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Il terrorismo minaccia la stabilità dell'Egitto
di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Giovanni Quer)
Alessandria d'Egitto è una città portuale molto antica, fondata 2344 anni fa da Alessandro Magno e divenuta poi, ad opera del figlio, capitale d'Egitto. Gli ebrei vi si insediarono all'epoca del secondo tempio, costituendo una comunità numerosa, ricca e sviluppata, gestita da un consiglio degli anziani che contava 71 memebri, come il Sanhedrin di Gerusalemme. La comunità aveva fondato istituzioni la cui importanza è testimoniata dai riferimenti nel Talmud e nella Mishna. Ad Alessandria fu tradotto il Tanakh in greco, la Biblia Septuaginta, citato dai nostri testi. Fino ad alcuni anni or sono c'erano ad Alessandria due comunità ebraiche, una sefardita e una ashkenazita.
Fin dalle sue origini Alessandria è stata una città cosmopolita, come molte altre città portuali, dove approdano navi da Paesi stranieri, dove si incontrano marinai e commercianti che appartengono a popoli diversi, che parlano lingue diverse e che professano diverse religioni, un luogo dove diversi gruppi religiosi ed etnici convivono in pace e serenità. L'aria pulita e la discreta economia, basata sopratttutto su pesca e servizi portuali, rendono la città un luogo tranquillo e tollerante, che offre ai suoi abitanti buone possibilità economiche.
Proprio grazie alla tranquillità sociale, si è concentrata ad Alessandria una grande comunità di cristiani, che sono chiamati "Copti" dalla parola greca Aigyptos, Egitto. i Copti si considerano i veri egiziani autoctoni, mentre considerano i musulmani stranieri che si sono insediati in Egitto a seguito delle invazioni islamiche del 7°secolo, quando hanno imposto l'Islam fino a farlo diventare la religione di maggioranza. I Copti sono rimasti fedeli alla loro religione e al loro Paese, senza arrendersi di fronte alle persecuzioni dei musulmani e senza adottare la "cultura del deserto" introdotta nel loro Paese. Durante gli anni della rivolta contro l'occupazione britannica, i copti giocarono un ruolo fondamentale nella lotta per la liberazione dimostrando la loro fedeltà al Paese assieme ai musulmani, contro l'occupazione britannica e nonostante il fatto che i britannici fossero cristiani.
Tuttavia, negli ultimi vent'anni, la società egiziana ha abbandonato questa tradizione, avvicinandosi all'Islam per una serie di ragioni. Il nazionalismo arabo, il cui era esponente più importante è stato il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser, è stato indebolito dalla Guerra dei Sei Giorni nel 1967, perdendo di conseguenza, e progressivamente, popolarità nel mondo arabo. I regimi ditattoriali arabi hanno utilizzato, e continuano ad utilizzare, i simboli del nazionalismo per nascondere la verità sulle violazioni dei diritti umani, sulla repressione delle libertà politiche, sulla persecuzione degli oppositori politici, così che l'idea stessa di nazionalismo arabo ha accentuato i suoi connotati negativi. L'impiego dell'esercito e dei corpi di sicurezza per la protezione della sicurezza nazionale ha aumentato la rabbia nei settori della popolazione del mondo arabo non coinvolti nella corruzione del regime. La situazione in Egitto è particolarmente grave a causa della vasta povertà, del senso di abbandono che regna ovunque, specialmente nei quartieri più poveri, privi di acqua corrente, fognature, elettricità, strumenti di comunicazione, infrastrutture per l'educazione e i servizi sociali, abitati da decidine di milioni di persone, che costituicono quasi la metà degli 85 milioni di cittadini egiziani in condizioni di povertà umiliante e ristrettezze in continnuo aumento.
La più conosciuta organizzazione in Egitto è quella dei Fratelli Musulmani, che raccoglie la rabbia della popolazione contro la corruzione del regime. Egiziani e stranieri concordano nel pensare che se ci fossero libere elezioni i memebri dei Fratelli Musulmani guadagnerebbero la maggior parte dei seggi in parlamento, e il dibattito verte solo sulla percentuale dei seggi, il 60 o l'80%. La maggior parte della popolazione egiziana si identifica con i "Fratelli", sia per via della ideologia tradizionalista-religiosa che mira ad applicare la shari'a, la legge islamica, in tutto lo stato, sia per via della loro opposizione al regime corrotto. Però nelle elezioni per il Parlmento che hanno avuto luogo due mesi fa i Fratelli Musulmani sono riusciti a guadagnare un solo seggio su 454. Ma è chiaro che si tratta di brogli elettorali. Da quando sono stati resi noti i risultati delle elezioni, molti ritengono che le limitazioni imposte sui Fratelli Musulmani, quale partito di opposizione, li spingeranno come conseguenza a azioni illegali, quali manifestazioni in piazza, nel migliore dei casi, o a violenze vere e proprie, nel peggiore.
Un'ulteriore causa dell'attività antigovernativa da parte dei Fratelli, è costituita dal fatto che quest'anno si terranno le elezioni presidenziali, con la quasi certezza che il regime nominerà Gamal Mubarak, il figlio dell'attuale presidente, quale successore. Per il popolo non cambierà nulla, lo Stato continuerà ad esser governato da presidenti non eletti, come è stato da quando si è insediato il triumvirato nel luglio del 1952, ossia la triade dei cosidetti ' ufficiali liberi '. Negli ultimi 58 anni si sono susseguiti al potere Nagib, Abd el'Nasser, Sadat e Mubarak, rappresentanti di un regime corrotto sia in campo economicp che amministrativo. Gamal Mubarak è relativamente giovane, ha 40 anni, e se segue le orme del padre potrebbe rimanere al potere per altri 40 anni. Dal punto di vista degli egiziani sarebbe una tragedia, poiché la corruzione continuerebbe così come la povertà e l'abbandono. I Fratelli Musulmani capiscono l'importanza del momento, e sull'onda della debolezza di Mubarak si preparano a una opposizione violenta per impedire che al potere gli succeda il figlio, come se l'Egitto fosse un bene privato della famiglia Mubarak.
