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Il Sole 24 Ore - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
04.01.2011 Copti massacrati in Egitto. Perchè non è solo un conflitt religioso
Commenti di Karima Moual, Franco Venturini. Paolo Rodari riporta le tesi assurde di Andrea Riccardi

Testata:Il Sole 24 Ore - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Karima Moual - Franco Venturini - Paolo Rodari
Titolo: «Alessandria vittima del neo-estremismo - La fragilità del faraone - Riccardi spiega perché Ratzinger risponde al macello egiziano con lo 'spirito' di Assisi»

Massacro di cristiani in Egitto, i quotidiani di oggi trattano diffusamente la notizia. Incredibile il titolo dell'articolo di Marcello Veneziani sul GIORNALE, che recita : " Niente più Occidente. L'islam adesso puna ai cristiani ". Ridurre il confltto dell'islam con l'Occidente a mera questione religiosa è sbagliato. Certo, la religione è una delle componenti di questo conflitto. Ma i cristiani vengono massacrati perchè il cristianesimo rappresenta l'Occidente. Inoltre l'islam non è solo una religione, è anche politica e Stato. Per questo l'analisi di Veneziani è semplicistica e priva di fondamento.

Riportiamo dal SOLE 24 ORE di oggi, 04/01/2011, a pag. 10, l'articolo di Karima Moual dal titolo " Alessandria vittima del neo-estremismo ". Dal CORRIERE della SERA, in prima pagina, l'editoriale di Franco Venturini dal titolo " La fragilità del faraone". Dal FOGLIO, a pag. 4, l'articolo di Paolo Rodari dal titolo "Riccardi spiega perché Ratzinger risponde al macello egiziano con lo “spirito” di Assisi", preceduto dal nostro commento.

Sullo stesso argomento, invitiamo a leggere le analisi di Zvi Mazel, Piera Prister pubblicate in altre pagine della rassegna.

Ecco i pezzi:

Il SOLE 24 ORE - Karima Moual : "Alessandria vittima del neo-estremismo"


Karima Moual

«La convivenza fra cristiani e musulmani nei paesi islamici dura da secoli», «la violenza che i cristiani subiscono per mano degli estremisti è contro l'Islam stesso». Basta davvero ricordare che lo spirito del vero Islam è una sorta di peace and love, per scongiurare estremismo e oscurantismo islamico che avanza?

Non c'è un discorso né un'intervista di un dotto, un esponente politico, un imam o un Alim musulmano, che non riporti una di queste frasi di "pace". Che in realtà è pura retorica, per tranquillizzare gli animi, per ricordare il bene e dimenticare il male. Per cercare di spegnere quel fuoco che è scoppiato in questi giorni in quel focolaio inter-religioso di nome Alessandria, una città così lontana dalla sua storia. Retorica che serve solo al momento.

Ma così facendo non si fa altro che nascondere la polvere sotto il tappeto. Perché Alessandria d'Egitto è una parte di quel laboratorio per estremisti che a macchia d'olio ha contagiato e iscritto alla sua ideologia piccole e grandi realtà reislamizzate all'Islam duro e puro - che mette in difficoltà non solo la convivenza con gli altri che la pensano diversamente ma soprattutto l'avanzata dell'Islam normale, quello che chiamiamo moderato.

Ieri, la dichiarazione della massima carica del'università al Azhar del Cairo, il moderato Imam Mahmud El Tayeb, alla dichiarazione del Papa, sulle violenze contro i cristiani nei paesi musulmani - liquidata come ingerenza negli affari interni dell'Egitto - dimostra un nuovo gioco pericoloso, nel quale si trovano ad affrontarsi diverse figure religiose moderate nel dare spazio ad una terza via. Il gioco dell'ambiguità. El Tayeb cerca di non dare la minima occasione agli estremisti di rubargli la scena, ma rischiando di apparire lui stesso quasi un estremista, pur di vincere quel conflitto politico, di dominazione sulle masse popolari che fino adesso vede vincenti gli estremisti.

Appoggiare interventi e opinioni esterne, lo sanno bene i moderati, giova alla conferma di chi soffia sul fuoco perché sa di alleanze con gli occidentali. El Tayeb non ha voluto cadere in questa trappola. Ma è caduto in un'altra: i moderati infatti non riescono ancora a spiegare cosa intendono per cambiamento e miglioramento delle mentalità arcaiche: quello che s'intende davvero per libertà e democrazia.

