jardin non è più solo «particolare» . È una famiglia che per decenni ha praticato l’eccentricità e il rifiuto della realtà non tanto perché la normalità fosse noiosa, quanto perché bisognava scapparne e fare finta di non conoscerne l ’ o r r o r e . Alexandre Jardin pubblica oggi Des gens très bien, il suo implacabile atto d’accusa contro il nonno Jean — che da una posizione di enorme potere chiuse gli occhi davanti alle retate degli ebrei— e contro il padre Pascal, che dedicò a quel genitore colpevole quattro libri pieni di ammirazione e (pur tormentato) affetto. In Francia, l’attacco senza appello di Alexandre Jardin ai suoi famigliari non è solo un fatto privato. Se il nonno Jean non è più il personaggio affascinante che negli anni bui cercò di tenere in piedi lo Stato, ma un opportunista consapevolmente complice dell’olocausto, allora tante famiglie francesi sono state ugualmente colpevoli. «Per questo ora sono io sotto accusa — dice Alexandre —. Dicono che non ho le prove della complicità diretta di mio nonno, ma è una difesa affannosa e immotivata, che nasconde il bisogno di chiudere gli occhi, ancora una volta, come è sempre stato fatto in Francia dal 1945, quando ci siamo inventati resistenti e gollisti. C’era la Guerra fredda, un Paese distrutto da ricostruire, bisognava andare avanti. Ora potremmo guardare con più sincerità al nostro passato, ma nessuno ne ha il coraggio» . Des gens très bien (Persone perbene) esce a Parigi mercoledì prossimo per Grasset (in Italia sarà pubblicato da Bompiani), ma sta già scatenando infinite polemiche. Il più severo è stato Le Figaro, dove François Hauter ha ironizzato sui guasti del passato lamentati da Jardin e se l’è presa con un presunto vittimismo dell’autore: «È proprio vero che nel 2011 se non si è vittime di qualcosa, anche se si è cresciuti tra il XVI arrondissement di Parigi, Saint-Tropez, l’École alsacienne e Sciences Po (tutti luoghi privilegiati, ndr), non si è nessuno» . Come se Jardin dovesse essere solo riconoscente per la vita agiata che la sua famiglia e la Francia gli hanno garantito, e non avesse il diritto di domandarsi qual è stato il prezzo da pagare. Ma perché ha aspettato tanto? Perché solo oggi il cambio di registro? «Non è facile rinnegare la propria famiglia. Oggi ho 45 anni, l’età che aveva mio padre quando è morto. Ho sempre sentito che al fondo delle nostre stranezze c’era l’indicibile, il silenzio, la cecità. Ora è il momento di rompere il tabù, personale e collettivo. Mio nonno Jean, capo di gabinetto del primo ministro antisemita Pierre Laval dal maggio 1942 a ottobre 1943, era il braccio destro del capo del governo petainista, la posizione operativa più importante. Fu oggettivamente corresponsabile della retata del Vel d’Hiv del 16 luglio 1942: 13 mila uomini, donne e bambini ebrei catturati e mandati a morire sui treni francesi ad Auschwitz. Nella sua posizione non poteva non sapere. E non si è mai scusato, non si è mai interrogato su nulla. Come lui, migliaia di francesi in posizioni di responsabilità. Per per questo ora tanta stampa di quell’area politica mi attacca. Nessuno, ancora oggi, vuole fare i conti con quella che è stata davvero la Francia collaborazionista di Pétain» . Alexandre Jardin dice di avere voluto «purificare il mio dna» , di avere scritto questo libro «per rifiutare un’eredità come la si rifiuta dal notaio» ; un passo che a quanto pare molti non sono ancora pronti a compiere.
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