Il regime conosce bene le intenzioni dei "fratelli", e le forze di sicurezza, esercito, polizia, e i servizi di intelligence, sono pronti a rispondere con la violenza, la domanda non è se questo accadrà, bensì quando. Ogni unità militare conosce bene ciò che deve fare e per il quale è stata addestrata: quale città. Quando scoppieranno le violenze, ogni unità occuperà la propria zona di competenza,quartiere o strada, per ristabilire l'ordine. La domanda, che per ora è senza risposta, è: "la polizia sparerà sulla folla?" o ufficiali e soldati decideranno che non si può uccidere a sangue freddo chi cerca libertà e diritti ? È possibile ritenere che se la folla avrà la meglio sul regime, l'esercito si unirà ai vincitori, trasferndo la propria lealtà dalla famiglia Mubarak al gruppo che avrà preso il il potere.
Le relazioni coi copti
Negli utlimi anni, con il consolidamento della corrente religiosa fra la popolazione egiziana, le relazioni tra la maggioranza musulmana, di giorno in giorno più fanatica, e la minoranza sempre più sparuta dei copti, vanno peggiorando per varie ragioni: a) i copti sono cristiani, e l'Islam considera i cristiani (come del resto anche gli ebrei) un gruppo protetto, ossia cittadini di serie B, che vivono sotto protezione islamica secondo principi stabiliti agli albori dell'epoca islamica, tra i quali il pagamento della jizya (la tassa dell'infedele); b) i copti sono protetti dal regime contro l'odio dei "Fratelli", e la collaborazione col regime non li rende ben visti ai musulmani c) alle volte vi sono inaspettati legami tra copti e oppositori, su una questione delicata, ossia la conversione. Secondo la legge islamica un cristiano o un ebreo può convertirsi all'Islam, ma un musulmano, anche se di orgini cristiane o ebraiche, non può abbandonare l'Islam, e se cambia confessione la pena è la morte. d) i "Fratelli" sostengono che i copti hanno rapito due donne copte convertitesi all'Islam, e le abbiano nascoste in un convento per cercare di convincerle a ritornare cristiane. e) i "Fratelli Musulmani" si oppongono poi alla costruzione di chiese, monasteri, scuole e istituti cristiani, benché la legge lo permetta.
Qualche mese fa vi è stato un attacco armato in una città del Sud, Hamadi, in cui un egiziano musulmano ha sparato a un gruppo di copti che uscivano da una chiesa, uccidendo sette persone a sange freddo. L'Egitto è rimasto sotto shock, molti hanno condannato l'omicidio, malgrado ciò il regime non ha ancora processato l'assassino. Questo episodio rientra nel novero di una serie infinita di attacchi contro i copti, attacchi alle persone, donne e ragazze, alle case, ai negozi e a qualsiasi cosa che appartenga a loro. Le persecuzioni quotidiane hanno causato l'emigrazione di molti copti dall'Egitto, e oggi milioni di loro vivono in esilio.
Quando sabato scorso centinaia di copti sono usciti dalla Chiesa nel centro di Alessandria, riversandosi in strada, un'auto è saltata in aria, causando più di venti morti e decine di feriti. Gli osservatori hanno immediatamento sentenziato che l'attentato è stato opera di Al Qaeda, e sulla base di quest'opinione il presidente Mubarak ha dichiarato pubblicamente all'indomani dell'attentato che i terroristi responsabili dell'attacco erano stranieri. Ma la mia sensazione è che se anche si trattasse dell'opera di un jihadista straniero, l'attentato, per il notevole impatto e la sua grande portata, può esser stato perpetrato da qualcuno che conosce bene la zona, che poteva circolare per raccogliere informazioni senza farsi notare, trovare il materiale, l'auto e l'esplosivo, magari anche rubandoli all'esercito, altrimenti non sarebbe stato possibile compiere un attentato di queste dimensioni senza un aiuto in loco.
I copti, vittime dell'attentato, hanno indirizzato la propria rabbia contro il govrno, che a loro avviso ha fallito nel garantire la sicurezza lasciandoli alla mercé dei terroristi locali o stranieri. Durante la settimana la minoranza copta ha organizzato molte manifestazioni per attrarre l'attenzione mondiale sulla repressione sempre più forte della quale sono vittime. Molti capi di Stato e di governo hanno espresso preoccupazione per la situazione in cui versano i copti. Il regime egiziano non ama le espressioni di critica che gli sono state rivolte e le respinge quali intrpmissioni nei propri affari interni dello stato.
Molti osservatori ritengono che in Egitto ci sia un tale deterioramento da portare la situazione ai livelli dell'Iraq, e negli ultimi giorni molti parlano del pericolo di "irachizzazione dell'Egitto".
Israele deve seguire l'evolversi della situazione con molta attenzione perché gli sviluppi possono influenzare negativamente gli accordi di pace tra i due paesi. Se i "Fratelli" salissero al potere, le relazioni con Israele verrebbero immediatamente interrotte.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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