Zouhair Louassini, professore e giornalista marocchino, che si dichiara ateo, spiega: «Nei paesi islamici non ci sarà mai una vera libertà se non si può andare al centro d'una città e dire a voce alta: dio è morto. Dirlo senza finire in galera o in un manicomio, dirlo senza essere condannati per blasfemia. La democrazia non si esporta. Il cambiamento reale è quello che avviene dall'interno. Ogni volta che si parla dei paesi musulmani, bisogna insistere che Dio sarà pure grande, ma gli spazi di libertà sono così piccoli che se si continua così non ci sarà altra soluzione che ucciderlo». Il cancro delle società islamiche è la responsabilità e il peso, di tutti i musulmani, di qualsiasi strato sociale siano, di portare avanti la presunzione - fatta legge e cultura - di imporre la propria verità nella quotidianità e alla base politica, strada che porta all'estremismo cieco. La discriminazione popolare verso i cristiani non è meno grave della loro persecuzione. Per disinnescare la bomba del fondamentalismo e dell'oscurantismo, che blocca l'apertura al mondo delle idee, occorre garantire la libertà anche di coloro che pensano che Dio non esiste. Il primo vero cambiamento verso il futuro e la democrazia, è quello di riconoscere e tutelare dall'alto la diversità. La diversità dovrà far parte della normalità.

CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " La fragilità del faraone "


Franco Venturini

S e è vero che la sofferenza rafforza la fede, venerdì i copti egiziani celebreranno con particolare fervore il loro Natale. Alla rabbia delle ultime ore sostituiranno la preghiera, piangeranno i loro morti, affolleranno anche quella chiesa dei Santi di Alessandria dove la notte di Capodanno l’odio confessionale è tornato a colpire. Saremo loro vicini, perché la persecuzione delle minoranze cristiane in molte società islamiche non può e non deve lasciarci indifferenti. Ma nel caso dell’Egitto esiste anche un altro aspetto che la prudenza consiglia di non trascurare: il kamikaze di Alessandria, oltre a fare strage di copti, ha forse voluto collocare una bomba a orologeria sotto il trono presidenziale di Hosni Mubarak. Per individuare il pericolo occorre tornare alle elezioni parlamentari egiziane di un mese fa. Il raìs, ottantaduenne e malato, consumato da trent’anni di potere, sapeva che le presidenziali in calendario per il 2011 non sarebbero state la solita formalità. Occorreva porsi seriamente il problema della successione. E allora tanti saluti alle cautissime aperture democratiche del 2005 imposte da Bush, e pazienza anche per quell’Obama che proprio al Cairo era venuto a predicare un islam più aperto: dalle urne l’accorta regia degli uomini del presidente ha fatto uscire una assemblea dominata da un virtuale partito unico, capace di gestire senza traumi l’ormai vicino passaggio di poteri. Lo scettro passerà dal padre Hosni al figlio Gamal, come avrebbero fatto, appunto, i faraoni? Oppure l’anziano presidente si farà rieleggere, rendendo automatico il subentro di Gamal in caso di morte o impedimento? O ancora, se Gamal sarà giudicato da alcuni troppo vicino al mondo dei grandi affari, sarà il potente ma fedelissimo generale Omar Suleiman ad emergere? Non tutti i giochi sono ancora fatti, ma il mese scorso Hosni Mubarak ha comunque lanciato un messaggio chiaro: la successione è cosa mia, e non saranno tollerate interferenze democratiche o pluralistiche. L’Occidente ha guardato dall’altra parte. Troppo preziosa è la stabilità interna dell’Egitto. Indispensabile è il suo ruolo di moderazione nella crisi mediorientale, malgrado la mancanza di risultati concreti. Irrinunciabile è l’argine del Cairo contro i fondamentalismi più o meno qaedisti che ormai si annidano nel Maghreb e nell’Africa subsahariana. E quanto ai Fratelli musulmani, certo, hanno avuto una evoluzione incoraggiante, ma sono sempre l’altro braccio di Hamas. Insomma, la Realpolitik imponeva un mese fa e impone oggi alle democrazie occidentali — Italia in prima fila— di tapparsi il naso e sperare che il raìs azzecchi l’erede. Peccato che in questa complessa manovra Hosni Mubarak e il suo gruppo di potere conservino un fianco scoperto: quello del potenziale destabilizzante degli scontri inter-religiosi. Degli islamici radicali che si contrappongono ai Fratelli musulmani soprattutto ora che questi hanno solidarizzato con i copti. Dei qaedisti che vogliono colpire i cristiani simbolo delle degenerazioni occidentali. Di una galassia fatta di minoranze corpose ma anche di gruppuscoli fanatizzati che non di rado nella storia egiziana ha innescato spirali distruttive come quella che portò all’assassinio di Anwar Sadat. Ora si tratta di ereditare, non di uccidere. Ma la partita non sarà per questo meno serrata, e le lotte interconfessionali potrebbero tentare chi vuole dar fuoco alle polveri.

Il FOGLIO - Paolo Rodari : "  Riccardi spiega perché Ratzinger risponde al macello egiziano con lo “spirito” di Assisi"

La tesi di Andrea Riccardi può essere riassunta nella sua frase : " Oggi sono i cristiani le vittime del fondamentalismo religioso, non solo in medio oriente ma anche in Asia e in Africa. Perché? Perché colpire i cristiani fa notizia. ". Una tesi talmente assurda, talmente banale, talmente ridicola da denotare solo una cosa, l'incapacità di chi l'ha formulata di produrre un'analisi seria.
Riccardi non s'è reso conto che il massacro di cristiani non è un'azione propagandistica, ma uno scopo preciso, l'eliminazione di tutto ciò che è assimilabile all'Occidente e alla democrazia.
Ecco il pezzo.


Andrea Riccardi

Roma. Mentre ventuno cristiani venivano macellati ad Alessandria d’Egitto durante la messa solenne di Capodanno, Benedetto XVI annunciava la convocazione per il prossimo ottobre di un raduno interreligioso ad Assisi, venticinque anni dopo lo storico incontro convocato da Wojtyla nella città di san Francesco. C’è una vulgata che sostiene che Ratzinger non abbia mai visto di buon occhio il raduno del 1986, e le “repliche” proposte ogni anno dalla Comunità di Sant’Egidio, per il rischio di “sincretismo” che può essere presente in questo tipo di incontri. A sostegno di questa tesi c’è un precedente: al raduno che si svolse sempre ad Assisi nel 2006 – l’anno della lectio di Ratisbona nella quale il Papa condannò l’uso della violenza nel nome di Dio proprio dell’islam –, Ratzinger preferì non partecipare, nonostante un invito del vescovo della diocesi Domenico Sorrentino. E oggi? Benedetto XVI si è convertito ad Assisi e al suo spirito? Dice il fondatore della Comunità di Sant’Egidio al Foglio che “è improprio parlare di conversione”. Certo, “il Papa ha sempre espresso perplessità per le derive presenti in un dialogo interreligioso relativista, dove le identità si dissolvono, dove Cristo, in ultima analisi, non è presentato come unico salvatore. E, insieme, egli ha sostenuto il dialogo tra culture, dove ragione e ragionevolezza hanno un loro ruolo. Ma proprio nel 2006 scrisse al vescovo Sorrentino dicendo ciò che veramente pensava del raduno di Assisi. Disse che l’iniziativa era ‘audace’ e ‘profetica’. Io ebbi uno scambio di battute con lui nel 2002 di ritorno dal raduno di Assisi voluto ancora da Giovanni Paolo II . Gli chiesi se era contento. Mi rispose di sì perché ‘tutto si è svolto molto bene’. Penso si riferisse soprattutto a come avevamo impostato i momenti di preghiera, e cioè salvaguardando quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni senza cedere a quel relativismo che nega il senso della verità e la possibilità di attingervi”. Certo, contro Assisi e gli incontri degli anni successivi non mancarono critiche ma queste, dice ancora Riccardi, “vennero principalmente da persone della curia vicine a noi”. Cioè? “C’era in curia chi sosteneva – non Ratzinger – che Assisi doveva restare un unicum non ‘replicabile’. Noi invece andammo avanti forti dell’invito e dell’appoggio di Wojtyla che ogni anno si faceva a noi vicino con una lettera autografa in cui ci diceva di proseguire nell’autentico spirito di Assisi, ovvero nel dire pubblicamente che una civiltà del vivere assieme è sempre possibile”. Ma “vivere assieme” è difficile. Negli anni successivi a Ratisbona il Papa non ha più criticato l’islam. C’è chi parla di una sorta di Ostpolitik inaugurata verso i paesi musulmani: non si critica per salvare le minoranze. Dice Riccardi: “Già negli anni Trenta il Vaticano s’interrogò su come rapportarsi coi musulmani. Da subito la Santa Sede cercò la politica dei buoni rapporti, del dialogo. Oggi si è aggiunta un’annotazione in più: l’insistenza sulla necessità di garantire la libertà religiosa. Ma la politica è rimasta quella di sempre: dialogo e buoni rapporti. Un esempio fu l’Iraq di Saddam Hussein. Pur nella deplorazione per un regime dittatoriale, il Vaticano cercava il dialogo. Infatti anche Wojtyla sapeva bene che con Saddam i cristiani stavano decentemente, nonostante tutto”. Tre giorni fa il Papa ha però parlato di cristianofobia. “Mi sembra da sottolineare il fatto che questa parola sia entrata nel lessico papale”, dice Riccardi. “Oggi sono i cristiani le vittime del fondamentalismo religioso, non solo in medio oriente ma anche in Asia e in Africa. Perché? Perché colpire i cristiani fa notizia. E poi i cristiani, con la loro presenza mite e credente, rappresentano una contestazione radicale della logica dell’odio. Papa Benedetto XVI chiede all’occidente di uscire dall’indifferenza e la strada che indica resta quella del dialogo”.

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